Il 1991 del PCI

L’ultimo congresso del PCI, il XX°, avvenne nell’infuriare della guerra irachena, un aspetto che rafforzò gli oppositori alla costituente del nuovo partito, che individuavano nelle dinamiche seguite all’invasione del Kuwait l’inizio di una nuova offensiva da parte delle potenze capitalistiche. Come sostenne Lucio Libertini, “La questione di fondo che è in discussione e che investe l’intera sinistra europea (…) e sulla quale occorre pronunziarsi con nettezza, riguarda un interrogativo centrale: se la vicenda di questo secolo, con il tragico fallimento dei regimi dell’Est, segni la vittoria definitiva del capitalismo, che diviene un limite insuperabile della storia umana, seppellendo la questione del socialismo: o se invece la tragica degenerazione di un grande progetto rivoluzionario, che comunque ha inciso sulla storia del mondo, e le nuove gigantesche contraddizioni del capitalismo, a scala planetaria, ripropongano in termini nuovi la questione del socialismo e dell’orizzonte ideale, assai più lontano, del comunismo” <190.
Il 31 gennaio 1991, a settant’anni dal congresso di Livorno, il PCI si scioglieva. Nell’avviare i lavori della costituente del PDS Occhetto sottolineò più volte con orgoglio l’importanza della storia del PCI <191 e ricordò le prove che attendevano la nuova forza politica: “Abbiamo la responsabilità di creare le condizioni per un impegno forte e ampio per il rinnovamento del paese e della nostra democrazia, per la costruzione di un’Europa di progresso, per la pace” <192. La parte della relazione dedicata alla politica estera fu incentrata sulla guerra irachena e sul ruolo in essa giocato dalla CEE <193; Occhetto delineò la politica europea che avrebbe dovuto caratterizzare il PDS: ““la nostra proposta si colloca quindi al centro di una decisa scelta europeista e federalista, quella stessa propugnata dall’apostolo del federalismo europeo, da quell’Altiero Spinelli che ha voluto rappresentare, proprio nelle nostre liste, la
prospettiva dell’unità politica europea. Ma la nostra Europa, quella per la quale ci battiamo, non è l’Europa dei mercanti e del potere incontrollato delle grandi concentrazioni transnazionali: è l’Europa dei popoli, dei lavoratori, di un’effettiva democrazia economica (…) Si tratta, certo per noi, di un’Europa che, per essere tale, dovrà essere democratica e socialista. L’alternativa in Italia deve muoversi dentro questo quadro di riferimento” <194.
Craxi ed altri esponenti del PSI dichiararono, con toni polemici, di esser delusi dalle parole usate da Occhetto sulle questioni internazionali e sul tema dell’unità a sinistra; Peter Glotz, esponente della SPD e dell’IS, apprezzando il lavoro e i contenuti del congresso, ribadì: “è necessario che un grande partito come il Pds appartenga all’Internazionale” <195, pur ricordando che, a tal riguardo, sarebbero stati fondamentali i pareri del PSI e del PSDI e la relazione che Craxi, per conto dell’IS, avrebbe presentato.
Le reazioni polemiche dei socialisti e del loro segretario, influenzavano il dibattito congressuale, tanto che Napolitano avvertì: “Sono tante in Italia le forze che in questo momento credono di poter vanificare l’impresa in cui ci siamo impegnati a partire dal novembre 1989, con la proposta di Occhetto; che credono di poter individuare un nuovo steccato, costituito da una rinnovata inconciliabilità – per quel che riguarda la collocazione internazionale dell’Italia – tra il partito che sta per raccogliere le energie del Pci e gli altri partiti democratici, anche e in particolare quelli di sinistra e progressisti” <196.
Il congresso si concluse con la scissione del gruppo capitanato da Garavini, Libertini e Cossutta: lo stesso Libertini diede appuntamento per la settimana successiva a Roma, per fondare ufficialmente quel movimento che in breve tempo avrebbe costituito il Partito della Rifondazione Comunista.
[NOTE]
190 L. Libertini, Perché un movimento di rifondazione comunista, in “l’Unità”, “Lettere sulla cosa”, Dicembre 1990, p. 21
191 Cercando quindi di tranquillizzare la vasta area rappresentata da Ingrao e Tortorella che aveva palesato più volte il rischio che con la variazione del nome e dell’identità, fosse posta nel dimenticatoio anche la storia e il contributo dato dai comunisti al progresso democratico dell’Italia come nelle vicende internazionali.
192 A. Occhetto, L’errore della guerra, il futuro dell’Italia. La politica nuova che propone il Pds, in “l’Unità”, 1 febbraio 1991.
193 “Spetta a noi prendere nelle mani la bandiera della funzione dell’Europa, dei suoi compiti rispetto al Sud, al mondo arabo. Occorre: 1) un impegno assai più intenso per affermare il ruolo dell’Europa sul piano internazionale. L’Europa può e deve diventare un polo: trasformandosi in unione politica, dandosi una politica estera e di sicurezza comune e acquisendo strumenti per esercitare un ruolo effettivo nella gestione delle crisi e nella costruzione di un rinnovato e rafforzato ‘sistema Onu’. La sinistra dovrebbe aprire nelle sue file un dibattito crudo e coraggioso sui ritardi e sulle esitazione di cui è responsabile rispetto alla questione Europa; in ordine al superamento dei particolarismi, degli egoismi, delle ambizioni nazionali e dunque delle divisioni e delle impotenze di cui l’Europa ha pagato il prezzo anche nella crisi del Golfo”, Ibidem.
194 Ibidem.
195 B. Bosetti, intervista a P. Glotz, “Internazionale? Il Psi non può tutto”, in “l’Unità”, 3 febbraio 1991.
196 Gli interventi dalla tribuna di Rimini, in “l’Unità”, 3 febbraio 1991.
Massimo Piermattei, Dal vincolo esterno all’europeizzazione? Le culture politiche italiane e l’integrazione europea nella rincorsa alla moneta unica (1988-1998), Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia, 2009

Circa due mesi dopo la marcia di Perugia-Assisi, organizzata principalmente per chiedere la liberazione di 270 ostaggi italiani trattenuti da Saddam Hussein, il 29 novembre 1990, l’Onu impose all’Iraq il ritiro dal Kuwait, autorizzando l’intervento di una forza internazionale. <27
Per l’Italia, la decisione di concorrere o meno all’azione militare del Golfo venne sottoposta dal governo all’approvazione del parlamento sulla base della seconda parte dell’articolo 11 della Costituzione, in virtù del quale, come sostenne Andreotti stesso in Aula, l’Italia non utilizzava la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ma favoriva le organizzazioni internazionali la cui azione tendesse ad assicurare la pace e la giustizia. <28
L’ultimatum fissato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu giunse a scadenza nella notte del 16 gennaio 1991. Il giorno successivo cominciarono gli attacchi armati della coalizione internazionale contro l’Iraq e in quello stesso 17 gennaio 1991 il parlamento italiano approvò la partecipazione italiana al conflitto facendo divampare, come in altri paesi occidentali, un ampio dibattito sul tema della guerra giusta. <29
La ferma opposizione di Botteghe Oscure a un coinvolgimento italiano nella guerra suscitò la “reazione sdegnata” del fronte socialista e diede l’occasione a Craxi di screditare nuovamente la “svolta” occhettiana, considerandola nient’altro che una nuova maschera dietro la quale si celavano ancora i fervori antiamericani di un partito che però sedeva nella delegazione italiana all’assemblea parlamentare della Nato. <30 A tale proposito Pons sostiene che per il Pci l’opposizione alla Guerra del Golfo costituì l’occasione per stabilire un legame con il pacifismo degli anni Ottanta e per accreditare il partito nascente nel contesto post-bipolare, con una vocazione prevalentemente “movimentista”. <31 In questo modo, i post-comunisti avrebbero accumulato sufficiente capitale politico necessario per assorbire la caduta di Gorbaciov e la conseguente dissoluzione dell’Urss nel 1991. <32 D’altronde, come scritto dallo stesso Pons, i comunisti, o post-comunisti come a ragione li definisce lo storico, non furono gli unici nel panorama politico italiano a dimostrare di avere ancora una visione bipolarista ormai inadeguata e prossima alla fine. La maggior parte delle forze politiche italiane non intuì che il “nuovo vincolo europeo” presentava una duplice implicazione: offriva l’opportunità di realizzare riforme economiche altrimenti impossibili, ma a condizione di smantellare «un consolidato tessuto di relazioni tra Stato, partiti e mondo economico cresciuto sotto l’ombrello dell’ordine bipolare». <33
Di fatto, poco dopo l’inizio della guerra che si protrasse fino al 28 febbraio 1991, l’opposizione all’intervento armato andò scemando in Italia come nella maggior parte dei paesi europei occidentali. <34 Giovanni Ceci ha scritto che un fattore determinante che pesò nello scatenare atteggiamenti e paure fu quello generazionale: i più favorevoli alla partecipazione italiana furono, complessivamente, i più giovani e i più istruiti, mentre le generazioni più anziane risultarono le più contrarie. Per ciò che concerne la collocazione politica, invece, secondo un’analisi dell’Us Information Agency, i più avversi in assoluto all’utilizzo della forza furono i sostenitori del Pci, i più favorevoli quelli del Psi. <35 Intellettuali e giornalisti, politici ed esperti di diritto si confrontarono sulla “giustificabilità” o eticità del conflitto, sulla sua efficacia e in più sulla sua evitabilità; molti, soprattutto i nonviolenti, rimasero “spiazzati” dall’avallo dell’Onu: non avevano mai riflettuto, né rifletterono alla fine della Guerra del Golfo, circa il ruolo degli organismi internazionali. <36 Invece, in Pci negli anni precedenti lo aveva fatto. Ma ciò non lo aveva aiutato a scegliere una linea capace di incidere più profondamente sulla politica italiana.La fine del conflitto nel Golfo coincise comunque con un rapido declino delle mobilitazioni, a riprova – come sostenuto anche da Ceci – dell’eccessiva frammentazione della protesta contro la guerra e diverse carenze teoriche e di formulazione degli obiettivi. <37
[NOTE]
27 Pastena P., Breve storia del pacifismo in Italia, cit. p. 176.
28 Ivi, p. 179.
29 Ceci G.M., Gli italiani, le guerre e la pace, cit. p. 287.
30 Spiri A., Tra sogno e realtà: l’”Unità socialista” nelle carte di Craxi, cit. pp. 278-279.
31 Pons S., La bipolarità italiana e la fine della guerra fredda, in L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi, Volume I, Fine della guerra e globalizzazione, a cura di Pons S., Roccucci A., Romero F., Roma, Carocci, 2014, pp. 35-53.
32 Ivi, p. 48.
33 Pons S., La bipolarità italiana e la fine della guerra fredda, cit. p. 48.
34 Ceci G.M., Gli italiani, le guerre e la pace, cit. p. 288.
35 Ibidem.
36 Pastena P., Breve storia del pacifismo in Italia, cit. p. 181.
37 Ceci G.M., Gli italiani, le guerre e la pace, cit. p. 289.
Maria Chiacchieri, Il Pci da Berlinguer a Occhetto. L’onda lunga della cultura pacifista e la prima Guerra del Golfo (1984-1991), Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno Accademico 2019-2020