L’ordine ricevuto parlava di presa in consegna di prigionieri cosacchi, non di una azione di forza contro truppe cosacche

Ovaro (UD). Fonte: Wikipedia

Ad Ovaro [in provincia di Udine], il 29 aprile [1945] si riunì il CLN della Val Degano per esaminare la situazione politico-militare e concordare l’atteggiamento da tenere nei confronti del Corpo speciale cosacco di cui era nota la decisione di ritirarsi in Carinzia puntando sul Passo Monte Croce Carnico, attraverso la Valle del But e la Val Degano. Il generale clima euforico nell’imminenza della fine della guerra e della dura occupazione tedesca e cosacca in Carnia portò alla proposta di una parte del CLN di imporre con la forza la resa ai reparti cosacchi in ritirata lungo la Val Degano. Il Commissario politico della Brg. “Garibaldi-Carnia”, comunista di elevata dirittura morale, Osvaldo Fabian <66, sostenuto dal rappresentante della Divisione Osoppo, si oppose nettamente alla proposta ritenendo assurda la pretesa di poter imporre con la forza la resa a migliaia di cosacchi armati, con le poche forze partigiane disponibili in zona. Era tra l’altro necessario evitare ulteriori sofferenze alla popolazione, già provata da sette mesi di privazioni e di prevaricazioni.derivanti dall’occupazione dei collaborazionisti russi. In questo caso, argomentava Fabian, valeva il detto “a nemico che fugge, ponti d’oro”. Non sarebbe stato saggio, infatti, provocare un avversario incattivito dal crollo delle sue illusioni e dalla prospettiva di un oscuro e minaccioso futuro. Le argomentazioni del Fabian ottennero l’approvazione della maggioranza ed i promotori dell’azione di forza si adeguarono.
Il giorno successivo, 30 aprile, si ebbe notizia dell’approntamento, a Tolmezzo e a Villa Santina, di enormi colonne di cosacchi a cavallo, a piedi, di profughi civili su carrette, pronti a muovere verso il confine. Anche grossi contingenti di truppe tedesche di stanza a Tolmezzo stavano muovendo verso la Carinzia. Il CLN era ora riunito in permanenza, dato il rapido succedersi degli eventi, presso il Municipio di Ovaro. La mattina del 1 maggio, giunsero in questa sede presentandosi al CLN, molti affiliati della Divisione Osoppo, partigiani dell’ultima ora, che sfoggiavano “divise nuove fiammanti” secondo quanto riportato dal Fabian, con il fazzoletto verde al collo. Li accompagnavano numerosi civili mai visti prima in zona. In un clima confuso e concitato, i nuovi arrivati reclamarono la necessità della resa del presidio cosacco di Ovaro-Chialina e di iniziative militari contro le colonne cosacche in ripiegamento. Essi affermarono di aver già intavolato trattative di resa con il presidio cosacco. Ben presto fecero prevalere la loro proposta affiancati dalla quella parte del CLN che già si era espressa due giorni prima a favore di un’azione di forza <57.
I nuovi arrivati osovani erano l’espressione di un gruppo costituito da imprenditori e industriali carnici, e dalle loro maestranze, che intendevano riscattare, con improvvisate e improvvide iniziative militari, il periodo di prudente attendismo e di mancata o tiepida adesione al movimento partigiano dei mesi precedenti. Questo gruppo, numeroso ed esagitato, riuscì quindi a imporre la propria soluzione, ribaltando quella più realistica ed economica adottata precedentemente per iniziativa del rappresentante del PCI e, al tempo stesso, Commissario garibaldino. In pratica, il vecchio CLN fu esautorato e sostituito da un nuovo CLN dominato dagli estremisti osovani che estromise di fatto la fazione garibaldina, che era sempre stata pronta a usare la forza contro gli occupanti stranieri, ma che in questo caso era fermamente convinta che l’uso della forza sarebbe stato una follia, dal punto di vista militare e gravido di funeste conseguenze per la popolazione civile. Il nuovo CLN mandò subito una staffetta a chiamare il reparto partigiano più vicino perchè si mettesse a disposizione del CLN per assumere la responsabilità dei prigionieri del presidio cosacco, una volta che questo si fosse arreso. Il reparto convocato era il battaglione garibaldino ‘Leone-Nassivera’ che però al momento disponeva solo di una ventina di uomini su un organico di circa cento. Il Comandante del battaglione, ignaro degli sviluppi in seno al CLN, ritenne di dover obbedire ad un organo che riteneva legittimo; l’ordine ricevuto parlava di presa in consegna di prigionieri cosacchi, non di una azione di forza contro truppe cosacche, azione che egli sapeva essere contraria agli intendimenti della Divisione Garibaldi <58. Fu contemporaneamente invitato a presentarsi al CLN anche il Comandante del presidio cosacco Magg. Nasikov che giunse accompagnato da uomini armati; si trovarono così insieme, davanti al Municipio di Ovaro partigiani osovani, garibaldini <58 e militari cosacchi, gli stessi che per sette mesi si erano duramente combattuti. Alla riunione partecipò anche il Fabian, rappresentante del PCI cui il CLN ordinò di nascondere il fazzoletto rosso, di tenersi in disparte e di non intervenire per non irritare i parlamentari cosacchi che odiavano i garibaldini comunisti. Egli, quindi, dovette assistere alle trattative, impotente ad influire sul corso degli eventi ormai nelle mani della corrente osovana più oltranzista quanto irresponsabile. A parte la velleitaria convinzione da parte degli osovani di dominare la situazione, nulla era pronto: non esisteva un piano di operazione militare, nessuna predisposizione tattica o logistica era stata attuata, pochi erano i partigiani di provata esperienza di lotta. Questo nuovo CLN voleva la resa del presidio cosacco di Ovaro-Chialina e, in successione, lo scontro frontale con le colonne cosacche in arrivo da Tolmezzo e da Villa Santina. Alla richiesta di resa, il Comandante del presidio, sorridente ed affabile, non oppose un rifiuto, ma tergiversò con motivazioni pretestuose e dilatorie, evidentemente in attesa dell’arrivo delle colonne cosacche in marcia da Tolmezzo. La riunione si concluse nel pomeriggio con un nulla di fatto e fu aggiornata al giorno successivo.
Durante la notte il Fabian, che si era fermato a riposare in una casa di Chialina, venne svegliato da partigiani osovani che gli presentarono il capitano georgiano Akaki il quale, con i suoi 30 uomini, intendeva schierarsi con i partigiani contro i tedeschi <60. Nella stessa notte, gli impazienti parlamentari osovani si erano presentati al distaccamento del presidio cosacco di Chialina, chiedendo la resa, ma furono accolti da raffiche di mitra. Ritiratisi senza perdite, con il favore delle tenebre, addossarono al muro della caserma una forte carica esplosiva che fu fatta brillare all’alba.
Era iniziata la battaglia di Ovaro. L’esplosione aveva determinato il crollo della palazzina e la morte di numerosi cosacchi e familiari colà alloggiati <61. I partigiani osovani e il battaglione garibaldino, integrato dai georgiani, portavano a fondo l’attacco al distaccamento e malgrado la rabbiosa reazione dei supersiti cosacchi, ne ebbero ben presto ragione, catturando 150 cosacchi che furono trasferiti a Prato Carnico.
I partigiani, imbaldanziti dal successo ottenuto a Chialina, si portarono ad Ovaro e iniziarono l’attacco frontale al grosso del presidio cosacco asserragliato nell’albergo Martinis, e nell’attiguo municipio. Il combattimento si protrasse per alcune ore e la guarnigione cosacca stava per soccombere nei due edifici ormai in fiamme.
A questo punto sopraggiunse la colonna cosacca in ritirata da Villa Santina. Dopo aver fissato l’avversario frontalmente, con il fuoco, il Comandante dell’avanguardia cosacca attuò una manovra di avvolgimento disponendo che gli junker raggiungessero, senza farsi vedere, le alture sovrastanti Ovaro, e da lì investissero sul fianco e sul tergo i reparti partigiani impegnati nell’attacco al Municipio. La sorpresa riuscì e la massa degli osovani, presa tra due fuochi, si dileguò lasciando soli i garibaldini e i georgiani <62. Esaurite le munizioni, anche questi dovettero disimpegnarsi e disperdersi, mentre i cosacchi, padroni del paese, sparavano indiscriminatamente contro le abitazioni e i rari civili che si erano avventurati fuori dalle case. Fu ucciso anche il parroco di Ovaro, accorso per somministrare l’estrema unzione ai civili morti o moribondi. In totale vi furono ventisei morti tra la popolazione <63, cui si aggiunsero tre partigiani e otto georgiani. Alla vista dei caduti georgiani, i cosacchi infuriati infierirono sui loro corpi che disposero, su una piazzetta dietro al Municipio, in modo tale che formassero una stella a cinque punte <64.
La battaglia di Ovaro, alle 16.00 del 2 maggio, era quindi conclusa.
Esiste anche un resoconto della battaglia di Ovaro, fatto da Mario Candotti, Comandante della Divisione Garibaldi-Carnia, che la notte tra il 1 e il 2 maggio, avvertita la forte esplosione verso Ovaro e la successiva sparatoria, si era portato con alcuni partigiani a Muina, sulla riva destra del Torrente Degano – sul versante della valle opposto quindi a quello di Ovaro – ove scorse nell’oscurità la lunga colonna di cosacchi ferma due km. a sud di Ovaro.
[NOTE]
56 O. FABIAN, Carnia – Lotta ed eroismi: 1900-1945 (dattiloscritto, circa 1971), IFSML, Misc. Varie Fasc. Z/z-1, pp. 140-142.
57 O. FABIAN, op. cit., p. 143.
58 Il Cte del battaglione era Elio Martinis (“Furore”) il quale, secondo una testimonianza resa a Noemi Calzolari che nel 2002 realizzò, per conto della sede regionale RAI del Friuli – Venezia Giulia, un film-documentario, “Kasakenland in Italien” sulla presenza dei cosacchi in Carnia. Martinis sostenne che egli oppose inizialmente un rifiuto sulla base della posizione assunta dal Cdo della Divisione “Garibaldi”, ma poi dovette obbedire perchè minacciato di fucilazione dal nuovo CLN.
59 I garibaldini avevano tolto il fazzoletto rosso per espresso ordine del CLN, onde evitare inutili provocazioni. O. FABIAN, op. cit., p. 144.
60 O. FABIAN, op. cit., p. 146. Secondo un’altra fonte, il Capitano georgiano era da tempo in contatto con Fabian che lo aveva inviato con un biglietto di presentazione, con i suoi uomini, al Comandante della Brigata Garibaldi il 26 aprile. Questi aveva subito disposto che il plotone georgiano fosse posto alle dipendenze del Comandante del battaglione “Leone – Nassivera”, lo stesso che fu poi chiamato dal CLN ad Ovaro il 30 aprile. , pp. 272-278.
61 43 morti e 26 feriti. P.A., op. cit., p. 172.
62 O. FABIAN, op. cit., pp. 152-153.
63 I funerali delle vittime civili dei cosacchi furono celebrati il 5 maggio. Quel giorno apparvero scritte murali di condanna di chi aveva voluto l’inutile azione di forza contro il presidio cosacco, provocando lutti e distruzioni. P.A. CARNIER, op. cit., p. 201. N. CANCIANI, op. cit., p. CCCXLIV.
64 Secondo il Comandante della Divisione Garibaldi-Carnia, M. Candotti, i cadaveri dei georgiani furono disposti non a forma di stella, ma di svastica. M. CANDOTTI, op. cit., p. 276.
Antonio Dessy, Kosakenland in Nord Italien – I cosacchi di Krassnov in Carnia (agosto 1944 – 6 maggio 1945) e loro forzata consegna ai sovietici (28 maggio – 7 giugno 1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2003-2004


Il Maggiore cosacco parlava poco, sorrideva e visibilmente tergiversava per guadagnare tempo ed è logico che così facesse, alla luce di quanto poi avvenne, essendo chiaro che egli ben conosceva le direttive unitarie dei suoi connazionali e la strategia da ciò derivante e sapeva anche che da Villa Santina era in marcia verso Ovaro, risalendo la valle per portarsi ai Passi per l’Austria, l’intero esercito cosacco e tedesco.
Il Presidio cosacco di Muina distante da Ovaro pochi chilometri per il momento non si era mosso ma controllava la Valle di Gorto nel suo punto più vulnerabile verso levante, in attesa di unirsi anch’esso alla colonna in ritirata, raccogliendo tutti i cosacchi di Tolmezzo, Verzegnis e Villa Santina.
La riunione finì con un nulla di fatto in quanto il Maggiore cosacco mantenne la sua posizione di attesa con vari pretesti cosicché essa venne aggiornata al giorno successivo, né quegli strateghi da strapazzo dell’ultima ora si avvidero quanto meno del fatto che il tempo giocava sicuramente a loro danno per l’approssimarsi del grosso dell’esercito nemico.
Mi recai a Chialina molto stanco e demoralizzato per passare qualche ora di riposo e con me vi era il segretario del C.L.N. di Prato Carnico.
Verso mezzanotte bussarono al portone ed entrarono alcuni partigiani della Osoppo accompagnati da alcuni russi georgiani con un ufficiale di questi ultimi, un piccolo gruppo passato a collaborare con i primi, tutti comandati dal comp. Amleto della Osoppo, che trainavano una vecchia mitragliatrice con le ruote e con lo scudo di protezione che fu da loro sistemata ad una finestra del corridoio con la canna puntata verso la strada sottostante. Dopo di che i sopravvenuti si buttarono a terra a riposare dicendo che stavano aspettando ordini.
Nell’attesa, che fu lunga, potei conversare per parecchio tempo con l’ufficiale georgiano che già conoscevo in quanto in un primo tempo, volendo disertare ed unirsi a noi, era stato indirizzato a me per accordi di collaborazione ed io lo avevo inviato da Furore onde venisse da lui utilizzato, un ex capitano dell’Armata Rossa, il cap. Akaki, a suo tempo già prigioniero dei tedeschi, il quale raccontò di essere professore in Lettere e Filosofia, insegnante in un liceo russo.
L’ufficiale parlava in uno stentato italiano quasi incomprensibile ma invece molto bene in francese, cosicché sul terreno di questa lingua che conoscevo per averla parlata a lungo durante l’emigrazione potemmo capirci perfettamente.
Rimasi stupito per la sua alta preparazione culturale e mi parlò con entusiasmo e profonda cognizione di Marx, Lenin, Stalin e poi passò con altrettanta profondità di pensiero a Schopenauer, Schiller, Goethe, Dante, Milton ed a tanti altri filosofi, letterati e grandi uomini della cultura universale antica e moderna, da lasciarmi veramente estasiato ma anche umiliato quando ad un certo punto esclamò che noi italiani non sapevamo neppure l’immenso patrimonio culturale della nostra terra, quasi ignorando nomi come Giordano Bruno, Nicolò Machiavelli, Tommaso Campanella ed altri universali maestri del sapere.
Mentre discorrevo pacatamente con quell’erudito e civilissimo personaggio, come ora si rivelava, il mio pensiero intanto non poteva dimenticare che egli era stato uno dei tanti traditori della patria sovietica, uno dei tanti nostri aguzzini sino a quel giorno, uno che forse con le sue armi aveva ammazzato miei compagni o deportato mio figlio Vero poi deceduto nei Lager nazisti od aveva combattuto contro i nostri compagni del Btg. Stalin al Rifugio De Gasperi.
Ora egli evidentemente con quella sua partecipazione dell’ultimo minuto alla guerra antifascista, si proponeva di far dimenticare le sue precedenti colpe e riscattarsi per il giudizio finale, come poi d’altronde ebbe modo di fare con la sua morte da valoroso, della quale parlerò più avanti.
Ma mentre discorrevo con lui in quello strano silenzio il mio pensiero era altrove, ero irrequieto, presagivo la tempesta che sarebbe presto venuta.
Al primo chiarore del mattino mi ero da poco assopito, quando udii un tuono, boati tremendi e poi un diluvio di spari che facevano tremare la casa.
Un quadretto appeso sopra il divano ove mi ero assopito mi cadde in testa. Balzato in piedi uscii per rendermi conto di cosa stava succedendo e vidi nel corridoio il capitano-filosofo che dalla finestra con la mitragliatrice sparava fittissime raffiche contro l’edificio vicino. Sbirciai da altra finestra e scorsi che l’edificio della ex caserma dei Carabinieri, situato a circa settanta-ottanta metri di distanza, usato come accantonamento di altre truppe cosacche, presentava la facciata verso strada quasi completamente demolita per lo scoppio di una carica esplosiva piazzata coraggiosamente, come seppi dopo, dal garibaldino Max (Giacomo Da Pozzo).
Dalle stanze di tale edificio semidistrutto, sopra al pianoterra, tra le grida dei morenti, i cosacchi superstiti incrociavano il tiro delle loro armi automatiche contro la casa dove mi trovavo e contro il valoroso capitano georgiano e gli altri partigiani osovani. Le raffiche fischiavano sopra la mia testa e calcinacci mi piovevano addosso.
Vista l’intensità del combattimento e rendendomi conto dopo un po’ di essere più che altro di impiccio in quanto ero armato solo di pistola, uscii dal retro per recarmi a controllare la situazione dall’esterno e nel centro del paese.
Ero sdegnato e preoccupato per il risvolto che le cose avevano preso.
Nel chiaro-scuro del mattino scorsi un piccolo reparto di altri uomini armati osovani indecisi ove dirigersi, li fermai e li incitai a seguirmi, il che fecero, onde almeno portare rinforzo a quelli che già stavano combattendo, cosicché ci dirigemmo verso l’abitato e qui portai in posizione il reparto che iniziò a sparare partecipando all’azione che portò all’unico momento favorevole agli attaccanti e che ebbe come effetto la resa e la cattura del superstite presidio dei cosacchi di Chialina.
Chiesi cos’era successo nella notte e venni a sapere che il Maggiore Nauziko che aveva così a lungo parlamentato il giorno prima e fatto dilazionare e fallire la trattativa per la resa, si era poi asserragliato nel suo rifugio con i suoi cosacchi fedeli portando con sé anche alcuni ostaggi del luogo e quando alcuni capi militari della Osoppo si erano ripresentati ripetendo ingenuamente le richieste di resa aveva risposto con scariche di armi automatiche, cosicché gli Osovani si erano dovuti ritirare e la battaglia era iniziata per ordine dei capi della Osoppo.
Di notte poi una cassa con circa mezzo quintale di esplosivo era stata posta dai nostri garibaldini accanto al muro dell’edificio ove erano accantonati i cosacchi ed era stata fatta esplodere all’alba.
Chi fossero e da dove provenissero quelle forze irresponsabili che avevano provocato tutto ciò ormai è noto, come a me fu noto allora sin dal primo istante.
Purtroppo era avvenuto l’incontro di due fattori di diversa natura, la collusione tra i quali è data per pacifica persino dal Carnier nel suo libro, collusione che determinò catastrofici risultati.
Da un lato uno degli elementi determinanti fu l’atteggiamento assurdamente oltranzista assunto da certi capi dell’Osoppo e degli industriali del luogo vogliosi, contro ogni logica militare, di “attaccar briga” con uno strapotente nemico, in circostanze assolutamente sfavorevoli, forse mossi dalla smania di un supplemento di glorie militari.
Quali speranze infatti potevano avere questi pazzi strateghi affrontando oltre 30.000 cosacchi furiosi, armatissimi anche con armi pesanti, scagliando contro di essi un centinaio al massimo, a dir tanto, di garibaldini ed osovani malissimo armati, con scarse munizioni e per giunta senza che fosse stato predisposto un qualsiasi piano di battaglia?
Dall’altro lato vi fu un chiaro movimento posto in essere da ben noti industriali della zona e da loro fiancheggiatori al fine di provocare un episodio, sia pur tardivo, che potesse attestare una loro diretta ed attiva partecipazione alla lotta contro i nazifascisti onde far perdonare o dimenticare tutta una vita di colpevole loro assenteismo e di rottura con i problemi sociali delle popolazioni carniche, oltre che di aperta connivenza dapprima con il fascismo dal quale molti di essi per vent’anni avevano tratto protezione, onori, potenza e ricchezza, poi con i nazisti ai quali avevano continuato a vendere legname anche a scopi bellici traendone ulteriori ricchezze.
Lo stesso Carnier, nel suo citato libro, ha individuato a chiare lettere il personaggio responsabile di questo assurdo connubio politico-militare nel comandante osovano Paolo (Alessandro Foi), comandante della 5a divisione Osoppo Pal Piccolo avente giurisdizione su tutta la Carnia e non sono a conoscenza di querele, smentite o richieste di accertamenti per provare il contrario né da parte del personaggio indicato stesso né da parte dei suoi comandi superiori.
lo stesso d’altronde sono testimone diretto che egli fu uno dei più esagitati propugnatori dell’assurda tesi dello scontro armato e l’esautoratore del legittimo C.L.N.
L’ansia di quei ceti industriali d’altronde era evidente in quanto essi come detto, persino negli ultimi tempi dell’occupazione nazista avevano trescato e fornito materiali al nemico sterminando il patrimonio boschivo demaniale, continuando ad arricchirsi smisuratamente, continuando a danneggiare sistematicamente da oltre vent’anni gli interessi popolari ai cui bisogni erano rimasti sempre sordi. Evidentemente questi ceti industriali non avevano ritenuto sufficiente per rifarsi una verginità il saltuario e comunque ultramodesto aiuto pecuniario da essi offerto durante il periodo della Resistenza contribuendo alle sottoscrizioni lanciate dai C.N.L. e ben si comprende il perché in quanto con tali pochi contributi di danaro alla Resistenza a mio parere avevano restituito meno di un milionesimo di quanto avevano depredato in tanti anni.
Questi industriali e capitalisti della zona, direttamente o per mezzo dei loro servitorelli, erano intenzionati a perpetrare qualsiasi altro crimine antipopolare, mascherato a parole con la parvenza di un presunto atto eroico contro i tedeschi ora che erano vinti, pur di riuscire a reinserirsi nel gioco dell’ltalia del dopoguerra con la maschera della verginità.
Detto scopo fu da essi ricercato eccitando e turbando gli animi dei già tanti politicamente indecisi, dei troppi impreparati ed immaturi per quei momenti che erano anche di profondo rivolgimento sociale, indirizzandoli come strumenti, talora consci ma più spesso inconsci, a commettere atti inconsulti gravemente lesivi degli interessi delle genti.
Tale vile proponimento venne attuato con la connivenza e l’appoggio dei famosi eroi partigiani da strapazzo dell’ultima ora, traendo vantaggio dal sangue della gente indifesa e dagli eroismi di Furore e dei suoi uomini che nel momento estremo della lotta, come in concreto è avvenuto, furono lasciati quasi soli, con pochi altri elementi di base dell’Osoppo e della Garibaldi, a combattere contro la sopraggiunta marea cosacca; traendo vantaggio, questi eroi fasulli, da un episodio dolorosissimo, dal sangue e dalle ulteriori inutili stragi della povera gente dei luoghi posta in balia di un furente e soverchiante nemico mentre essi, venuto il momento decisivo, erano fuggiti né altro avrebbero potuto fare davanti ad un intero feroce esercito deciso ad aprirsi la strada con qualsiasi mezzo verso l’ipotizzata salvezza.
Non si indigni né si stupisca il paziente lettore per quanto ho affermato: la verità è, e nessuno lo potrà contestare, che anche tra i partigiani cosiddetti combattenti vi furono accanto ai partigiani veri, coscienti e duri, che veramente combatterono a fondo e pagarono di persona, anche quelli fasulli.
Vi furono gli eroi ma vi furono anche i pavidi ed i vili. I primi, i veri combattenti, non furono molti perché di essi pochi sono i sopravvissuti e sono proprio quelli che dopo la guerra sono stati rigorosamente messi da parte dai cosiddetti benpensanti e dai “cadreghinisti” e talvolta più duramente perseguitati.
I secondi, gli opportunisti, furono la grande maggioranza e sono coloro che ovviamente scansando pericoli si salvarono giocando sulla pelle dei veri combattenti, conservandosi alle glorie del dopoguerra ed alla mietitura di infinite immeritate successive ricompense.
Questa è una dura verità storica, una amara constatazione che nessuno potrà smentire, che pochi hanno il coraggio di dire e di riconoscere, ma che farà insorgere soltanto coloro che hanno la coda di paglia.
(passi dal libro di Osvaldo Fabian, Affinché resti memoria. Autobiografia di un proletario carnico: 1899-1974, Kappa Vu, 1999 – per gentile concessione dell’Editore)
Redazione, Osvaldo Fabian “Elio”, La battaglia di Ovaro. La liberazione, Carnia Libera 1944