La crisi in seno alle forze armate maturò nel quadro di una differenziazione non ideologica

Il portato ideologico di queste nuove dottrine fu la base teorico-politica del noto convegno del 3-5 maggio 1965 “La guerra rivoluzionaria”, organizzato dall’Istituto di Studi Militari “Alberto Pollio” all’Hotel Parco dei Principi a Roma, presieduto dal colonnello Adriano Magi Braschi <78. Tra i relatori del convegno Pino Rauti <79, Guido Giannettini <80, Eggardo Beltramenti, Enrico De Boccard, Giorgio Torchia: personalità civili, esponenti della destra extraparlamentare – in particolare la struttura “Ordine Nuovo” <81 – che da lì cominciarono a operare organicamente con lo Stato maggiore della Difesa.
Il convegno cadde proprio nel momento di crisi più acuta in seno alle forze armate in ragione del conflitto manifesto tra De Lorenzo, comandante generale dell’Arma dei Carabinieri e già capo del Sifar, e Giuseppe Aloia, capo di Stato maggiore dell’Esercito in procinto di assumere la carica di capo di Stato maggiore della Difesa (rimandiamo a ‘la guerra tra i generali” par. 3.2).
In seguito, come diretta messa in pratica della teoria degli SMA, vennero formati e addestrati i dei gruppi sotto la denominazione di “Nuclei di Difesa dello Stato” (NDS); un’accelerazione operativa dell’impianto dottrinale del convegno al Parco dei Principi, dettata dalla crescita dei movimenti studenteschi e dall’acuirsi delle lotte sindacali. I NDS nacquero a metà degli anni Sessanta, arruolando non solo militari ma anche civili tra le file dell’estrema destra, Ordine Nuovo (di cui esponenti erano stati relatori del convegno) in particolare, a partire dal 1966, il gruppo dirigente della cellula veneta guidata da Carlo Maria Maggi <82. È in questi anni che va delineandosi in maniera decisiva il piano operativo della strategia della tensione: grazie agli atti dell’ordinanza del 18 marzo 1995 <83 del G. I. Guido Salvini sull’attività eversiva di Ordine Nuovo (e di altre formazioni quali Avanguardia Nazionale e il MAR di Carlo Fumagalli) si poté finalmente fare luce sulla formazione di questo rapporto di collaborazione tra estrema destra nel triveneto e i servizi d’intelligence militari. Il giudice istruttore, durante gli interrogatori, ha ricostruito la genesi di questi gruppi terroristici, composto anche da ex repubblichini, ex membri della X Mas e delle SS italiane <84. Gli ufficiali statunitensi Capitano Richard e Capitano Carrett (il primo subentrò al secondo al comando della rete nel 1974) erano i responsabili del coordinamento delle attività <85. Il teste chiave Carlo Digilio <86, ad esempio, affermò di aver lavorato a libretto paga di trecentomila lire mensili per l’intelligence americana dal 1967 al ‘78 per gestire il giro di esplosivi nella regione <87. Ad ogni modo, l’azione di queste organizzazioni prese un’accelerazione decisiva nel contesto dell’autunno caldo e della contestazione studentesca (v. cap. 3.5).
3.3 La guerra tra i generali e le dimissioni di De Lorenzo
Abbiamo già introdotto la figura del generale De Lorenzo in relazione alla sua nomina a capo del Sifar e alla questione dei fascicoli illegali raccolti in quegli anni. Come abbiamo visto, il generale De Lorenzo era stato il firmatario nel 1956 – in qualità di capo del Sifar – del documento che fondò ufficialmente la struttura anti-invasione Stay Behind. A cavallo tra gli anni cinquanta e i sessanta, mentre i fondi del governo alla Difesa diminuirono dal 2,9 al 2,5% (di fronte ad un aumento degli effettivi), quelli destinati all’Arma dei carabinieri, sotto il comando di De Lorenzo, videro un aumento vertiginoso (da 69 miliardi di lire nel 1960 ai 225 del 1970) <88. Come abbiamo visto, egli continuò indirettamente a tenere le mani sul Sifar almeno fino alla nomina, nel ’65, di Allavena a capo del servizio.
Nel 1962 la Cia aveva redatto un nuovo memorandum, che De Lorenzo aveva sottoscritto, in base al quale il servizio segreto italiano si impegnava tra l’altro a programmare azioni diversificate per eventuali azioni d’emergenza; intensificare i finanziamenti alle forze che si oppongono alla svolta politica; appoggiare qualsiasi azione idonea a indebolire la compattezza del partito socialista e a favorire eventuali scissioni interne.
Il generale era dunque una delle referenze internazionali più importanti per gli alleati Nato nell’ambito della lotta alle sinistre in Europa. Nonostante ciò, nel 1964 (ossia quando il primo centro-sinistra organico era già al governo) le posizioni politiche di De Lorenzo potevano apparire agli occhi degli americani come troppo moderate e non adatte ad affrontare la pericolosa apertura a sinistra. Nel maggio 1964 tenne un colloquio nell’ambasciata Usa di Roma (la trascrizione del quale fu inviata al dipartimento di Stato di Washington) “sulla situazione politica italiana, sulla condizione delle forze armate e sulla questione comunista in Italia” <89. Sostanzialmente egli era preoccupato per l’ascesa di consensi che il Pci stava guadagnando anche in seno alle forze armate grazie ad una linea legalitaria che rendeva più complicato contrastarlo; egli auspicava inoltre l’avvento di un nuovo partito conservatore, che avesse come nucleo il PLI, le componenti moderate del Msi e il partito monarchico; leggiamo nel documento: “Nonostante l’intima speranza di De Lorenzo per la creazione di un forte partito di destra che godesse del sostegno delle forze di sicurezza e delle forze armate, egli non è stato critico nei confronti del governo di centro-sinistra di Moro […]. De Lorenzo ha espresso un grande rispetto anche per Nenni che – ha detto – aveva dimostrato un forte senso di responsabilità per i problemi relativi ai conflitti del lavoro” <90.
“Non è stato critico nei confronti del governo”: De Lorenzo, nonostante la spregiudicatezza dei modi e le malefatte commesse a capo del servizio segreto (il quale, formalmente, non dirigeva più da due anni), era ormai il comandante generale dell’arma dei carabinieri; ed era uno di quei militari che difese sempre il principio di neutralità politica delle forze armate (sarà infatti proprio in seno a questo principio che si acuirà lo scontro con il generale Aloia) e abbiamo visto, nel paragrafo precedente, come in quegli anni si andava delineando in ambienti militari la strategia della guerra psicologica e degli SMA, su posizioni ben più radicali di quelle espresse da De Lorenzo.
Scrive Davide Conti: “la crisi in seno alle forze armate maturò nel quadro di una differenziazione non ideologica, in quanto la lotta contro il comunismo interno ed esterno rimase sempre la ragione strategica centrale degli ambienti di vertice militare, ma di modalità organizzativa. <91”
Il 1965 fu un altro anno di nomine dei vertici e grandi capovolgimenti in seno all’esercito; e presto divenne chiaro che un nuovo gruppo di potere, contrapposto a quello di De Lorenzo, si andava formando. Il 22 dicembre l’allora capo di stato maggiore dell’Esercito, il generale Giuseppe Aloia, assunse l’incarico di capo di Stato maggiore della Difesa, De Lorenzo venne nominato capo di Stato maggiore dell’Esercito lasciando il comando generale dell’Arma dei carabinieri al generale Carlo Ciglieri. Allavena, (fedelissimo di De Lorenzo) passò alla direzione del Sifar, mentre il colonnello Enzo Viola, considerato vicino ad Aloia, fu promosso a capo dell’Ufficio “D” <92(la sezione dedicata al controspionaggio). A sovraintendere questo riordino ci fu l’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti. Aloia, durante la sua permanenza a capo dell’Esercito, “aveva promosso un’azione di impianto ideologico all’interno delle Forze armate declinata sulla formazione dottrinale radicale propria dei convegni Nato del 1959-61 e di quello dell’Istituto “Alberto Pollio” <93. In quest’ottica erano nati i cosiddetti “corsi di azione psicologica” e i “corsi di ardimento”, ossia dei corsi d’addestramento sulle tecniche di guerra non convenzionali, organizzati in Sardegna e a Cesano (RM) dal col. Magi Braschi.
“[Aloia] fu fautore di speciali corsi “di ardimento”, durissimi e selettivi, con cui preparava truppe di élite predisposte per azioni di guerriglia e sabotaggio, a cui collegava operazioni di guerra psicologica per influenzare le opinioni ed i comportamenti del nemico e nel “fronte interno”. Si badi bene che guerriglia e sabotaggio erano compiti specifici che la stessa Nato aveva attribuito alla Stay Behind, la quale […] non ebbe mai rapporti con l’Esercito, pur dipendendo dalla Difesa. La Gladio dipendeva infatti dall’Ufficio R del Sifar, quindi a lungo da De Lorenzo, il quale non gradí quella invasione di campo da parte di Aloia.” <94
Infatti, già dai primi mesi a capo dell’Esercito, De Lorenzo cominciò un progressivo riordino in aperto contrasto con le iniziative prese dal suo predecessore: si impegnò per far smantellare i corsi di ardimento e le relative strutture; non permise ai reparti di ardimento di sfilare alla parata militare del 2 giugno 1966, in aperta rivendicazione della propria contrarietà e contro il parere di Aloia <95; si oppose all’acquisto, già stabilito da Aloia, di 500 carri armati americani <96, considerandoli non funzionali. Infine, chiese l’attivazione del Sifar (tramite il col. Allavena) per trovare elementi compromettenti sul suo rivale. Nel giugno dello stesso anno Rauti e Giannettini diedero alle stampe sotto pseudonimo un opuscolo dal titolo “Le mani rosse sulle Forze Armate”, con l’intento di screditare il nuovo capo dell’Esercito.
Altri episodi di questo scontro interno alle forze armate sono citati nelle opere di D. Conti e G. De Lutiis. Lo scontro ebbe un risvolto anche nell’arena politica, con la sostituzione al vertice della Difesa di Andreotti (su cui ricadeva la responsabilità del mancato acquisto dei 500 carri armati americani) in favore del socialdemocratico Tremelloni, più incline alle posizioni di De Lorenzo. Di lì a poco la questione sbarcò anche nel dibattito pubblico, con l’articolo dell’Espresso (il primo di una serie) “è scoppiata la guerra tra i due generali”.
In questo braccio di ferro, le repentine dimissioni di Allavena dalla guida del Sifar, sostituito con l’ammiraglio Eugenio Henke (vicino ad Aloia e Taviani) il 12 giugno del 1966, furono un colpo decisivo. Le dimissioni furono pretese da Andreotti, poco prima di lasciare il ministero della Difesa. Fu questo l’innesco dello “scandalo dei fascicoli”: il generale “delorenziano” Allavena, al momento della sua destituzione, portò via con sé diversi fascicoli raccolti illegalmente su personalità molto influenti, che adesso avrebbero potuto accedervi (dossier sugli stessi Tremelloni, Aloia, Saragat, nonché la voluminosa pratica “Consiglio Nazionale della Dc”). I fascicoli, fino al giorno prima compromettenti per gli spiati, diventavano ora compromettenti per gli spiatori.
Il neodirettore del Sifar comunicò prontamente il ministro, che istituì il 4 gennaio 1967 una commissione d’inchiesta ministeriale, presieduta dal generale Beolchini, (alla quale dobbiamo gran parte del materiale disponibile riguardo le attività del servizio tra gli anni ’50 e ’60) la quale riscontrò illegalità molto gravi che poi vennero in gran parte censurate. Si sperava, con questa commissione interna, di tenere lo scandalo fuori dalla portata dei giornali, ma così non fu. Due settimane dopo la sostituzione del vertice, l’intero servizio veniva formalmente riformato (ma in sostanza si cambiò soltanto il nome) nel Servizio Informazioni Difesa (SID).
[NOTE]
78 Adriano Giulio Cesare Magi Braschi, impiegato nel Sios esercito e distaccato presso il Sifar. Laureato in Germania in psicologia sociale. Autore dei due saggi sulla guerra non ortodossa “La Parata” e “La Risposta”.
79 Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo nel 1956 e segretario del MSI dal 1990 al 1991. Fu inquisito per gli attentati ai treni del 8-9 agosto 1969 e per la strage di Piazza Fontana, appena prima di essere eletto come deputato per il MSI, nel quale era rientrato nel 1969.
80 Guido Giannettini fu un giornalista e, dal 1966, agente del Sid. Rifugiatosi prima in Argentina, nel 1974 si costituí presso il consolato italiano di Buenos Aires in seguito a delle rivelazioni pubbliche fatte da Giulio Andreotti e all’emissione di un mandato di cattura nei suoi confronti per la strage di Piazza Fontana.
81 “Centro Studi Ordine Nuovo” fu un gruppo extraparlamentare nato da una scissione dal Msi e capitanato da Pino Rauti, in contrasto con la linea moderata dell’inserimento nelle istituzioni repubblicane. Attivo dal 1956 (anno della fondazione) fino al reinserimento all’interno del partito, nel novembre 1969.
82 Dirigente di On nel Veneto, é stato condannato all’ergastolo in via definitive il 20 giugno 2017 per la strage di Piazza Della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974.
83 Ordinanza integralmente disponibile su www.guidosalvini.com
84 Per una lista più dettagliata cfr. D. Conti, op. cit., pp 53
85 Ibidem
86 Carlo Digilio, ex membro di Ordine Nuovo, esperto di armi e esplosivi, venne arrestato ed estradato in Italia da Santo Domingo nell’ottobre del 1992. Reo confesso per concorso nella strage di piazza Fontana e unico condannato, venne tuttavia prescritto grazie ai benefici di legge. Fu il testimone chiave da cui scaturì il terzo processo per piazza Fontana nel 1995.
87 Interrogatorio di Carlo Digilio del 9 ottobre 1993, agli atti della procura di Brescia, processo di Piazza Della Loggia. Citato in M. Gotor, op. cit., cap. IX
88 D. Conti, L’Italia di Piazza Fontana, pg 19
89 Ibidem
90 Frus, 1964-1968, vol XII, Western Europe, doc 69. Telespresso inviato dall’ambasciata Usa a Roma al Dipartimento di Stato di Washington, 26 maggio 1964. Trad. di Davide Conti in op. cit.
91 D. Conti, op. cit., pp. 20-21
92 Davide Conti, op. cit., cap. I par. 3, Crisi e conflitti nelle forze armate
93 Ibidem
94 Pietro Neglie, Il pericolo rosso, pg. 291
95 D. Conti, op. cit., cap. I par. 3 Crisi e conflitti nelle forze armate
96 Ibidem
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020-2021