La Banda Koch disponeva di un buon sistema di infiltrazione nel mondo partigiano

Colombo non fu l’unico poliziotto speciale della guerra civile al soldo dei nazi-fascisti. Altro elemento rilevante fu l’italiano dalle evidenti origini tedesche Pietro Koch <259. Pietro Koch fu il fondatore della famigerata omonima Banda che operò a Roma tra il 1943 e il 1944. Koch ebbe dei forti dissapori con Colombo probabilmente dati dalla natura fumantina dei due caratteri <260. La Banda Koch, detta dai suoi membri «il Reparto» fu una delle polizie speciali più tremende della storia del fascismo <261. Questo reparto, a differenza della Muti, non aveva dei legami diretti con il mondo squadrista; lo stesso Pietro Koch era troppo giovane per aver vissuto le esperienze dello sqaudrismo degli anni venti. <262
La storia di Pietro Koch è piena di contraddizioni e di punti bui: tuttavia, sappiamo per certo che egli nacque a Benevento il 18 agosto 1918 <263. Il padre era un soldato al fronte, d’origine tedesca, Otto Rinaldo Koch, il quale morì in guerra. Venne allevato dalla madre, Olga Politi. Sappiamo da una circolare della Prefettura di Benevento che Pietro e sua madre si trasferirono da Benevento a Roma all’inizio degli anni trenta <264. Successivamente studiò a nella Capitale, ottenendo scarsi risultati e terminando volontariamente gli studi in terza media, non si iscrisse mai al PNF. Tuttavia per le autorità italiane egli non era un elemento disturbatore ed era di sicura fede fascista <265.
Un mito da sfatare riguardo Pietro Koch è la sua presunta appartenenza al servizio segreto dell’OVRA <266.
Egli, a partire dal 1942, dichiarava di esserne membro ed attirò l’attenzione delle autorità. E così si costruì il mito della sua appartenenza all’OVRA e probabilmente egli continuò ad alimentarlo anche durante la sua esperienza banditesca <267. Come tutti i ragazzi dell’epoca, Koch venne inquadrato nelle associazioni giovanili fasciste e successivamente fu arruolato nell’esercito, precisamente nel reparto dei Granatieri di Sardegna <268. L’11 giugno del 1940 egli sposò la sua futura ex-moglie, Vincenzina Gregori. Koch in seguito partì come Granatiere di Sardegna per la Campagna di Grecia venendo successivamente richiamato dal servizio nel 1942 <269.
Pietro Koch godette di ingenti risorse, finanze che gli permisero successivamente di finanziare la Banda Koch. Egli fece fortuna organizzando piccole truffe con la vendita di beni immobili, si è infatti a conoscenza dell’emissione di diverse multe a suo carico <270. Con il 25 luglio e l’armistizio il Koch prende posizione e rimane fedele a Mussolini; tuttavia, questo periodo della vita di Koch è il meno conosciuto in quanto non ci sono dati d’archivio né ci sono interviste che chiariscano come sia venuto in contatto con la GNR e il reparto di Mario Carità.
Koch quindi passò una trentina di giorni come apprendista di Mario Carità, all’interno delle GNR <271 e ne sperimentò la brutalità, soprattutto nei confronti dei prigionieri politici e degli antifascisti. Tale ferocia, unita al suo carattere fumantino, deve aver segnato anche la natura futura delle sue azioni <272. In un’intervista del dopoguerra, poco prima della sua morte, riguardo raccontò così dei primi giorni d’arruolamento nella GNR: «fu nel novembre del 1943 che io feci richiesta di passare nella guardia nazionale repubblicana; accolta la mia richiesta mi presentai al console Luna, anzi fui chiamato da lui, vice-comandante della zona di Firenze. Dapprima egli voleva destinare come interprete, ma poi di sua iniziativa egli mi assegnò all’ufficio politico alle dipendenze del maggiore Carità. Dopo 12 giorni dall’inizio del mio servizio, dovetti presenziare, anzi per caso assistetti all’interrogatorio condotto dal maggiore Carità a carico di un parrucchiere a nome Pretini Ferdinando e di altri dei quali non conosco i nomi. Tale interrogatorio fu eseguito con tanta brutalità dagli interroganti che percuotevano il Pretini in ogni maniera che io ne rimasi addirittura disgustato tanto che espressi il mio risentimento con parole vivaci al tenente Varano. Il maggiore Carità, che era vicino, sentì il mio discorso e dopo avermi redarguito mi inflisse 10 giorni di arresto di rigore, trascorsi i quali presentai per iscritto le mie dimissioni al console Luna perché non volevo più far parte di quel reparto» <273.
In realtà Koch stava mentendo in questa intervista; egli non si scontrò mai con il maggiore Carità ma, anzi, si mise in luce, rimanendo al suo servizio fino alla fine del 1943: fu quindi sotto l’ala protettiva di Carità che Koch riuscì a farsi un nome tra i più perfidi sanguinari della Repubblica Sociale e il periodo sotto Carità alimentò in lui l’idea di poter agire in modo autonomo <274.
La figura di Pietro Koch non è stata studiata a fondo dalla storiografia post-bellica: ciò avvenne perché, nei fatti, la Banda fu un ottimo sistema repressivo della RSI. Studiare un personaggio come Koch avrebbe significato non solo dare valore storico ad un figuro considerato alla stregua di un criminale, ma il suo studio, avrebbe portato a ridimensionare la bontà degli interventi delle bande partigiane; ci furono altresì ottime opere (di poche pagine) o di natura giuridica o giornalistica di denuncia <275.
Una delle opere più famose riguardo Koch fu l’articolo «inquisizione nera» di Ferruccio Lanfranchi <276. L’articolo dipingeva Koch come un sadico criminale al servizio dei nazi-fascisti, che utilizzava metodi che ricalcavano l’inquisizione spagnola del Quattrocento <277. Tale associazione con l’inquisizione portò il Koch ad avere il soprannome di Torquemada a causa della sua cattiva reputazione e delle violenze commesse <278.
La banda Koch fu un efficiente reparto di polizia politica autonoma. La Banda Koch disponeva di un buon sistema di infiltrazione nel mondo partigiano; le memorie postume e gli interrogatori dei testimoni nei processi contro i componenti della Koch nel dopoguerra, dipingevano le donne della Koch come delle «iene» <279. Spesso queste ragazze usavano (a detta dei testimoni) il loro corpo per sedurre ed infiltrarsi nel mondo partigiano. Le ragazze avevano dei comportamenti lascivi e strani gusti sessuali <280. Non di rado poteva capitare che le donne della Koch seguissero in prima persona gli interrogatori, la maggior parte dei commenti rivolti dai testimoni delle torture della Koch alle donne della banda furono sostanzialmente sessisti, si può trovare, infatti, tra le testimonianze chi le definiva con l’accezione volgare di prostituta <281. Alcune donne della Koch furono Alba Cimini e Marcella Stopponi, detta la «Poetessa della Banda» <282.
La Banda Koch quindi godeva di pessima reputazione e rispecchiava fedelmente i vizi (o presunti tali) di Pietro Koch. Secondo le carte processuali, testimoni definirono Koch un «cocainomane», «tossicomane» e un «omosessuale»283. Per altri testimoni invece i membri della Koch avrebbero avuto comportamenti sessuali considerati all’epoca deviati come l’omosessualità e sarebbero stati organizzatori di orge <284. La descrizione comune di Koch e dei suoi uomini è quella che fossero dei seviziatori e degli abilissimi torturatori di partigiani. Altro punto che metteva in cattiva luce il Koch era il suo essere tedesco abbiamo un rapporto del questore Emilio Morazzini di Roma il quale lo definisce una persona che «nelle sue vene sente scorrere sangue tedesco […] non poteva essere se non istintivamente e naturalmente feroce e criminale in tutte le manifestazioni della vita» <285. Quindi l’essere tedesco o comunque più simile al tedesco sia nei metodi che nell’aspetto fu fondamentale per offrire a Koch la nomea di filo-tedesco. In effetti non si sentì mai partecipe appieno dell’esperienza della Repubblica Sociale Italiana: la sua banda ebbe legami più con i tedeschi che con altri fascisti, tenendo conto che correva astio tra i membri delle diverse polizie speciali <286. La brutalità della banda era tale che chi veniva preso prigioniero spesso preferiva finire nelle mani delle S.S. piuttosto che in quelle di Pietro Koch <287. Altra caratteristica che gli venne, questa volta erroneamente, attribuita fu quella di sterminatore di ebrei. Nonostante la sua brutalità e la somiglianza dei metodi con le S.S., Koch si occupò esclusivamente della ricerca degli antifascisti, di rapine, rapimenti ed omicidi <288.
[NOTE]
259 Griner, La banda «Koch», p. 55
260 ibidem
261 ibidem
262 ibidem
263 ibidem
264 ibidem
265 ibidem
266 ibidem
267 ibidem
268 ibidem
269 ibidem
270 ibidem
271 ibidem
272 ibidem
273ibidem
274 ibidem
275 ibidem
276 ibidem
277 ibidem
278 ibidem, p. 31 (e seguenti)
279 ibidem
280 ibidem
281 ibidem
282 ibidem
283 ibidem
284 ibidem
285 ibidem
286 ibidem
287 ibidem
288 ibidem
Federico Pierini, Armi, guerra e politica nella guerra civile italiana (1943-45), Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023

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