Avevano tra 50 e 60 anni quando furono chiamati a dirigere la Resistenza

La figura di Primo Savani costituisce un “caso particolare” non tanto per la sua persona, quanto piuttosto per le azioni di cui è protagonista. Il principale fatto emerso dalla documentazione, e che compare sotto il nome di “caso Mauri”, è quello della vicenda che si consuma all’indomani della liberazione, dopo mesi e anni di conduzione della lotta partigiana nelle vesti di Commissario Unico. Si tratta di un infelice epilogo per un uomo tra “gli anziani della politica cospirativa <317”, come si definì lo stesso Mauri, che dopo anni di intensa attività antifascista e di lotta partigiana festeggia la tanto agognata vittoria sfilando tra le file partigiane come semplice patriota, all’età di quarantasette anni. Tuttavia, non potendo più ignorare l’accusa che gravava su di lui, nel momento in cui egli dovette congedarsi dal suo incarico, non decise di ritirarsi e abbandonare il movimento, ma di continuare la lotta come semplice partigiano:
“è necessario che io mi attenga all’ordine del CMNE per dare esempio di quella disciplina la cui realizzazione nelle nostre file è stata una delle direttrici della mia opera di Commissario Politico. È doloroso lasciarci alla vigilia della Vittoria, dopo tanto fervore di opere in cordiale collaborazione, ma un soldato della nostra grande causa, deve essere forte anche nel dolore. A te e agli amici il mio saluto commosso e rispettoso. […] se nulla avrai in contrario, entrerò a far parte della 12a brigata Garibaldi per continuare a fare il mio dovere come partigiano” <318.
Fu un gesto, questo, di sincera adesione al movimento o per dimostrare la sua innocenza? Difficile a dirsi, come allo stesso tempo è difficile giudicare l’effettiva colpevolezza del Mauri. Se da una parte si possono prendere per buone le contestazioni di Gloria, per cui non si parlare di trattative avviate da Savani dal momento che il Commissario ha solo preso contatti per una questione che poteva portare alla distruzione del Nord Italia, dall’altra non si può non considerare il fatto che Mauri ben consapevole delle direttive impartite sui contatti con il nemico, in quanto Commissario politico ha trasgredito consapevolmente agli ordini.
Ma a parte le sentenze, ciò che interessa sottolineare è il fatto che l’attività partigiana di Mauri sia caratterizzata da due componenti: aver svolto la carica di Commissario ed essere un militante comunista; dopo la questione delle trattative, nonostante il suo noto passato e l’intesa attività patriottica, gli viene tolto ciò che più lo caratterizzava: il commissariato e il partito, “Mauri ha fatto tutto quello che non doveva fare un comunista” <319 è la sentenza di un suo compagno. Solo con il tempo Mauri riuscirà a rialzare la testa e a riabilitare il suo nome, non senza aver dovuto prima riconoscere davanti al partito, gli errori commessi: “con animo aperto sottoponendo ad un severo processo di auto critica il mio operato[…] per gli errori commessi sono stato giustamente colpito” <320. Un gesto, questo, che deve essere costato non poca fatica, dal momento che da quando ebbe inizio la vicenda, in tutte le relazioni o lettere da lui scritte, Mauri non fa mai cenno ad un suo errore e, al contrario, motiva e giustifica il perché di ogni azione da lui compiuta.
Tuttavia non si può analizzare la figura del Mauri basandosi esclusivamente su questo fatto, senza tener conto di tutta la sua attività nei mesi precedenti. In riferimento alla prima elezione del Comando Unico “Nardo” (Leonardo Tarantini) scrisse: “la limpida comprovata fede antifascista […] di un Mauri, corredata alla capacità di mediazione politica e organizzative palesemente dimostrate non potevano che tradursi in un incontrastata autorevolezza” <321; oltre all’indubbia fede antifascista e comunista, Mauri fu un Commissario che prese seriamente il compito assegnato e che indirizzò i suoi uomini verso la disciplina, il dovere e la collaborazione.
[…]
Dopo aver rappresentato il quadro dei rapporti tra le Brigate operanti sul territorio parmense, ci si è concentrati sul soggetto principale di questo capitolo, il Comando Unico Operativo. L’analisi dapprima ha riguardato l’esame delle quattro fasi in cui è stata suddivisa la storia del Comando Provinciale. Tale suddivisione non si è basata solo su una scansione cronologica, ma soprattutto tematica. Concentrandosi su quanto è emerso, seppur in maniera disordinata, dai documenti sono stati rilevati quattro momenti che costituivano degli snodi storici interessanti: la nascita del primo Comando Unico; la prima crisi conclusasi con la costituzione del Comando Delegato per la Zona Est della Cisa; la seconda crisi apertasi con le ipotetiche dimissioni di Arta e il “caso Mauri”, quest’ ultimo un po’ a se stante, perché riguardava principalmente un solo membro del Comando, ma che è stato inserito ugualmente negli andamenti del Comando Provinciale, visto gli agenti chiamati in causa nella vicenda (Mauri, Gloria, Cln, Nord Emilia).
Si è proceduto quindi con un approfondito studio di ogni fase, per permettere di capire su che tipo di rapporti politici e militari era strutturato il Comando e quali rapporti vigevano tra la provincia e il Comando immediatamente superiore: il Comando Delegato del CUMER. L’analisi delle tappe più cruciali del Comando, e di conseguenza del movimento, ha permesso di mettere in luce anche gli aspetti, le azioni e i giudizi che emergevano nei confronti dei due Comandanti, Arta e Gloria, e dei due Commissari, Poe e Mauri. L’esigenza di una analisi approfondita di questi eventi, è emersa anche dal fatto che per quanto ci fosse una consistente seppur sparpagliata documentazione su tali vicende, a questa non corrisponde, fatta eccezione per alcuni studi <322, un’esaustiva spiegazione nella principale bibliografia sul movimento di Parma. Probabilmente per ragioni di spazio o di poca utilità ai fini di una cronaca olistica sulla resistenza parmense, nei libri studiati i fatti presi in esame nel capitolo, se trattati, vengono spiegati in poche frasi e non permettono di cogliere alcuni snodi molto importanti e utili per lo scopo di questa ricerca.
Dallo studio fatto, ne è emerso un quadro molto interessante e complesso, dove le impellenze della guerra fanno solo da sfondo di un quadro dominato da delicati equilibri politici, “giocati” su un doppio livello: provinciale ed extraprovinciale. Se sul piano extraprovinciale, come abbiamo visto, i rapporti politici tra gli organi presenti sul territorio sono sfociati in una “lotta di potere” per il diritto di eleggere e scegliere i membri del comando, sul piano provinciale tale equilibri sono basati principalmente sul mantenimento di un rapporto simmetrico nella rappresentanza dei principali partiti. Sin dalla prima costituzione del Comando Unico si è cercato di rispettare il perfetto equilibrio tra i partiti a cui le brigate facevano riferimento: ad un Comandante Comunista corrispondeva un Commissario Democristiano e viceversa; questo ha portato a situazioni paradossali e ingombranti, come la presenza di ben tre Commissari e Vice Comandanti; il rischio, come gli esponenti del movimento constatarono in prima persona, era quello di inficiare la conduzione bellica in nome di una perfetta rappresentanza politica.
Seppur snellito, anche le questioni inerenti al nuovo Comando provinciale vertono sul rispetto della perfetta simmetria politica; ne è dimostrazione il fatto la presunta sostituzione del Commissario Unico Poe era dovuta unicamente al suo essere un democristiano, alla pari di Gloria, ipotetico candidato al Comando Unico. Anche il rifiuto da parte delle brigate Julia e Beretta, di accettare l’allontanamento di un noto esponente democristiano come Pellizzari, al posto di uno sconosciuto militare, anche se democristiano quali Gloria, dimostra come l’essere rappresentati politicamente nel Comando parmense rimanesse un fondamento da rispettare e difendere anche nei mesi a ridosso della conclusione bellica. Il rischio di una scissione interna tra le brigate venne sventato grazie al mantenimento del Comando eletto e scelto nell’ottobre del 1944, un Comando che non solo garantiva l’equilibrio politico, in entrambe le zone, ma che si è dimostrato, grazie alle persone da cui era composto, all’altezza della fiducia rivestita in loro.
Gli eventi e le crisi affrontate non coinvolgono unicamente i quattro membri dei due Comandi Unici, ma chiamano in causa anche altri organi: il Comitato di Liberazione provinciale, responsabile di aver nominato d’autorità il Coll. Gloria e che prese le difese nei confronti del provvedimento verso Mauri, il Comando Nord Emilia e gli Alleati Angloamericani. Si era già fatto cenno nell’introduzione del capitolo, al fatto che i principali rapporti con il Comando Interalleato, fossero di natura logistica e riguardavano gli accordi per inviare e ricevere materiale bellico tramite gli aviolanci. Tuttavia abbiamo visto l’intervento che il Comando Alleato, nella persona del capitano Bob, fece nel febbraio 1945 inviando una comunicazione nella quale il Comando Supremo Interalleato si diceva contrario ad ogni cambiamento in seno al Comando Unico ed elogiava la sua azione.
Questo ci può indicare come la natura dei rapporti tra i due Comandi si sia fatta più stretta e positiva e abbiano portato ad una collaborazione tra le due forze, tanto che in una relazione scritta da Gloria al termine della guerra di Liberazione si legge: “una particolare menzione va fatta della cordiale, fraterna assistenza e collaborazione che ai Volontari della Libertà hanno prestata le varie Missioni Alleate della Provincia: Parma ha voluto dimostrare la sua profonda riconoscenza, conferendo la cittadinanza onoraria al Maggiore Holland, Capo delle Missioni Inglesi e al Cap. Bob, Capo delle Missioni americane: due fieri soldati, due grandi camerati dei combattenti Italiani.” <323
Molto più complicata e controversa è la relazione con il Comando del Nord Emilia. Come abbiamo visto, sin dall’ottobre 1944, inizia tra il Comando della Zona Ovest e il Comando Delegato del CUMER una sottile contesa di potere: da una parte il diritto reclamato dai comandi di Brigata di eleggere democraticamente i propri capi, diritto difeso dagli stessi Arta e Poe, dall’altra la “pretesa” del Comando militare di nominare un Comandante competente dal punto di vista militare.
Il partigiano Nardo esprime bene con le sue parole l’importanza che i patrioti conferivano nella scelta dei loro comando, perché “i suoi componenti erano rappresentanti eletti delle brigate, erano partigiani tra i partigiani, scelti dagli uomini come guide non già in forza di un’autorità di gradi precostituiti o calati dall’alto, bensì per aver dato prova di se stessi nel corso della Resistenza armata o nella ventennale lotta antifascista”. <324 Entrambe le crisi furono risolte adottando delle soluzioni di compromesso. Diverso fu l’intervento del Comando Regionale nella questione del Caso Mauri, intervento che anche in questo caso sollevò obiezioni da parte del Comandante e del Comitato Parmense. Il Nord Emilia viene investito di alcune accuse non solo per il suo intervento nelle questioni parmensi, ma anche per il suo malfunzionamento interno e per un certo settarismo politico. Questo è quanto si evince dalle critiche mosse sia da Pellizzari che da Ceschi; ricordiamo le parole di denuncia emesse da Poe: “questo benedetto Comando, fluttuante, quasi larvale, inoperante e inutile” <325 e le osservazioni inviate da Ceschi al Comandante Bertola con l’invito di sostituire alcuni suoi collaboratori.
Alla luce di ciò si può presupporre che i rapporti tra i membri del Comando Unico e il Nord Emilia non fossero di effettiva collaborazione e probabilmente non basati su una stima e fiducia reciproca, dal momento che per il bene delle brigate Poe avanzò la proposta di mettersi sotto le dipendenze del Comando di Milano. La mancata sostituzione di Arta, così sostenuta dal Generale Bertola, come abbiamo visto nella lettera inviata al Comando Generale, è la dimostrazione che l’efficienza di un Comando non si basa solo sulle competenze militari ma soprattutto sulla fiducia e stima di cui gode, fiducia suggellata nel momento in cui è stata conferita all’unanimità la responsabilità delle vite di 5000 uomini.
Nella seconda e ultima parte del capitolo, ci si è concentrati sull’analisi singola dei membri del Comando. Studiando i giudizi e i pensieri emersi nelle quattro fasi analizzate, le direttive emanate e le azioni compiute, si è cercato di tracciare un profilo sul loro operato di Comandanti o Commissari. Nonostante le molte differenze individuali, si può constatare come nel complesso, i membri dei due Comandi Unici, convergano in alcuni tratti che li accomunano.
Fatta eccezione per Gloria, di cui poco si sa sul suo passato, Arta, Poe e Mauri sono uomini che hanno condiviso un passato di intensa attività antifascista, sono gli “anziani della politica cospirativa” per usare le parole di Mauri, con un’impostazione più politica che militare. Si tratta di persone non solo di una certa esperienza, ma anche di una certa età: avevano tra 50 e 60 anni quando furono chiamati a dirigere la Resistenza. Nonostante l’età, la poca esperienza militare e i dolori personali, che ognuno di loro doveva affrontare, essi seppero condurre con fermezza e paternalismo un movimento composto principalmente da giovani allo sbando e indisciplinati.
Nonostante le differenze politiche e religiose, i Comandanti e i Commissari Unici non solo seppero dar vita tra i loro comandi a rapporti di stretta e fedele collaborazione, ma guidarono il movimento della resistenza accumunati dai medesimi valori di disciplina, rispetto, dovere e soprattutto coesione ed unità tra tutte le forze del movimento, di qualsiasi livello e appartenenza. Il loro lavoro, i loro sforzi e i loro desideri, non erano rivolti solo alla vittoria della guerra, ma anche alla speranza di una futura società democratica e libera. In questo modo per i partigiani parmensi, la loro non fu solo una guida da seguire nei difficili momenti della battaglia, ma anche un esempio a cui ispirarsi come cittadini di una epoca che grazie al sacrificio di tutti, stava iniziando.
[NOTE]
317 AISREC, Fondo Lotta di Liberazione, busta RI, fasc. QM, f. 32.
318 Ivi, f. 41.
319 Ivi, busta 2 OD, fasc. OP b3, f. 59.
320 Ivi, busta RI, fasc. QM, f. 48.
321 L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, p. 165.
322 Cfr. per la figura di Giacomo Ferrari: Giacomo Ferrari, un uomo, una terra, una storia, a cura di M. Giuffredi, G. Massari e M. Rinaldi. E Vite ritrovate, Giacomo Ferrari, a cura di Tommaso Ferrari.
323 AISREC, Fondo Lotta di Liberazione, busta 1 OD, fasc. OC d1, f.84.
324 L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, p. 165.
325 AISREC, Fondo Lotta di Liberazione, busta 1 OD, fasc. OC d1, f. 83.
Costanza Guidetti, La struttura del comando nel movimento resistenziale a Parma, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2017-2018