In quei due ultimi anni di occupazione e di guerra, Pippo Barzizza incontrava spesso anche membri del Partito d’Azione

Torino, maggio 2015. L’appuntamento è davanti all’Auditorium «A. Toscanini», con Freddy Colt e Filippo Arri; lo scopo, una visita, sapientemente guidata, all’Archivio O.S.N. dove sono conservati circa 50.000 documenti, alcuni rarissimi; e tanti, tanti manoscritti, partiture preziose, molte delle quali firmate da Pippo Barzizza, cioè dal mio grande e amato papà, riscoperto ed apprezzato da nuove generazioni di musicisti, colti, competenti e soprattutto appassionati.
Andrea Malvano ci raggiungerà più tardi, gli onori di casa oggi spettano a Paolo Robotti e a Filippo Arri. Ecco la «porta rossa» così ben descritta da Andrea; curiosità e un po’ di emozione mentre la porta si apre «su due grossi stanzoni […] dove prende polvere da decenni un prezioso tesoro di documenti introvabili». Grandi scaffali metallici, stracarichi di preziosi reperti in attesa di essere decifrati, catalogati e rivelati, magari solo alla ristretta schiera degli esperti, o ai musicisti più attenti alla storia del loro stesso mestiere. Filippo sparisce dietro una porta e ritorna avvolto in uno spolverino bianco che lo aiuta a difendersi, dice lui, dall’onnipresente polvere. Intanto arriva Andrea, il professor Andrea Malvano; il quale è esattamente il contrario di come lo avevo immaginato, un severo docente dell’Università degli Studi, rigorosamente in giacca e cravatta. No, no: jeans e un abbigliamento piacevolmente informale, come un suo studente, penso, però molto elegante. Nessun imbarazzo tra di noi, come se ci conoscessimo da sempre. Niente fronzoli, simpatico, gentile, diretto. Empatia, empatia allo stato puro. Andrea: «Ci sono 1.500 arrangiamenti per l’Orchestra Cetra, ma anche per altre formazioni dirette da tuo padre, e sono quasi tutti manoscritti; c’è qualcosa che ti interessa in modo particolare?». Gran Gala, dico d’impulso, «fine anni ’50, arrangiamenti per orchestra sola, una grande orchestra, più di 50 elementi, Roma, auditorio del Foro Italico». Andrea guarda Filippo, il quale riflette per pochi secondi, sorride, e poi, ignorando la scala che Paolo gli propone, si arrampica agile e veloce su una delle scaffalature, per scenderne poco dopo con la partitura manoscritta, datata e firmata dal mio papà, di Sorge il sole, un arrangiamento per la sola orchestra, un organico ritmosinfonico di oltre 50 elementi!
La sua calligrafia, il nitore della scrittura, l’ordine… insomma tutto il suo carattere. E il suo straordinario talento. Se solo sapessi leggere la musica, se conoscessi quel linguaggio, per capire fino in fondo la ragioni tecniche di quegli ascolti così piacevoli in cui mi sono immerso, e anche perduto, in questi ultimi tre anni! Molti, troppi, capitoli de L’arte di arrangiar(si) non sono alla mia portata; ne capisco l’importanza, apprezzo lo studio intenso e appassionato di Andrea, e il suo sforzo di riportare all’onore del mondo personaggi come Angelini, Kramer, Luttazzi, Ferrio, Morricone, Maderna e tanti altri ancora; e Pippo Barzizza, il mio amato e geniale papà, di cui ho riscoperto il valore e la grandezza, ma in un racconto più ampio e completo; e riscoperto anche la sua fondamentale importanza nella evoluzione della musica leggera italiana; come se mi fossi inconsapevolmente preparato, nel corso di una vita professionalmente molto intensa, ad apprezzarne più a fondo le qualità, umane ed artistiche.
L’arte di arrangiar(si); e meno male che noi italiani sappiamo arrangiarci pur di salvare, tra tante difficoltà, depositi di memoria così importanti. «Un grosso pezzo di storia nazionale» così scrive Andrea Malvano; di cui ho apprezzato il rigore storico e il piacevolissimo lessico. Ed è anche la prima volta che, leggendo di mio padre, non trovo errori per quanto riguarda i cenni biografici, i nomi, le date, gli eventi; scoprendo anche fatti che ignoravo circa la sua attività di arrangiatore durante l’occupazione tedesca dell’EIAR; come le sedici partiture in cui «le sue trascrizioni sembrano contenitori filonazisti pieni di contenuti antinazisti (…) un sottile lavoro di dissidenza da parte di un artista coraggioso».
Anzi, voglio raccontarvi qualcosa circa i rischi che papà e mamma si presero durante il tempo di guerra, a partire dal ’44.
Sanremo, inverno 1944. «Renzo, va’ a vedere chi è». Ora insolita per una visita. Noi eravamo a tavola nella grande cucina della casa dei nonni. Luce fioca, un piatto di riso condito con l’estratto di carne Liebig, di cui la nonna aveva fatto la scorta alla vigilia della guerra. Liebig e un filo, ma proprio un filo, di olio. Il campanello continuava a gracchiare, un vecchio campanello manuale, come si usava allora. Apro la porta, un attimo di incertezza… «Nonna, è lo zio Mario! Lo zio Mario è tornato!» François, Annunziata, Romeo, Renata e Mario: i fratelli Salesi, legatissimi l’uno agli altri. Mario, il più giovane, era stato preso durante un rastrellamento dei tedeschi e dei fascisti con altri ragazzi della sua età e mandato in un campo di concentramento a Marsiglia; con la brutta prospettiva di essere arruolati a forza nelle truppe di Salò oppure spedito in Germania. Brutta prospettiva, appunto: così Mario, con alcuni suoi compagni di prigionia, era evaso dal campo in modo rocambolesco, proprio come in un film d’azione, ed era tornato in Italia a piedi, correndo grandissimi rischi, lui e i suoi amici sanremaschi. Erano entrati in città con il buio, e poi si erano separati per tornare alle loro case. Mario era magrissimo, sporco, ed affamato. Gli cedemmo gran parte della nostra cena e lo ascoltavamo, affascinati. Il giorno dopo il nonno fece venire il dottor Ruggero, un gran medico che aveva fatto nascere tutt’e cinque i fratelli Salesi. Gli trovò una pleurite piuttosto grave e lo ficcò a letto, con noi bambini sempre intorno per farci raccontare le sue avventure. Lo zio Mario non era ancora guarito del tutto, quando fu individuato dai fascisti, arruolato a forza nelle truppe di Salò, e trasferito sotto scorta all’Ospedale Militare di Vercelli, dove avrebbe dovuto finire la sua convalescenza. Ma il fratello maggiore, François, già stava già preparando la sua seconda evasione.
Il dott. Francesco Salesi: di giorno dirigeva una grande segheria a Belgioioso; di notte vestiva i panni del capo partigiano, organizzando, e comandando di persona, il sabotaggio delle linee telefoniche ed elettriche, dei binari del treno e delle strade; insomma della logistica degli occupanti. Un uomo di grande coraggio. François si procurò dei documenti falsi; arrivando all’Ospedale Militare di Vercelli, si presentò come un agente in borghese della temutissima OVRA, la polizia segreta fascista, con il compito di prelevare il soldato Mario Salesi. François era bello come un attore di Hollywood, con una voce profonda, forte ed atletico; una presenza carismatica, che ebbe facilmente ragione della blanda sorveglianza dell’ospedale. Poi da Vercelli a Torino, eludendo tutti i controlli, per arrivare in piazza Cavour ed affidare Mario ad Annunziata, cioè a Tatina, l’affascinante e bellissima moglie di Pippo. E Pippo e Tatina non ebbero il minimo dubbio, accettarono l’incarico e si organizzarono. In quei tempi bui ospitare un disertore ed essere scoperti, magari per una delazione, significava Auschwitz o un altro campo di sterminio in Germania, sempre che non ti fucilassero immediatamente. Mario visse nascosto per più di un anno nei mezzanini di Palazzo Biscaretti; con anche il problema dei bombardamenti, durante i quali Mario entrava per ultimo nel rifugio, cappello calcato sugli occhi, bavero rialzato, come una persona sorpresa lontana dal suo quartiere.
Insomma, una famiglia unita, solidale e coraggiosa. In quei due ultimi anni di occupazione e di guerra, Pippo Barzizza incontrava spesso anche membri del Partito d’Azione; colleghi ed amici, ma certamente oppositori convinti del regime fascista; un’altra iniziativa estremamente pericolosa. Di questo so poco, e ho solo il rimpianto di non aver chiesto di più. Scrive Malvano: «… un sottile lavoro di dissidenza da parte di un artista coraggioso». Sì, un artista coraggioso, in tutti i sensi; sia nel quotidiano che nello svolgimento della sua attività di musicista, di teorico e di innovatore. Talento, tempra, passione; ma anche grande generosità e altruismo. Mi piace chiudere questa prefazione ringraziando Andrea Malvano e la sua squadra di ricercatori, e la Rai che ha sostenuto con forza questa iniziativa. È grazie a studiosi e musicisti colti e appassionati, ed a funzionari di valore, ben consapevoli dell’importanza delle decisioni da prendere, che artisti di talento, quasi rimossi e poi dimenticati, o frequentati solo dai pochi cultori della musica di quegli anni, o dai professionisti più preparati; artisti importanti, dicevo, che trovano, grazie a questo lavoro, la giusta collocazione nella storia della musica italiana, senza distinzioni tra la musica colta e la musica popolare. Duke Ellington, uno dei principali riferimenti artistici di Pippo Barzizza, diceva (cito a memoria, ma questo è il senso): «C’è un solo modo di definire la musica: la musica bella, o quella brutta». Che è esattamente quello che affermava mio padre, a cui la definizione di “musica leggera” non piaceva affatto. Spero che la parte finale del mio racconto aiuti a descrivere meglio la personalità di Pippo Barzizza, riferendo fatti noti solo in famiglia e ad una cerchia ristretta di amici e collaboratori; così come la scoperta delle 16 partiture da lui redatte durante l’occupazione tedesca dell’EIAR, mi ha aiutato a completare le mie indagini su un periodo di cui mancavano testimonianze attendibili.
Renzo Barzizza, Prefazione a Andrea Malvano, L’arte di arrangiar(si). Trascrizioni e adattamenti storici dell’Archivio Musicale Rai, Libreria Musicale Italiana RAI Eri, 2015