La Val di Susa si impose all’attenzione della guerra partigiana anche perché in quella zona i ribelli passarono subito all’attacco in grande stile contro il nemico occupante

Condove (TO). Fonte: Wikipedia

Il movimento resistenziale nacque dall’opera di piccoli gruppi di esponenti dell’antifascismo storico fortemente motivati e dall’apporto di un certo numero di militari sbandati mossi dai sentimenti più diversi. Laddove questi due elementi si manifestarono da subito la Resistenza si sviluppò più rapidamente. In Val di Susa, ma in particolare su tutto il Piemonte occidentale, la presenza di militi fu consistente in conseguenza della dissoluzione della 4a armata operante sul fronte italo-francese. Le zone di montagna, abbastanza isolate da rappresentare un iniziale riparo, furono il rifugio privilegiato dalle prime aggregazioni di militari unitisi in piccole bande.
Nate dall’impossibilità per molti di quei soldati di raggiungere le proprie case dopo lo sbandamento dell’esercito, le prime bande, più o meno armate, erano animate tutte di spirito difensivo, da un bisogno psicologico di fare gruppo, di unirsi per meglio contrastare l’incertezza e la disperazione in cui la bufera dell’armistizio aveva gettato i militari italiani <67.
Le difficoltà di rientro al proprio nucleo familiare, incontrate dalla maggioranza dei militi sbandati, erano molteplici: i rastrellamenti tedeschi, la necessità per molti di attraversare la linea del fronte, il dissesto delle strade che trasformavano pochi chilometri in odissee. Ciò rese per molti l’aggregazione una scelta permanente. L’unione in bande avvenne seguendo le mille casualità degli incontri: riaggregandosi per corpo di appartenenza, per origine geografica, per amicizia o in modo fortuito <68.
La prima forma di resistenza offerta dalle forze armate del disciolto esercito era però fragile, specie quando gli ufficiali che si trovarono a capo di quelle precarie aggregazioni rimanevano ancorati alla logica dello scontro tra eserciti tradizionali, non sapendosi adattare alla nuova situazione che richiedeva altre tecniche di combattimento. I primi gruppi di militi che scelsero di attuare gli schemi di una difesa rigida, muro contro muro, furono spazzati via dall’ineluttabile superiorità della Wehrmacht, un esercito regolare a tutti gli effetti superiore in uomini, mezzi ed organizzazione. L’impreparazione e la precarietà delle aggregazioni di militari della disciolta 4a armata portarono, alle prime difficoltà, al loro sfaldamento: “nessun reparto del vecchio esercito resistette neppure un giorno, solo alcuni coraggiosi osarono far saltare, in quei momenti, un tratto della galleria del Frejus, bloccando il tratto ferroviario internazionale per oltre un mese” <69.
[…] Il Comando militare della Valle di Susa, formatosi nell’ottobre del ’43, era composto dal comandante maggiore Egidio Liberti “Valle”, magistrato ventottenne, brillante ufficiale di carriera, coadiuvato dal tenente Ratti, reduce dai Balcani, figlio del colonnello degli alpini Giuseppe Ratti stretto collaboratore del generale Perotti nel Comitato militare del Cln di Torino, dal commissario di guerra Sergio Bellone e dal cappellano partigiano don Francesco Foglia <83.
In quella prima fase però l’attuazione del programma politico-militare del Cln di Torino ebbe molti limiti a causa di una serie di questioni che andavano dai problemi legati alle difficoltà enormi di approvvigionare, collegare e rifornire di armi e munizioni le diverse bande disseminante in Piemonte e difficili da censire, alla difficoltà di instaurare un proficuo dialogo con gli Alleati che mantenevano forti riserve nei confronti della Resistenza italiana sempre più monopolizzata dai partiti di sinistra.
[…] L’importanza strategica della Val di Susa risiedeva nelle sue vie di comunicazione che univano l’Italia settentrionale con la Francia e l’Europa occidentale. Essa era percorsa dalla linea ferroviaria internazionale Torino-Modane-Parigi e dalle due strade carrozzabili che raggiungevano i valichi del Moncenisio e del Monginevro facilmente accessibili e transitabili tutto l’anno <86. Per la presenza di quelle grandi vie transalpine l’area assumeva, nella politica di occupazione tedesca, una particolare importanza militare. Innanzitutto si voleva assicurare lo svolgimento regolare degli intensi traffici, in seguito allo sbarco alleato in Provenza del 15 agosto 1944, per difendersi da una probabile offensiva alleata proveniente dal territorio francese liberato. Per quei motivi la Val Susa fu presidiata con particolare attenzione dalle forze nazifasciste fin dagli inizi dell’occupazione. Inoltre le Alpi occidentali offrivano una ridotta potentemente fortificata lungo lo spartiacque su entrambi i versanti <87.
Dopo l’8 settembre le fortificazioni del “Vallo alpino” furono abbandonate. I militari in fuga lasciarono tutto: armi, munizioni, viveri, coperte, ecc. Le casermette diventarono presto meta di un continuo pellegrinaggio da parte della popolazione e dei primi resistenti che prelevarono tutto ciò che poteva servire alla propria causa. A Condove la popolazione giunse “con carri agricoli per prelevare paglia, fieno, avena in quantità; alcuni cercano strumenti musicali, altri viveri, abiti, oggetti in cuoio, legname, coperte, documenti; i ragazzi pensano a maschere antigas, cartoline, francobolli; il maestro Polti invita a raccogliere le “drappelle”: bandierine ricamate appese alle trombe; altri ancora riuniscono silenziosamente le armi abbandonate” <88. I tedeschi per arginare il fenomeno dei saccheggi si presentarono alla locale caserma dei Carabinieri minacciando di fucilarli tutti qualora non avessero posto fine alle spoliazioni. Solo l’intervento del Sindaco di Condove scongiurò l’avverarsi della minaccia, emanando un ordine alla popolazione di restituzione immediata del materiale trafugato dalle caserme in particolar modo riferendosi alle armi <89.
Ma la Val di Susa si impose all’attenzione della guerra partigiana anche perché in quella zona i ribelli passarono subito all’attacco in grande stile contro il nemico occupante che rispose attuando la politica repressiva dei rastrellamenti. Secondo la testimonianza di Bellone “in nessuna altra zona si compirono tanti e così gravi atti di sabotaggio, grandi e piccoli, fortunati o mancati, fin dagli stessi primi giorni della lotta di liberazione nazionale, onde i tedeschi s’accanirono con particolare rabbia contro la valle, compirono continue puntate e incessanti rastrellamenti (il piccolo paese di San Giorgio nella media valle vide i tedeschi dieci volte nel giro di otto mesi), ed a partire dalla fine di dicembre insediarono in tutti i centri più importanti fortissimi presidi permanenti” <90. Proprio al gruppo di San Giorgio, una delle prime bande partigiane che fu costituita su iniziativa dei comunisti della valle, si deve il primo sabotaggio di una certa rilevanza compiuto in valle: “il 20 settembre, nelle vicinanze del paese, i “ribelli” segarono i quattro montanti di un traliccio della linea elettrica ad alta tensione proveniente da Chiomonte abbattendolo sulla strada” <91.
Quei primi sabotaggi erano finalizzati a dare un segno della propria presenza, dell’esistenza di un ribellismo attivo contro l’occupazione, pur non creando subito una vera minaccia ai nazifascisti. Nel settembre del 1943 la Resistenza limitava la sua sfera d’azione al soddisfacimento dei bisogni vitali: procurarsi le armi, i mezzi di trasporto necessari per muoversi sul territorio, i viveri, cercare rifugi sicuri, stabilire contatti con le altre bande e con il Comitato di liberazione per coordinare le proprie azioni ed evitare pericolosi isolamenti, stabilire un rapporto costruttivo con la popolazione valsusina. Le prime azioni quindi, anche se modeste sul piano militare, erano indirizzate in questo senso: “azioni di molestia contro posti di blocco e caserme, colpi di mano per rifornirsi di armi e di materiali, atti di sabotaggio, imboscate” <92. Altrettanto importante era il recupero dei materiali da casermaggio come le coperte, i materassi, i capi di abbigliamento. Erano azioni la cui decisione era perlopiù spontanea e contraddistinta dall’iniziativa individuale, proprio perché in larga misura il movimento partigiano fu affidato “alle capacità autonome del singolo il quale fece la propria esperienza sul vivo delle situazioni particolari” <93.
[…] Tra quei comandanti ci fu Felice Cima. Classe 1921, originario di Saluzzo (Cuneo), studente universitario appartenente all’8° reggimento Bersaglieri con grado di sottotenente, già combattente in Grecia, a seguito dello sbandamento dell’esercito affluì in Val di Susa alla fine di settembre, stabilendosi con i primi resistenti nelle baite di Mocchie, sopra Condove <94. Lì “porto, nell’adempimento della nobile missione, tutto l’ardore della sua anima generosa e della sua non comune prestanza fisica” <95, assumendo il comando del gruppo di resistenti che si erano rifugiati in quel vallone dandone una spinta decisiva all’organizzazione e alla solidità militare della banda stessa. Venne raggiunto all’inizio di ottobre da Marcello Albertazzi, il cui nome di battaglia era “Barba”. Classe 1908, bresciano, vecchio militante comunista che aveva combattuto fra i partigiani di Bagnolo (Val Germanasca) nel cuneese, era giunto all’inizio di ottobre sulle montagne tra Borgone e Condove, dove organizzò un gruppo che risultò essere uno dei più forti e attivi della valle. Uomo energico, risoluto audace, pieno di ascendente sui suoi uomini, Albertazzi divenne in pochi giorni il comandante più in vista della Valle <96. I due capi banda si stanziarono nella stessa zona: l’area geografica in bassa Val Susa sulla destra orografica della Dora, compresa tra Condove, la Val di Rubiana, che collega la bassa Val Susa alla Valle di Viù attraverso il Col del Lys, e Val della Torre, area che divenne di competenza della 17a brigata Garibaldi “Felice Cima” a partire dalla primavera del 1944. Va detto però che per evitare di essere localizzati e spazzati via dalla soverchiante forza occupante, molte formazioni furono costrette a evitare di soffermarsi a lungo negli stessi luoghi. La mobilità oltre ad una strategia di combattimento diveniva ben presto la condizione essenziale di sopravvivenza per le formazione dei partigiani. Quindi la settorializzazione dell’attività partigiana, soprattutto nella sua fase iniziale, era un’operazione audace. Lo ricorda Cavaglion quando scrive che: “non vi è storico che possa restituirci l’atlante delle formazioni partigiane senza semplificare in qualche modo una realtà che mutava ogni giorno (…) nuovi ingressi, abbandoni, passaggi ad altra banda o trasferimenti in città.” <97.
La banda comandata da Cima diventò operativa verso la fine di ottobre.
[NOTE]
67 Peli, La Resistenza in Italia, p. 22
68 Ivi, p. 24
69 Archivio Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”, scaffale B, cartella 35, interno b, dattiloscritto sulla storia della Resistenza in Val di Susa, cit., p. 2
83 Aisrp, scaffale B, cartella 35, interno b, dattiloscritto sulla storia della Resistenza in Val di Susa, p. 3; Sergio Bellone: nome di battaglia “Guido”, nato a Milano il 06.02.1915, residente a Torino in C.so Regina Margherita, 27. Appartenente all’Arma del Genio con grado di Allievo Ufficiale. Partigiano dal 10.09.1943 al 08.06.1945. Dal 10.09.1943 al 09.02.1944 nel Comitato militare della Val di Susa con grado di commissario di guerra; dal 09.02.1944 al 10.05.1944 nella 4a brigata Garibaldi con grado di capo servizio sabotaggio; dal 10.05.1944 al 08.06.1945 nella delegazione Garibaldi e contemporaneamente dal 01.01.1945 nell’ufficio “sabotaggi e contro sabotaggi” del Cln con grado di direttore; Giancarlo Ratti: nato a Milano il 09.03.1918, residente a Torino. Appartenente all’Arma dell’Artiglieria, nel reparto Artiglieria Alpina con grado di Tenente. Partigiano dal 14.09.1943 al 08.06.1945. Dal 14.09.1943 al 28.02.1944 comando militare Valle di Susa; dal 28.02.1944 al 08.06.1945 missione Juongstown; Giuseppe Ratti: nato a Gorgonzola (Mi) il 07.10.1894, residente a Torino. Appartenente all’Arma della Fanteria con grado di Colonello. Partigiano dal 10.09.1943 al 08.06.1945 nel Comitato Militare Regione Piemonte con grado di Ufficiale di comando; Giuseppe Perotti: nato a Torino il 16.06.1895, residente a Torino in via Marengo, 4. Appartenente all’Arma del Genio con grado di Generale di brigata. Partigiano dal 10.09.1943 al 05.04.1944 nel Comitato Militare Regione Piemonte con grado di comandante. Catturato con altri membri del Cmrp il 01.14.1944 fu fucilato il 05.04.1944; don Francesco Foglia: nato a Novalese (To) il 02.09.1912, residente a Moncenisio. Appartenente all’Arma della Fanteria con grado di Tenente cappellano. Partigiano dal 08.09.1943 al 13.01.1944 nel comitato militare della Val di Susa. Catturato il 13.01.1944 fu deportato prima nel campo di concentramento di Mauthausen e successivamente trasferito a Dachau, dove fu liberato il 07.06.1945, dal database del partigianato
86 Maria Elisa Borgis, La Resistenza nella Valle di Susa, Edizioni Ca-Ma, Torino 1975, p. 11
87 L’attività di fortificazione italiana, avviata all’inizio degli anni trenta su tutto l’arco alpino occidentale, il cosiddetto “Vallo Alpino”, fu la risposta italiana ai lavori intrapresi in Francia per la costruzione della linea
difensiva Maginot. Costruita dai francesi a partire dal 1932, a protezione della propria integrità territoriale, la linea di fortificazione della frontiera prese il nome del Ministro della guerra in carica Andrè Maginot. La linea Maginot alpina fu caratterizzata dalla realizzazione di grandi complessi sotterranei d’artiglieria realizzati in cemento armato, ben armati e ottimamente equipaggiati, autosufficienti per vettovagliamento e capaci di ospitare tre-quattrocento uomini. Strutture che si differenziavano molto dalla tipologia difensiva adottata dagli italiani sulle stesse montagne. Il “Vallo alpino” infatti constava di una miriade di piccole casematte o malloppi di calcestruzzo non armato, a scapito della solidità delle strutture, inferiori anche nell’armamento alle opere francesi. Ciò evidenziava un divario tecnico, fra le due diverse tipologie difensive, a sfavore del “Vallo Alpini”. Si veda Dario Gariglio, Le fortificazioni, in Gianni Perona (a cura di), Alpi in Guerra 1939-1945, pp. 33,34,35
88 E. Lambert, A Condove negli anni della Resistenza, bollettino in Comunità parrocchiale S. Pietro di Condove, anno 10, n°1, cit., p. 4
89 Piero Del Vecchio, Giorgio Jannon, Andrea Olivero, Emanuele Sarti, Un posto nella memoria. Condove e i condovesi negli anni della guerra 1940-1945, Editrice Morra, Condove 1995, p. 52
90 Aisrp, scaffale B, cartella 35, interno b, dattiloscritto sulla storia della Resistenza in Val di Susa, p. 3
91 Ibidem.
92 Luigi Longo, Un popolo alla macchia, Mondatori, Milano 1947, cit., p. 113
94 Felice Cima: nome di battaglia “Felice”, nato a Saluzzo (To) il 15.12.1921, residente a Torino in via Carlo Alberto 34, professione studente. Appartenente all’Arma della Fanteria 8° Reggimento Bersaglieri con grado di Sottotenente. Partigiano dal 09.09.1943 al 27.11.1943 nella banda “Cima” con grado di comandante di banda. Deceduto il 27.11.1943 in combattimento nei pressi di Condove; Marcello Albertazzi: nome di battaglia “Barba”, nato a Brescia (Bs) il 02.08.1908, residente a Condove (To). Partigiano dal 20.09.1943 al 27.11.1943 nella banda “Albertazzi” con grado di comandante di banda. Deceduto il 27.11.1943 in combattimento nei pressi di Condove, dal database del partigianato
95 Aisrp, scaffale B, cartella 35, interno b, dattiloscritto sulla storia della Resistenza in Val di Susa, p. 3
96 Ibidem.
97 Cavaglion, la Resistenza spiegata a mia figlia, cit., p. 49
Marco Pollano, La 17a Brigata Garibaldi “Felice Cima”. Storia di una formazione partigiana, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2006-2007

Quel 25 novembre, un gruppo di partigiani della Valsusa attaccò, presso Condove, un colonna di autoblindo tedesche. Questa azione provocò una reazione da parte del comando tedesco. Due giorni dopo il comandante Felice Cima, di ritorno da una riunione cadde in un’imboscata delle truppe tedesche nella zona di Caprie. Ferito, venne catturato e condannato a morte. Avrebbe compiuto 22 anni pochi giorni dopo. Con Cima persero la vita il comandante Marcello Albertazzi e l’autista Camillo Altieri. Fu un duro colpo per i partigiani locale che persero al guida. Ma chi era Felice Cima? Nacque a Saluzzo il 15 dicembre del 1921. “Partigiano combattente “Ferito dal nemico in agguato, veniva catturato dopo impari lotta: condannato alla pena capitale, attendeva la morte con eroica fermezza“. Era il novembre del 1943, ricevette la Medaglia d’argento al Valor Militare.
Redazione, Partigiani della Valsusa: a Caprie in ricordo del comandante Albertazzi, L’Agenda, 17 novembre 2022

1943
8 settembre – La banda musicale suona in piazza, sperando che la guerra sia finita. I militari del “Genova Cavalleria”, senza riferimenti di comando, fuggono. La popolazione li rifornisce di abiti civili, ed il giorno dopo “ripulisce” le caserme, cavalli compresi. Le armi vengono nascoste. Diversi sottufficiali e soldati, salgono sulle montagne, a Mocchie e Frassinere. I primi tedeschi giunti a Condove minacciano di fucilare i 7 carabinieri della caserma, che non si erano opposti alla razzia delle casermette.
Ottobre – All’inizio del mese due gruppi partigiani si sono già organizzati al comando di Felice Cima sottotenente dei bersaglieri e Marcello Albertazzi, operaio, giunto con altri patrioti dalle vallate di Cuneo. A questi si erano aggregati altri due distaccamenti guidati da Giuseppe Garbagnati e Guido Bobba, in totale circa 110 uomini, tra militari, civili giunti da Torino e valligiani. Il 28, alla sera, una ventina di alpini e patrioti sfilano per le vie di Condove cantando Fratelli d’Italia. Era il segnale che sulle montagne c’erano i ribelli per lo più militari: alpini, bersaglieri, fanti.
Ottobre – Il distaccamento di Felice Cima attacca un convoglio di autoblindo a Condove: i tedeschi vietano il transito delle auto in Val Susa, dove le bande operano sul fondovalle con attentati alla ferrovia Torino-Modane, ai tralicci elettrici, con assalti alle casermette di Borgone e il disarmo di pattuglie tedesche. La 114a brigata d’assalto “Garibaldi” viene formata di fatto il 28 ottobre, in 5 borgate a 1400 metri in alta Val Gravio.
1 novembre – Respinto il primo assalto ai patrioti, 6 le vittime tra i fascisti.
7 novembre – Attacco alla caserma di Borgone presidiata dai tedeschi, col recupero di armi e vestiario, attentati alla ferrovia Torino-Modane.
17 novembre – Il sottotenente Felice Cima, “Barba” Albertazzi, Camillo Altieri, cadono in un agguato teso dai tedeschi a Caprie, mentre si recavano a Novaretto ad un incontro con altri comandanti e patrioti. I comandi partigiani avvertono i distaccamenti della presenza di collaborazionisti dei fascisti inviati da Torino, che cercano di arruolarsi tra i patrioti. In questo modo due partigiani vengono uccisi da sicari travestiti.
Dicembre – Con l’inverno, per i patrioti diventa difficile nascondersi. A Condove giungono i reparti germanici della “Polizia Alpina” con mezzi corazzati, per colpire i gruppi partigiani. E’ il primo grande rastrellamento.
Il 14 dicembre i tedeschi – grazie ad una spia – cercano due oppositori: uno di questi, Amedeo Pautasso, viene ucciso, un gruppo di ragazzi feriti. Alla frazione Mocchie trenta partigiani riescono a fuggire all’accerchiamento, due case vengono bruciate. Venti civili delle frazioni montane sono imprigionati e portati a Condove. Alla borgata Mogliassi, Camillo Gontero, 33 anni, è fucilato dai russi bianchi inquadrati dai tedeschi.
Successivamente diversi distaccamenti partigiani si sciolgono per il freddo e le nevicate.
Redazione, Condove negli anni della Seconda guerra mondiale, Comune di Condove (TO)