L’intera compagine giellista prese parte attiva alla liberazione di Genova

Genova: Palazzo San Giorgio

Portatosi quindi nello Zerasco e insediato il suo comando a Torpiana (a mezza strada tra Sesta Godano e Pontremoli in linea d’aria), Antonio Zolesio, sotto lo pseudonimo di copertura di Capitano Antonio, aveva dato vita, a partire dal Natale 1943 e con l’ausilio di eminenti esponenti della Resistenza spezzina quali i cugini Basevi (di origine israelita), l’avvocato Poletti, Mario Da Pozzo, Vero Del Carpio, Mario Foce, Cesare Godano, Vittorio Manfredini ed altri, ad un nucleo di partigiani giellisti inquadrati in un primo tempo nella brigata d’assalto lunigiana la quale, pur disperdendosi con perdite significative a seguito del fulmineo rastrellamento nemico del 5 aprile 1944, finirà comunque col costituire l’embrione della più celebrata colonna spezzina Gl che arriverà a contare nelle ultime settimane del conflitto circa 800 unità con ben 111 giovani combattenti caduti in azione. Sommamente utile tuttavia, in quei cento giorni di militanza sul campo, l’esperienza che Zolesio ebbe modo di acquisire quanto a contatti diretti con l’intelligence alleata sia di matrice britannica (il Soe assiduo in quell’area a protezione del maggiore inglese Gordon Lett e della sua brigata internazionale) sia di matrice statunitense (Oss): di ciò egli farà tesoro in seguito in circostanze peraltro fondamentalmente dissimili.
Infatti alla data del 5 aprile 1944 Zolesio non era più al riparo dei monti Picchiara e Gottero e Fiorito: già alla fine del mese di marzo era stato richiamato da un giorno all’altro e dirottato in Fontanabuona dove, assunto
l’identificativo tutto genovese di Umberto Parodi, l’attendeva una nuova dura prova.
I capi azionisti della delegazione ligure delle formazioni partigiane Gl, infatti, anziché garantirgli preventivamente un consenso pieno presso le organizzazioni consorelle, già presenti e operative sul campo, allo scopo di fugare da subito potenziali incomprensioni e malintesi circa la propria volontà di operare autonomamente a fianco delle formazioni garibaldine e in armonia con esse, avevano colpevolmente omesso di preparagli il terreno in tal senso cosicché i rapporti di accoglienza dei primi giellisti al loro apparire in quella che sarebbe stata poco più tardi battezzata VI Zona militare operativa, all’epoca già presidiata per l’appunto dai garibaldini, furono quanto meno burrascosi.
Per soprammercato e senza preventivo avviso alcuno, la notte tra il 4 e il 5 luglio 1944, da un casone di Serra di Moconesi dove aveva insediato provvisoriamente il suo comando, Zolesio-Umberto diede il via all’azione, a lungo studiata, di occupazione del campo di concentramento 52 dei Piani di Coreglia (Calvari) guardato dalla milizia fascista e da militari dell’esercito di Salò e già adibito alla detenzione di prigionieri di guerra del Commonwealth. Nella circostanza una trentina di armati guidata da Murri (il capitano Franco Fantozzi) liberò una ventina di detenuti politici e civili ebrei destinati ai lager germanici e si impossessò di svariato materiale bellico e di sussistenza.
L’inattesa liberazione del campo di Calvari si coprì così di significati simbolici ben al di là degli effetti pratici ottenuti ed ebbe la conseguenza di porre definitivamente i Gl in rotta di collisione con i garibaldini i quali, rivendicando l’esclusiva della ‘gestione’ della guerra partigiana di montagna e il monopolio della loro presenza sul territorio, non sopportarono quella che, nella ortodossa osservanza dello ‘spirito di Cichero’, si configurava ai loro occhi come l’ennesima intollerabile devianza da parte dei ‘concorrenti’ giellisti.
In una settimana accadde di tutto: prima che, con l’intervento di tutte le delegazioni dei partiti dell’esarchia antifascista, del Comando unificato militare regionale e di diversi Comitati di liberazione nazionale (quello dell’Alta Italia innanzitutto), si giungesse ad un accordo dignitoso e soddisfacente sottoscritto dalle due parti dopo non meno di tre incontri di vertice e d’una serie di comunicati talmente copiosa da riempire un intero faldone, la formazione Parodi fu sottoposta, da parte dei componenti della 3ª brigata Garibaldi (comandata da Aldo Gastaldi e futura divisione Cichero), a due successivi disarmi manu militari e privata di tutto l’armamento e di parte dei generi alimentari primari: in pratica ciò che s’era salvato nella prima fase del disarmo venne alienato nella seconda vanificando tutti gli sforzi per addivenire ad un accordo che sancisse pacificamente una convivenza purchessia tra le due pur asimmetriche frazioni.
Il protocollo d’intesa venne infine sottoscritto tra le parti il 5 agosto 1944, ratificato con un comunicato ufficiale emesso dal Comando unificato militare regionale ligure (Cumrl) in data 12 agosto 1944, e il suo contenuto divulgato presso tutti i distaccamenti.
Verso la fine d’agosto si scatenò la prima vera offensiva su larga scala contro i ‘ribelli’ dell’intera Zona condotta da truppe germaniche congiuntamente a forze repubblicane. Il massiccio rastrellamento mise in luce le inevitabili debolezze e le prevedibili carenze del dispositivo militare partigiano il quale, salvo alcune strenue sacche di difesa di taluni capisaldi nelle aree di Barbagelata e dell’Antola più a nord, dovette ripiegare su più fronti e, in alcuni casi, si disperse.
Per contro, nel prosieguo delle operazioni accennate, il 3 settembre 1944 la formazione Gl Matteotti si arricchì ulteriormente d’un notevole numero di effettivi provenienti dalla divisione alpina Monterosa da cui un’intera colonna someggiata composta da un centinaio di armati aveva disertato a Donega di Gattorna passando nelle file capeggiate da Umberto.
Tra l’8 e il 9 settembre il comando di Umberto, dopo un paio di acquartieramenti di fortuna, si spostò di nuovo a Moconesi dove giunsero anche i gruppi di ex alpini con i quali vennero formati distaccamenti misti su quattro compagnie dislocate da S. Marco d’Urri a Lorsica e Barbagelata.
Il 23 settembre, nell’importante convegno di Capanne di Carrega di tutte le formazioni partigiane della Zona, nel quadro del dispositivo armato ivi razionalizzato, la presenza della brigata Gl Matteotti al comando di Umberto Parodi venne espressamente riconosciuta e legittimata nonostante l’assenza di quest’ultimo.
Il 21 novembre 1944 Umberto, forte di nuovi reiterati arruolamenti, sorprese il Comando Zona annunciando la creazione d’una nuova divisione strutturata su due brigate. Tale iniziativa venne rigettata, ma l’iter disciplinare che ne seguì non ebbe sviluppo pratico in ragione dei nuovi impegni di quelle compagini partigiane sottoposte a severissimi rastrellamenti ‘a puntate’ da parte della divisione Turkestan, al comando del generale von Heidendorff, supportata da reparti italiani della Monterosa, della X Mas e delle Brigate nere.
Il gennaio del nuovo anno, ultimo di guerra, portò con sé, oltre a copiose nevicate e ad un gelo senza precedenti, nuove esperienze e nuove disdette: la situazione parve preliminarmente farsi insostenibile per tutte le compagini ivi orbitanti ma successivamente le sorti del conflitto in montagna parvero mutare anche per effetto di nuove iniziative strategiche intraprese collegialmente. Prima tra esse il cruciale incontro avvenuto il 18 e 19 febbraio tra il Comando VI Zona, la missione militare alleata M12 (nome in codice Clover) e i rappresentanti del Cln ligure. Era un corollario ai protocolli di Roma (7 dicembre 1944) con i quali il movimento partigiano era stato inserito nel dispositivo dell’Allied armies in Italy (Aai).
Dal canto suo, il precedente 9 febbraio, Umberto aveva siglato con Marcello (Marcello Machiavelli, comandante della neonata brigata Matteotti Valbisagno) un verbale di delimitazione delle zone di controllo nell’area di Bargagli con l’arbitrato del Comando Zona co-firmatario del documento. Contestualmente un’ordinanza a firma Canevari (Umberto Lazagna) per lo stesso Comando aveva assegnato a Umberto il controllo dell’area a sud-est della statale 45 (Barbagelata) sino ad allora presidiata dai reparti della brigata Berto guidata da Eugenio Sannia (Banfi). Tale protocollo sarebbe stato in seguito (il 26 febbraio) perfezionato con l’assegnazione ad entrambi gli schieramenti di competenze separate per quanto atteneva ad alcune provenienze da località strategiche dell’area.
Intanto, nel contesto delle attività resistenziali sul territorio del medio levante ligure, i capi militari del Cumrl avevano preso importanti decisioni. Per effetto di queste la formazione giellista, cresciuta nel contempo sino a configurarsi in un gruppo brigate titolato sempre a Giacomo Matteotti (brigate Lanfanconi, Borrotzu e Castelletto), e in ordine ad un provvedimento operativo del Comando Piazza di Genova (protocollo n. 9/Genova del 13 aprile 1945 firmato da Giuseppe Ferrari, alias Negrini, a parziale modifica del precedente Piano A diramato il 18 marzo) venne posta sotto la guida diretta di quell’organismo insurrezionale congiuntamente ad altre tre formazioni: la volante Severino (divisione Cichero) assegnata al settore Genova Centro, la volante Balilla (divisione Cichero) assegnata al settore centrale e la brigata Buranello (divisione Mingo) assegnata a quello occidentale.
L’intera compagine giellista, assegnata al settore orientale, scese dunque lungo diverse direttrici dalla montagna ligure prendendo attivamente parte alla liberazione di Genova con provato successo. <1
1 Per ogni particolare specifico relativo a quella somma di eventi cfr. V. Civitella, La collina delle lucertole, Gammarò Editore, Sestri Levante, 2008
Vittorio Civitella *, Zolesio e l’opera di intelligence di Fellner e Unger di Löwenberg in Storia e Memoria, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, anno XXV, n. 2/2016 – * Testo dell’intervento tenuto al convegno “Momenti e figure della Resistenza nel Tigullio. Una storia che non può essere travisata”, organizzato dall’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Chiavari, Civico auditorium San Francesco, 23 aprile 2016)