L’eccidio commesso dagli alpini fascisti nelle carceri di Alba il 18 novembre 1944

Alba (CN). Fonte: mapio.net

[…] già il 4 settembre 1944 Mischi (Archimede Mischi, capo di stato maggiore dell’esercito della Repubblica Sociale), facendo proprie le direttive ricevute da Mussolini per lo svolgimento ottimale delle attività di repressione del movimento partigiano, si era posto il problema di come fare ad incrementare le presentazioni “spontanee” dei «fuorilegge» in modo da «poterli inquadrare ai nostri fini bellici». La carenza di uomini era talmente forte da indurre l’esercito fascista ad intensificare al massimo il lavoro di recupero di tutti coloro che potevano dare un contributo, per quanto minimo, allo sforzo militare della repubblica di Salò. Mischi suggeriva un paio di provvedimenti che potevano contribuire a far aumentare sensibilmente il numero delle presentazioni “spontanee”. Da un lato, previa l’individuazione delle famiglie che avevano dei componenti sbandati, renitenti e disertori, si doveva procedere alla confisca di biciclette e al fermo di ostaggi, «con la promessa che le une e gli altri verranno restituiti dietro presentazione dello sbandato». Dall’altro lato, si dovevano designare in ogni reparto operante degli ufficiali superiori, «particolarmente idonei», a cui spettava il compito di organizzare nei vari centri abitati riunioni con i notabili locali. Lo scopo era quello di illustrare alla popolazione i vantaggi della presentazione “spontanea”, mettendoli a confronto con i pericoli derivanti dall’applicazione delle draconiane misure previste per coloro che non avevano nessuna intenzione di vestire il grigioverde della RSI. <101
Queste disposizioni erano anche il frutto delle difficoltà che le truppe nazifasciste incontravano sul loro cammino. In genere, la lettura dei rapporti e delle relazioni sull’andamento delle operazioni militari ci restituisce due aspetti che spiccano al di sopra di qualunque altro: la facilità con cui i partigiani riuscivano a defilarsi e, di conseguenza, a sottrarsi a combattimenti campali che per loro potevano significare l’annientamento totale e l’appoggio che ricevevano da parte della popolazione locale. Nel “Riepilogo delle operazioni di controguerriglia svolte dai dipendenti reparti dall’11 al 20 agosto 1944”, Mischi, a proposito di quello che era successo nel Piemonte meridionale (Langhe e Monferrato) dove operava il raggruppamento Farina, scrive: «In questa zona il rastrellamento, che pure ha raggiunto risultati positivi, non ha portato all’eliminazione delle bande sottrattesi – con la nota tattica – all’agganciamento con la scissione in gruppi minori e ritirandosi temporaneamente nelle località montane più interne e più impervie». <102 Il più delle volte, però, era proprio la complicità e il sostegno della popolazione a rivelarsi determinante per mettere in condizione le bande partigiane, frazionatesi in gruppi più piccoli, di sgusciare attraverso le maglie dei rastrellamenti. Il colonnello Aurelio Languasco, che, dopo la nomina del generale Farina a comandante della divisione San Marco, ne aveva preso provvisoriamente il posto alla testa del CARS (Centro Addestramento Reparti Speciali), in un suo rapporto del 10 settembre, scrive: «I movimenti per via ordinaria dei reparti incaricati di effettuare il rastrellamento impediscono di poter avere ragione delle formazioni ribelli, in quanto le prime sono costrette a muoversi con tutte le misure di sicurezza del caso ad evitare agguati, le seconde, invece, si spostano rapidamente sfruttando tutte le vie praticabili e sicure, aiutate come sono dalla popolazione, che le tiene informate delle mosse dei nostri reparti». <103
Anche il diario storico del CARS prende atto della stessa difficoltà limitandosi a dire sinteticamente: «Il giorno 10 i reparti del CARS hanno concluso l’operazione nelle Langhe centrali; non è stato possibile agganciare e battere la banda, i cui elementi hanno rifiutato il combattimento disperdendosi attraverso il terreno rotto e sfruttando la protezione delle popolazioni». <104
È a questa capacità delle formazioni partigiane di non lasciarsi impegnare in veri e propri combattimenti frontali, che potevano implicare il pericolo dell’accerchiamento e quindi dell’annientamento, che si deve la straordinaria vitalità del movimento resistenziale, che, messo alle strette da più di due mesi di ininterrotti cicli operativi, il 10 ottobre 1944 arrivò addirittura ad occupare la città di Alba. Le Langhe erano state dalla fine del mese di luglio, quando era scattata la “marcia contro la Vandea”, al centro di continue offensive da parte delle forze nazifasciste e, tuttavia, già a partire dall’inizio di settembre, il diario storico dei Cacciatori degli Appennini segnalava lo stillicidio delle aggressioni a persone e a cose, in primis le caserme, di cui era oggetto Alba. Ormai impossibilitate a difenderla, dopo la partenza delle unità del CARS (passate alle dipendenze dell’armata Liguria), le forze della RSI abbandonarono la città che per circa tre settimane – i ventitre giorni della città di Alba che hanno ispirato l’omonima opera di Fenoglio <105 – fu governata dagli uomini designati dalla Resistenza.
La città fu riconquistata il 2 novembre 1944. La RSI non poteva permettersi per motivi politici e strategici di lasciare il capoluogo delle Langhe, punto cruciale ai fini del controllo dell’asse Torino-Genova, in mano ai partigiani e accumulò le forze per preparare la riconquista della città. All’operazione parteciparono reparti del RAP (Raggruppamento Anti Partigiani), che costituirono il grosso delle forze, a cui si aggiunsero unità della X MAS, della GNR e uomini appartenenti alle brigate nere di Torino e di Cuneo. Ecco come il diario storico del CO.GU. (Comando Controguerriglia) descrisse l’avvenimento: «Il giorno 2, in seguito ad operazione effettuata da reparti del RAP, con intervento di aliquote unità Decima Flotmas, GNR e brigate nere, la città di Alba viene liberata dai banditi che, temporaneamente, la tenevano occupata. Le truppe, al comando del ten. col. i.g.s. Ruta Alessandro, comandante del RAP, si sono comportate egregiamente». <106
Dopo la riconquista di Alba, «la prima operazione antiribelli di una certa entità condotta da comandanti italiani ed eseguita da sole truppe italiane», come rivendicò orgogliosamente lo stesso Ruta, <107 le province del Piemonte meridionale diventarono nel corso dei mesi dell’autunno-inverno 1944-1945 il teatro di una serie continuativa di operazioni di controguerriglia, che misero a dura prova la tenuta e, in qualche caso, la sopravvivenza delle bande partigiane. Non mancarono gli abusi e gli atti illegali che ormai stavano diventando il modus operandi abituale dell’esercito di Salò. L’episodio più eclatante si registrò ancora ad Alba due settimane dopo la riconquista della città. La sera del 18 novembre 1944 un gruppo di alpini si presentava al portone delle carceri e, fattosi aprire, vi fece irruzione raggiungendo le celle e aprendo il fuoco contro i detenuti Sante Scuccato, Armando De Negri e Arturo Moschetti, «appartenenti a bande ribelli fermati in azione di rastrellamento, responsabili, specie lo Scuccato, di atti di violenza e dell’uccisione di un fascista». Prima di andarsene, il gruppo degli esagitati prelevava una giovane donna, Maria Boffa, «rea confessa di favoreggiamento per bande ribelli e corruttrice di militari repubblicani per arruolamento nelle stesse». Poco dopo, lo stesso gruppo ritornava alle carceri, vi depositava il cadavere della Boffa, finiva di uccidere lo Scuccato, che pur agonizzante, non era ancora morto ed eliminava anche un altro detenuto, Mario Marengo, capo stazione di Alba, che era stato arrestato dopo essere fortunosamente scampato alla fucilazione. <108
Quanto accaduto nelle carceri di Alba poteva essere interpretato come una reazione, del tutto illegittima, ad un altro fatto, che aveva contribuito a rendere l’atmosfera ancora più incandescente. Lo stesso giorno delle esecuzioni sommarie era giunta la notizia dell’uccisione da parte dei partigiani del soldato del RAP Raffaele Zucchi, che si stava recando a casa in licenza matrimoniale. Alla fine della sua relazione sui fatti avvenuti ad Alba il 18 novembre 1944, il colonnello Luigi Pieroni dichiarava: «L’atmosfera era pertanto carica di elettricità: gli alpini volevano farla finita col Marengo prima di partire, tutti poi intendevano vendicare subito l’ardito Zucchi fucilato. L’esecuzione sommaria è stata quindi la risultanza di questo stato d’animo collettivo, sviluppatosi anche in un ambiente ove gli alpini della colonna Languasco avevano lasciato numerosi conti da regolare». <109 In una successiva relazione Pieroni metteva in evidenza il clima di tensione in cui era precipitata Alba dopo l’arrivo in città dei reparti dei Cacciatori degli Appennini: «Militari della colonna Languasco, durante le ore di sosta in Alba, avevano saccheggiato alcuni negozi ed esercitato atti di violenza a carico di indiziati nella precedente occupazione partigiana ed avevano manifestato propositi di sistematiche vendette e regolazione di conti. Ne era derivata un’atmosfera di alta tensione che si era purtroppo diffusa in tutto l’ambiente militare già deluso per la mancata fucilazione del Marengo ed eccitato per la notizia dell’uccisione dello Zucchi. Da questo ambiente deve essere conseguentemente scaturita l’azione violenta effettuatasi nella serata». <110
Il 1 gennaio 1945 Mischi scriveva un dettagliato rapporto al ministro delle forze armate, Rodolfo Graziani. Anche Mischi si sforzava di ricostruire il clima che si respirava ad Alba dopo la battaglia che vi si era svolta: «La situazione della città, nei riguardi dello stato d’animo di quegli abitanti e delle truppe colà dislocate, era notevolmente tesa in conseguenza degli eccessi cui si erano abbandonati sia i ribelli durante la loro occupazione di Alba sia i reparti italo-germanici che l’avevano successivamente rioccupata». Il tenente colonnello Luigi Pieroni, comandante del III battaglione RAP, aveva assunto il comando del presidio militare e in questa veste si era adoperato «per conseguire la necessaria distensione degli animi». Tuttavia, secondo Mischi, la delusione per la mancata fucilazione del Marengo e la notizia dell’uccisione dello Zucchi avevano provocato «fra tutti i militari presenti in Alba uno stato di eccitazione e di alta tensione, tanto che, durante la giornata del 18, si verificarono ad opera di uomini della colonna Languasco, facilmente identificabili perché indossanti tutti l’uniforme degli alpini, il saccheggio di alcuni negozi e la manifestazione di propositi di sistematiche rappresaglie contro coloro che erano indiziati di aver parteggiato per i ribelli». Dopo aver accennato al fatto che le indagini non avevano portato a «risultati conclusivi nei riguardi dell’identificazione degli autori del fatto, anche per l’assoluta omertà dei militari sia della colonna Languasco sia del battaglione Pieroni», Mischi chiudeva il suo rapporto manifestando palesemente la volontà di giustificare il comportamento degli autori delle esecuzioni sommarie: «La causa del deplorevole avvenimento in questione va attribuita al concorso di varie circostanze eccezionali in un ambiente di per sé eccitato dalle fatiche, dal rischio, dal mordente dei precedenti giorni di lotta. Gli animi erano già tesi, saturi di odio per il nemico ed anelanti alla distruzione di esso. Non mancavano che i due episodi suaccennati del rinvio dell’esemplare fucilazione del Marengo e della crudele uccisione dello Zucchi per portarli all’esasperazione. I più accesi tra i militari temevano evidentemente che i cinque arrestati, della cui colpevolezza essi, come tutti del resto, erano pienamente convinti, potessero riuscire a sottrarsi alla meritata pena suprema attraverso le maglie burocratiche della normale procedura giudiziaria. Essi vollero fare, certo arbitrariamente ed illegalmente, giustizia diretta ed immediata». Mischi riconosceva che il fatto era certamente «deplorevole», ma, dopo aver ricordato che i cinque detenuti uccisi «ben difficilmente sarebbero potuti sfuggire alla stessa miseranda fine per sentenza di un regolare tribunale straordinario», si affrettava a liquidare definitivamente l’intera vicenda: «Con ciò non si intende minimamente giustificare l’illegalità dell’atto compiuto. Si è voluto solo chiarire le cause del fatto per affermarne l’assoluta eccezionalità e l’attuale impossibilità di identificarne i promotori e gli esecutori onde adeguatamente colpirli». L’unico a cui veniva mosso un aperto rimprovero era paradossalmente lo stesso Pieroni, che, dopo aver sottratto ad una esecuzione sommaria il Marengo, «la cui accertata attività delittuosa lo rendeva all’evidenza passibile della pena capitale», non aveva immediatamente provveduto a convocare il tribunale straordinario. «Non avendo ritenuto di far ciò, avrebbe dovuto almeno prevedere la possibilità di atti inconsulti da parte della truppa ed adottare opportune misure precauzionali a difesa del carcere». <111
[NOTE]
101 AUSSME, I 1, b. 6, f. 86, allegato n° 71, direttive per le operazioni prima quindicina di settembre, 4 settembre 1944
102 Ivi, allegato n° 68, riepilogo delle operazioni di controguerriglia svolte dai dipendenti reparti dall’11 al 20 agosto 1944, 28 agosto 1944.
103 AUSSME, I 1, b. 11, f. 140, allegato 1A, relazione riepilogativa sull’operazione di rastrellamento effettuata nelle Langhe nei giorni 6, 7, 8 e 9 settembre 1944, 10 settembre 1944.
104 AUSSME, I 1, b. 6, f. 85, diario storico-militare del comando CO.GU. dal 25 luglio al 31 dicembre 1944, 13 settembre 1944. La banda a cui si fa riferimento è quella di Enrico Martini, nome di battaglia “Mauri”, comandante del primo gruppo divisioni alpine, un militare di carriera di sentimenti monarchici che, dopo l’8 settembre 1943, si era schierato con le forze della Resistenza. Sulla figura di “Mauri” si veda la voce omonima nel Dizionario della Resistenza scritta da Mario Renosio. Cfr. M. Renosio, Enrico Martini in Dizionario della Resistenza. II. Luoghi, formazioni, protagonisti, Einaudi, Torino 2001, pp. 579-580.
105 B. Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba, Einaudi, Torino 1952.
106 AUSSME, I 1, f. 6, f. 85, diario storico-militare ed allegati del comando CO.GU. dal 25 luglio al 31 dicembre 1944, 4 novembre 1944.
107 Ivi, relazione sulle operazioni svolte nei giorni 31 ottobre-2 novembre 1944 per la liberazione di Alba, già occupata da fuorilegge, 12 novembre 1944.
108 Dopo averlo accusato di sabotaggio ai danni delle forze armate della RSI, il colonnello Aurelio Languasco, comandante del raggruppamento Cacciatori degli Appennini, aveva ordinato la sua immediata fucilazione. Il Marengo era stato salvato dall’intervento del colonnello Luigi Pieroni, comandante del presidio di Alba, che, allo scopo di dare all’esecuzione una veste legale, aveva convinto Languasco a soprassedere alla fucilazione per rinchiudere Marengo in carcere, in attesa di giudizio.
109 AUSSME, I 1, b. 71, f. 2344, relazione sui fatti avvenuti la sera del 18 corrente alle carceri civili di Alba, 30 novembre 1944.
110 Ivi, relazione del colonnello Luigi Pieroni al capo di stato maggiore dell’esercito, 21 dicembre 1944.
111 Ivi, fucilazione di detenuti nel carcere giudiziario di Alba, 1 gennaio 1945.
Stefano Gallerini, “Una lotta peggiore di una guerra”. Storia dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2021