L’opposizione politica tunisina accusò i paesi occidentali di complicità con il Presidente

Nel luglio del 2005, in occasione dell’anniversario della Repubblica, Ben Ali enfatizzò la cruciale importanza della difesa della legge, riaffermando il suo impegno nel promuovere il dialogo democratico solo tra partiti e organizzazioni osservanti della Costituzione, non con quei gruppi politici che agivano sotto copertura della religione; con ciò, si attirò l’accusa da parte di Mokthar Trifi, il presidente della LTDH, di voler portare avanti una nuova offensiva contro le organizzazioni umanitarie, bloccando i fondi e impendendo l’accesso alle sedi di incontro delle loro attività.
Tra il 16 e il 18 novembre dello stesso anno, la Tunisia ospitò il secondo ‘World Summit of the Information Society’ (WSIS), che raccolse gran numero di partecipanti <157: per Ben Ali il summit fu nuovamente l’occasione per mostrare il volto di un paese moderno, deciso a investire nelle tecnologie di informazione. Tuttavia, gli oppositori denunciavano la realtà di uno Stato di polizia che non tollerava critiche, imprigionava gli avversari politici, ignorava i diritti umani, ostacolava la libertà di stampa e bloccava l’accesso ai siti internet usati dai dissidenti; a sua volta, Amnesty International condannò gli attacchi alla libertà di espressione da parte del Presidente e l’opposizione politica tunisina accusò i paesi occidentali di complicità con il Presidente stesso, perché gli permettevano di agire in totale impunità dato che il suo regime combatteva contro l’islamismo radicale.
Agli inizi del 2006 Moncef Marzouki, un sostenitore della cooperazione con ‘en-Nahdha’, fu chiamato a formare un “fronte democratico” aperto a tutti, con la sola esclusione di quanti appoggiassero l’islamismo oltranzista e volessero reintrodurre la legge della sharia; a conferma della buona volontà, Ben Ali garantì il rilascio di 359 detenuti, tra cui 70 membri di ‘en-Nahdha’ e otto persone già condannate per attività sovversive su internet. Nel mese successivo, la stampa tunisina riportò che un gruppo di 10 studenti universitari erano stati arrestati a Gafsa, sospettati di avere dei legami con al-Qaida <158 e di pianificare un attentato contro ambasciatori e diplomatici stranieri accreditati in Tunisia. L’amnistia concessa nel luglio del 2007 a 21 prigionieri politici non valse ad attenuare le critiche internazionali nei confronti del regime, che furono iterate da Amnesty nel rapporto del maggio 2008.
Nel gennaio del 2008 esplose nel bacino minerario di Gafsa <159 – una delle zone più ricche del paese in termini di risorse estrattive, ma anche tra le più povere come tenore di vita – una rivolta che per la sua gravità è stata accostata da qualcuno alla ‘rivolta del pane’ (sopra, p. 153). La rivolta fu determinata dalle proteste per la contrazione dei posti di lavoro, che innescarono poi una serie di ulteriori rivendicazioni <160; l’agitazione durò a lungo, in giugno furono arrestate 200 persone, tra sindacalisti e altri cittadini.
Il 25 ottobre 2009 Ben Ali ottenne un quinto mandato presidenziale, con l’89,6% dei voti; e pochi mesi dopo, nell’estate del 2010 si aprì una campagna di stampa a favore della nuova possibile sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2014, fatto che avrebbe implicato una modifica della Costituzione per spostare il limite d’età entro cui rivestire questa carica.
L’iniziativa fu valutata negativamente in Tunisia, per giunta la fuga di notizie legata allo scandalo Wikileaks fece emergere nel dicembre 2010 un giudizio severo anche della stessa diplomazia americana sull’operato di Ben Ali in fatto di libertà di espressione, corruzione, problemi sociali <161, il che indebolì ulteriormente la posizione politica del Presidente, con una forma di implicita delegittimazione.
Tra la fine del 2010 e i primi giorni del 2011 scoppiò la cosiddetta ‘rivoluzione dei gelsomini’, destinata a segnare la vita politica della Tunisia <162. Il 17 dicembre 2010 a Sidi Bouzid il giovane Mohamed Bouazizi, di 26 anni, vedendosi privato dei mezzi di sussistenza, si versò addosso una bottiglia di benzina e si diede fuoco davanti al palazzo del Governatore. L’atto diventò subito un simbolo di protesta e un capo d’accusa nei confronti del Governo e nonostante la rigida censura dei media ufficiali tunisini fece il giro del mondo tramite facebook e twitter <163. E sempre grazie ai social network il 25 dicembre la protesta si estese alle grandi città del centro della Tunisia, Kairouan, Sfax, due giorni dopo approdò a Sousse e alla capitale; emersero i motivi profondi della sommossa, soprattutto la volontà dei Tunisini di recuperare la dignità di popolo sovrano. Il 28 dicembre Ben Ali organizzò una risposta mediatica con un messaggio televisivo al popolo tunisino, in cui accusava i ‘nemici della patria’ e alcuni canali televisivi stranieri di voler destabilizzare il Paese agli occhi di investitori e turisti; ma nei primi giorni di gennaio del 2011, soprattutto dopo la lunga agonia e la morte del giovane Bouazizi e in seguito alla sollevazione degli universitari del 10 gennaio, giorno di ripresa delle lezioni accademiche, l’onda della rivolta diventò inarrestabile,
raggiungendo Hammamet, una delle mete turistiche più frequentate della Tunisia e dunque cassa di risonanza dei fatti. Nell’area urbana estesa di Tunisi scattò il coprifuoco dalle 20 alle 5.30. Il giorno successivo, dopo una notte di sparatorie e di morti, il Presidente rivolse alla nazione un discorso in arabo-tunisino in cui confessò di aver commesso errori perché mal consigliato e mal informato sullo stato reale del paese, promise libertà di stampa e di espressione, illimitato accesso alla rete e democrazia, riduzione del prezzo del pane e della farina e rinuncia alla candidatura per il 2014. Di fatto però non interruppe la repressione, cui tennero dietro il giorno dopo, 14 gennaio, l’imponente manifestazione popolare dell’Avenue Borguiba e, in successione convulsa, le dimissioni dell’intero Governo, la promessa di elezioni anticipate entro sei mesi, la fuga di Ben Ali in Arabia Saudita <164, l’annuncio di un governo di transizione, infine, il giorno dopo, voci di un colpo di Stato e il passaggio dei poteri al Presidente del Parlamento <165. I disordini legati a questa sommossa non furono incruenti (con bilancio finale di circa 100 morti), ma per fortuna non degenerarono in guerra civile grazie al non-intervento dell’esercito.
[NOTE]
157 Si trattò di 1.500 persone (provenienti da organizzazioni internazionali), 6.200 ong, 4.800 dal settore privato e 980 dai media.
158 Cf. Lawless, p. 1118.
159 Chouikha – Gobe Tunisie e Retour (cfr. la bibliografia).
160 Per esempio, denuncia del nepotismo nelle assunzioni scagliata dai giovani, rivendicazione da parte delle vedove dei morti sul lavoro e altro. La protesta è stata descritta dal giornalista Gabriele Del Grande, nel suo blog http://fortresseurope.blogspot.it/; e cfr. anche Russo – Santi, Non ho più paura. Tunisi, diario di una rivoluzione, Gremese, Roma, 2011, pp. 29 ss.
161 Francesca Russo – Simone Santi, Non ho più paura. Tunisi, diario di una rivoluzione, Gremese, Roma, 2011, pp. 34 ss.
162 Esula dagli scopi della presente ricerca analizzare minutamente la ‘rivoluzione’ tunisina e i suoi esiti; ci si limiterà solo a qualche cenno, per cercare di cogliere l’atteggiamento della Chiesa di fronte a questa nuova sfida (cfr. più avanti, il § 10). Basterà un essenziale rinvio, del tutto parziale e semplicemente indicativo, a: Anselmo, Brondino Nord Africa, Bussac, ‘Dégage’, El Boussaïri Bouebdelli, Lawless pp. 1107 ss., Meddeb, Nicosia, Quirico, Rizzi, Russo-Santi, Sfeir, G. Del Grande in fortresseurope.blogspot.it. (tutti citati per esteso in bibliografia).
163 Russo – Santi, p. 41.
164 Ancora Russo – Santi, p. 133.
165 In base all’art. 57 della Costituzione (introdotto dallo stesso Ben Ali), il passaggio dei poteri al Primo ministro è dovuto a incapacità temporanea del Presidente, cosa che, di fatto, lascia spazio a un eventuale ritorno. Ben Ali fu temporaneamente sostituito nelle sue mansioni dal Presidente della Camera in carica, Fouad Mebazaa, già personalità di spicco del partito RCD, da cui si era dimesso in data 18 gennaio 2011. A sua volta Fouad Mebazaa fu sostituito nel dicembre del 2011 da Moncef Marzouki, scelto anche sulla base della sua disponibilità al dialogo (come emerge per esempio dal suo intervento in occasione dell’incontro Oasis, in http://www. oasiscenter.eu.). Regista di tutta questa operazione politica fu Rachid Ghannouchi.
Maria Chiara Cugusi, Una testimonianza silenziosa. Storia della Chiesa cattolica in Tunisia dal Trattato del Bardo alla ‘rivoluzione dei gelsomini’, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari, Anno Accademico 2013-2014