A mezza mattina i nazi-fascisti avevano riconquistato Forno

Forno, Frazione del comune di Massa. Fonte: Mapio.net

A fine maggio 1944 Radio Londra trasmise un messaggio in codice che conteneva la parola d’ordine Avanti Savoia!, che stava ad indicare l’imminenza di un possibile intervento decisivo degli alleati sul fronte italiano, come lo sbarco sulle coste della Versilia che in molti attendevano. Era comunque un invito palese per i partigiani ad intensificare gli sforzi e ad impegnare i nazi-fascisti su più fronti possibili.
In realtà quel messaggio non è chiaro a cosa si riferisse, sembra probabile che però si intendesse segnalare lo sfondamento della linea Gustav e l’arrivo degli alleati a Roma (avvenuto infatti il 4 giugno successivo).
I partigiani versiliesi e apuani reagirono a quel messaggio con azioni eclatanti come la conquista di Forno, che sarebbe stata la testa di ponte per attaccare i tedeschi a Massa prendendoli fra due fuochi grazie all’ipotizzato sbarco.
Ma l’Avanti Savoia! era come si è detto riferito ad altro e questa esposizione prematura provocò la reazione furiosa dei nazi-fascisti che inflisse molte perdite all’organizzazione resistenziale.
Spinti dall’entusiasmo della conquista di Roma e dello sbarco in Normandia, avvenuto il 6 giugno, i partigiani della brigata “Luigi Mulargia” (vedi la biografia di Gino Lombardi) e della “Silvio Ceragioli” scesero in forze a Forno. In breve conquistarono il paese, erano le 15.30 del 9 giugno 1944.
La situazione era comunque considerata eccessivamente rischiosa da alcuni dirigenti del Comitato di Liberazione Nazionale e l’11 venne consigliato alla “Mulargia” di rientrare alla base sulle quote più alte dei monti circostanti. D’altra parte la Delegazione per la Toscana del Comando Centrale delle Brigate d’Assalto Garibaldi diramò un comunicato che terminava così:
“Partigiani e gappisti, l’ora della fase risolutiva che ci darà la definitiva vittoria è giunta. Che ogni patriota sia al suo posto di combattimento con la chiara consapevolezza che dalla sua audacia e dal suo coraggio sorgerà la nuova libera Italia”.
Il comandante Marcello Garosi e gli altri comandanti decisero di rimanere, preparandosi ad accogliere la reazione dei tedeschi.
Una pattuglia partigiana arrivò a Canevara, tagliando le comunicazioni col capoluogo e catturando un camion della X Mas. Altri partigiani minarono un costone roccioso sovrastante la strada per Forno e in generale vennero prese misure difensive adatte alla situazione, chiudendo ogni possibile accesso al paese.
Nel frattempo fra i fascisti di Massa si sparse il panico, gli ufficiali del distretto militare indossarono abiti civili e nottetempo fuggirono verso il nord, mentre parallelamente nella popolazione della zona cresceva il fermento. La notizia arrivò fino a Lucca dove le diserzioni fra i repubblichini incrementarono copiosamente, compresa quella di un intero reparto della X Mas dislocato a Pietrasanta e che in parte confluì in alcune formazioni partigiane.
Azioni sempre più audaci vennero messe in atto: il 10 quattro partigiani entrarono a Massa con le loro divise e come azione dimostrativa attaccarono una caserma dei carabinieri. L’11 venne invece attaccato il distretto miltare di Massa incitando i militari alla diserzione, in questa occasione i partigiani catturarono anche il figlio del capo delle carceri e in seguito effettuarono uno scambio di prigionieri.
Sempre l’11 nello sforzo di unire le varie formazioni partigiane della zona Marcello Garosi venne designato all’unanimità come capo del comando unico dello schieramento.
Ma i tempi non erano maturi e l’imperfetto coordinamento fra i vari gruppi sarà una delle cause della disfatta.
Il passo di Colonnata, che era d’importanza strategica, venne presidiato da un distaccamento che la sera del 12 giugno non venne raggiunto dai rifornimenti. I partigiani allora abbandonarono la posizione per poche ore per potersi rifocillare, senza attendere il cambio. Fu fatale: all’alba del 13 un migliaio di soldati appartenenti alle SS, alla X Mas e alla Guardia Nazionale Repubblicana di La Spezia mossero contro Forno appoggiati da due semoventi. In particolare i militi della X Mas ebbero la fortuna di trovare il passo di Colonnata sgombro e di poter così operare un accerchiamento.
Alle 3.20 venne dato l’allarme: patrioti della “Silvio Ceragioli” affrontarono le avanguardie tedesche e vennero fatte esplodere le cariche sulle pendici del monte Bizzarro. Tutta la testa della colonna nemica e tre camion di soldati vennero annientati. Ma la scarsità di munizioni impose comunque una ritirata per i partigiani.
Nel frattempo la X Mas aveva sfruttato a pieno l’effetto sorpresa e alle 6 del mattino l’accerchiamento era completo. I partigiani che non riuscirono a mettersi in salvo operarono una efficace resistenza dai locali del cotonificio poco più a monte del paese.
Il comandante Marcello Garosi che per una ferita ad una gamba non aveva preso direttamente parte alle ultime azioni era alloggiato fuori dal paese: tentò più volte di raggiungere i compagni assediati al cotonificio ma venne respinto e infine ferito gravemente. Continuò a sparare contro i nemici, infine conservò l’ultima pallottola per sé, per non cadere vivo nelle loro mani. Così Garosi, detto “Tito”, morì in località Pizzacuto alle 9.30, poco distante dal cotonificio.
A mezza mattina i nazi-fascisti avevano riconquistato Forno. Subito dopo cominciò la vera carneficina.
72 giovani del luogo vennero fucilati sull’argine del Frigido, i partigiani presi prigionieri vennero rinchiusi nella caserma dei carabinieri e arsi vivi. Altre 400 persone vennero avviate verso i campi di concentramento in Germania e le loro case furono saccheggiate e date alle fiamme.
Giovanni Baldini, La battaglia e la strage di Forno, ResistenzaToscana.it, 18 giugno 2004

Il 9 giugno 1944, in un momento di grande sviluppo della Resistenza apuana, i partigiani della formazione “Luigi Mulargia” occupano il paese di Forno, ritenendo prossimo uno sbarco alleato e la ritirata tedesca. L’operazione è vista con preoccupazione da alcuni esponenti del CLN locale per il rischio di forti reazioni tedesche contro le forze partigiane e la popolazione non combattente. Il 13 giugno, festa del patrono di Forno San Antonio da Padova, reparti italiani della X MAS e tedeschi della 135^ brigata da fortezza (accompagnati anche da un’unità della marina germanica) attaccano il paese, sorprendendo i partigiani e vincendone la resistenza. Nei combattimenti rimangono uccisi il comandante della “Mulargia” Marcello Garosi “Tito” e altri sette partigiani. L’operazione consiste in un accerchiamento del paese da varie direttrici di marcia, oltre alla strada principale carrozzabile di accesso al paese anche sentieri montani, per cui è quasi sicura la presenza di guide locali. I tedeschi e i militari della RSI rastrellano il paese casa per casa, uccidendo alcuni partigiani che resistono armati, una donna e ferendo mortalmente un bambino. Mentre le donne, i bambini e gli anziani sono portati nei pressi del cimitero, i giovani maschi adulti sono condotti presso la locale caserma dei carabinieri. Fra loro ne sono selezionati 60, riconosciuti come partigiani grazie alla delazione di un compagno catturato, che vengono portati in piccoli gruppi vicino al torrente Frigido, nei pressi della chiesa i Sant’Anna, e fucilati con armi automatiche. Quattro delle vittime riusciranno a sopravvivere fingendosi morti. Tra le vittime anche il maresciallo dei carabinieri Ciro Siciliano, comandante della stazione di Forno, che aveva tentato di intercedere per la popolazione di Forno con i tedeschi, ma era stato reputato un collaboratore dei partigiani. Altri giovani, circa 50, sono destinati alla deportazione e trasferiti prima a Marinella di Sarzana e poi nelle carceri di Genova e Milano, da dove raggiungono la Germania. La caserma dei carabinieri di Forno è incendiata, con alcune altre case, e al suo interno perdono la vita altre due vittime, probabilmente partigiani. Svolge un ruolo di primo piano nella selezione dei prigionieri e nelle esecuzioni il tenente della X MAS Umberto Bertozzi.
Massimo Michelucci, Episodio di Forno Massa 13.06.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

L’occupazione di Forno <2, paese della montagna massese, a pochi chilometri dal centro di Massa avvenne nel primo pomeriggio del 9 giugno 1944 da parte dei partigiani della Brigata Garibaldi “Luigi Mulargia”.
La formazione, intitolata al patriota sardo appartenente ai “Cacciatori delle Apuane” e caduto il 18 aprile 1944 in uno scontro a fuoco sul Monte Gabberi in Versilia, si era costituita originariamente alla casa bianca sul monte Prana nelle montagne versiliesi nell’aprile 1944. A seguito di continui rastrellamenti tedeschi gli uomini comandati da Marcello Garosi “Tito” e Giancarlo Taddei “Beppe” <3, su ordine del CLN di Viareggio, decisero lo spostamento della formazione nell’alta Lunigiana per prendere contatto con la missione “Rutland” <4 guidata dal radiotelegrafista Domenico Azzari.
Il 6 maggio iniziò la marcia di spostamento verso la Lunigiana degli uomini della “Mulargia”; durante il trasferimento ai circa venti uomini di “Tito” si aggiunsero altri partigiani provenienti dalla località Fania presso Stazzema. Il gruppo operò alcuni attacchi ai magazzini TODT presso Isola Santa e Vagli di Sotto. Il 10 maggio si portarono nei pressi di Gorfigliano, dove ebbero uno scontro a fuoco con militi della GNR, perdendo un uomo, Silvio Ceragioli, al quale in seguito vennero intitolate due distinte formazioni partigiane, una nel versante massese delle Apuane nel paese di Casette, e una in Versilia.
A causa di un vasto rastrellamento nazista nella zona di Mommio, l’incontro fra “Tito” e Azzari non ebbe luogo. Il Comandante della Mulargia, consigliato da rappresentanti del CLN di Minucciano, tornò indietro e il giorno 13 si incontrò con il nucleo di partigiani guidati da Lorenzo Bandelloni <5 e Guido Vannucci con i quali si accordò per dar vita ad un’unica formazione. La formazione che poteva contare su un centinaio di uomini era comandata da Garosi. Il ruolo di vice comandante fu affidato a Vannucci, quello di commissario politico a Taddei e Bandelloni fu nominato addetto agli approvvigionamenti.
Il giorno 14 avvenne al “Campaccio”, presso il monte Carchio, l’incontro fra “Tito” e alcuni rappresentanti del CLN di Massa. Si realizzò così il progetto pensato da tempo, soprattutto da Pietro Del Giudice <6 e Alberto Bondielli <7, di portare i partigiani massesi sotto la guida di un valido comandante militare, creando una forte formazione di montagna, capace di tenere militarmente un territorio all’interno delle linee tedesche e in grado di coadiuvare l’avanzata alleata. La Mulargia si spostò sul versante massese delle Apuane. Partigiani locali, sotto il comando di Alfredo Gianardi, “Vico” <8, andarono ad ingrossare le file della formazione <9.
Il 16 maggio gli uomini della “Mulargia” attaccarono ad Altagnana un distaccamento repubblicano: nello scontro si contarono un morto fra i fascisti e feriti fra i partigiani tra i quali forse lo stesso Comandante “Tito”. Ecco come viene raccontato l’episodio da Guido Vannucci: “[…] Forti di circa 80 uomini partimmo a sera e arrivammo sul posto verso la mezzanotte. Attaccammo le abitazioni dei fratelli Cerboncini, squadristi e spie dei tedeschi, uno dei quali segretario del fascio repubblicano del paese. Un’altra pattuglia si portò nelle immediate vicinanze dell’accampamento fascista. Mentre l’operazione Cerboncini fu rapida, quella contro l’accampamento fascista fu assai dura. […] Il tentativo di quattro compagni di prendere alle spalle il nemico fu respinto da una violenta sparatoria che ferì gravemente uno dei partigiani. […] Dovemmo ritirarci. […] Io e due compagni tentammo di riprendere il nostro ferito ma scariche di mitraglia e di fucileria ci respinsero. Per quanto anch’io venissi colpito, rispondemmo prontamente al fuoco <10”.
Ermenegildo Della Bianchina <11 presente allo scontro di Altagnana ricorda: “In città il Comitato di Liberazione avvisò Pietro (Del Giudice) che girava la voce che in Campiglia si era formata una banda di ribelli e che il segretario del fascio di Altagnana aveva chiamato in paese due milizie della compagnia di Santa Chiara, accampate sotto la sua casa, per circondare i ribelli. Ma Tito fu avvisato in tempo da Pietro e prima che iniziasse l’accerchiamento, mi sembra la notte del 16, si mosse con una squadra per la via dei Carri. […] Tito fece due pattuglie, una per la strada dei carri, e una per la stradina che da sopra Altagnana viene a finire sopra il cimitero. E lì ci fu quella battaglia, dove morì il figlio di Cerboncini. Rimase ferito anche il nostro Luciano Ceccotti di Pisa, che poi fu portato all’ospedale. […] Ad Altagnana io ricordo perfettamente che Tito era rimasto ferito di striscio ad una gamba <12″.
Un’altra testimonianza utile a chiarire la dinamica dello scontro a fuoco è quella di Luciano Ceccotti, uno dei feriti nella sparatoria: “[…] Fu fatto il progetto di andar a prendere questo Cerboncini ad Altagnana, ma si sbagliò casa. […] Si andò dal fratello che era Maresciallo dei Carabinieri e si portò via in mutande. I Repubblichini sparavano all’impazzata e noi li si rispondeva e ci furono due morti, tra i quali morì anche il figliolo del Cerboncini. […] Io fui portato all’ospedale. Mi trattavano male. Uno mi voleva infilare il dito nella ferita, mi voleva far fuori. Una mattina venne tutto il comando delle Brigate Nere, il Prefetto ed altri e mi domandavano come mi chiamavo, io mi chiamo Luciano non ci ho cognome son bastardo. […] Mi hanno torturato […] mi dissero domani mattina ti impiccano in Piazza Aranci. Vennero a liberarmi a mezzanotte <13”.
Tra le file partigiane i feriti furono sicuramente il vice comandante della “Mulargia”, Vannucci e Luciano Ceccotti, che, catturato dai fascisti, venne portato all’ospedale di Massa dove i partigiani riuscirono in seguito a farlo evadere. Sulla liberazione di Ceccotti dall’ospedale possiamo aggiungere alcuni particolari ricavati da documenti inediti presenti presso l’archivio ANPI di Massa. Il primo di questi documenti è un certificato medico dell’ospedale di Massa datato 1947 che testimonia il ricovero del Ceccotti presso l’ospedale sino al 5 luglio del 1944, “[…] ricoverato con gravi ferite al cranio” <14.
Abbiamo poi una testimonianza rilasciata a Emidio Mosti da uno dei sopravvissuti alla strage di Forno del 13 giugno, Aldo Sgadò che, fucilato assieme ad altri sessanta giovani, venne ferito alle gambe e si finse morto: “[…] arrangiandomi alla meglio ho attraversato il fiume e son rimasto oltre la sponda fino al mattino, presso una casa diroccata […] più tardi capitò un’infermiera che con l’aiuto di un autoambulanza mi condusse presso l’ospedale di Massa. Fui salvato in questa maniera […] una notte venne un certo Dell’Amico con una pattuglia di partigiani per liberare il “Balilla” e il “Pisano” Luciano Ceccotti. I partigiani per me erano Dell’Amico Ruggero “Buston”, Vignali Riccardo, Angelotti Luigi, Della Pina Albano, Vignali Giovanni e Tonarelli Orlando” <15.
Infine come ultimo tassello per ricostruire la vicenda personale del Ceccotti riportiamo un’autorizzazione a passare le linee datata 11 ottobre 1944 firmata da Pietro Del Giudice, comandante del Gruppo Patrioti Apuani: “[…] Il patriota Luciano Ceccotti è in formazione dal maggio scorso. E’ stato ferito gravemente in un fatto d’arme ed ora ha chiesto di passare le linee per raggiungere la famiglia che si trova a Pisa” <16.
[…] L’occupazione di Forno destò grande preoccupazione fra i membri del CLN di Massa che la considerarono intempestiva e prematura. Vennero inviati nel paese emissari del CLN per ordinare a “Tito” di tornare sui monti. Lo stesso Pietro Del Giudice <35 si recò a conferire col comandante della “Mulargia” assieme a Evaristo Piccinini “Silvio”: “Incontro Garosi presso la vecchia caserma dei Carabinieri e ribadisco che è un errore l’occupazione del paese e chiedo che rientrino agli Alberghi” <36. Il 12 giugno un’analoga visita venne compiuta da Gino Briglia <37.
[…] Il ritiro della formazione venne infine accolto da Tito e concordato per la sera del 12 giugno 1944. Probabilmente una parte degli uomini tornò agli Alberghi quella notte stessa; altri, invece, rimasero a dormire nel paese. Nella stessa riunione venne deciso che Bandelloni sarebbe dovuto partire immediatamente per il monte Cavallo in attesa di un lancio alleato <39. L’attacco al paese avvenne all’alba del 13 giugno e vide coinvolte forze tedesche, provenienti da La Spezia <40, e un reparto della X Mas, composto da circa cinquanta – cento uomini, comandato dal tenente Umberto Bertozzi. I partigiani vennero colti di sorpresa e dopo alcuni scontri a fuoco il paese fu in mano alle truppe nazi-fasciste <41. Il comandante “Tito” rimase ucciso in località “Pizzo Acuto” di fronte al cotonificio ligure. Probabilmente, come è ricordato nella motivazione della medaglia d’oro al valor militare assegnatagli, si tolse la vita per non cadere prigioniero. Una volta cessati i combattimenti gli uomini del paese furono rastrellati dai tedeschi e, mediante una selezione, sessanta furono fucilati presso la chiesetta di S. Anna e cinquantuno deportati in Germania. Le vittime complessive della giornata furono sessantotto. Dalla fucilazione si salvarono quattro persone.
[NOTE]
2 Per una ricostruzione dettagliata della strage di Forno vedi R. Fruzzetti, A. Grossi, M. Michelucci, Forno 13 Giugno 1944, Ceccotti, Massa, 1994.
3 Marcello Garosi nasce a Firenze il 27 marzo 1919 e muore a Forno di Massa il 13 giugno 1944. Sottotenente dei bersaglieri dopo l’otto settembre 1943 sfollò con la famiglia a Corsanico, frazione del comune di Massarosa, dove conobbe il Taddei. Nell’aprile del 1944 chiese e ottenne dal CLN di Viareggio che gli venisse affidato il sevizio di collegamento con la formazione “Cacciatori delle Apuane” di Gino Lombardi. Giancarlo Taddei nasce a Pisa nel 1923 e muore il 28 agosto 1944 a Gualdo vicino a Massarosa. Studente di medicina, comunista, si rifugiò in Versilia dopo essere fuggito dal carcere di Pisa.
4 La notte del 23 ottobre 1943 venne paracadutato nei pressi del Passo dei Carpinelli, fra Lunigiana e Garfagnana, il sergente radiotelegrafista della marina italiana Domenico Azzari, nativo di Casola, unico componente della missione inglese “Rutland”. Dotato di radiotrasmittente riuscì ad ottenere molti lanci per i patrioti toscani. La missione restò operativa sino al giugno 1944.
5 Lorenzo Bandelloni soldato della Divisione Sassari ebbe una breve esperienza con i partigiani jugoslavi di Tito. Tornato in Versilia a fine gennaio del 1944 si unì alla formazione Cacciatori delle Apuane comandata da Gino Lombardi. Dopo la morte di quest’ultimo, avvenuta a Sarzana il 21 aprile 1944, raccolse parte degli uomini della formazione riorganizzandoli sul monte Cavallo. A questi si aggiunse un nucleo di combattenti provenienti da Viareggio guidati da Guido Vannucci.
6 Pietro del Giudice nasce a Montignoso il 19 luglio 1914 e muore il 30 giugno 2000. Frate domenicano del convento di San Marco a Firenze si laureò in teologia e filosofia. Inviato a Roma presso l’ateneo pontificio “Angelicum” ottenne l’abilitazione all’insegnamento del diritto canonico. Tornato a Montignoso nel luglio 1943, nel novembre dello stesso anno entrò in contatto col gruppo antifascista massese. Comandante partigiano dal luglio 1944, sarà il primo Prefetto di Apuania dopo la Liberazione. Per notizie più dettagliate sulla vita di Pietro Del Giudice: Maria Del Giudice, Un uomo di pace in tempo di guerra, Sea, Carrara, 2011.
7 Alberto Bondielli nasce a Massa nel 1900 e muore nel 1994. Sin da ragazzo fa parte dell’organizzazione Azione Cattolica. Diventa Presidente del CPLN di Apuania col nome di battaglia di “Enzo” sino alla fine del febbraio 1945. Dopo la Liberazione fu il primo Presidente della Provincia di Massa – Carrara.
8 Alfredo Gianardi fu da prima comandante della 1° compagnia del GPA, poi venne nominato vicecomandante del gruppo nel gennaio 1945 e infine comandante dopo la Liberazione di Massa.
9 Sugli spostamenti della Mulargia si vedano, oltre a F. Bergamini, G. Bimbi, Antifascismo e Resistenza in Versilia, ANPI, Viareggio, 1983, G. Giannelli, Versilia la trappola del ’44, Versilia oggi, Querceta 1992; R. Torre, La resistenza nel comune di Apuania, ISRA, Pontremoli 2009; P. Pezzino, Scene di guerra e di Resistenza nella città di Massa, la strage di Forno e il suo contesto storico, Sea, Carrara, 2011.
10 F. Bergamini – G. Bimbi, Antifascismo e Resistenza in Versilia, cit. pag 100.
11 Ermenegildo Della Bianchina nasce a Massa il 24 agosto 1916 e muore a Massa il 16 aprile 2013. Alpino della Divisione Cuneense fu sul fronte di guerra greco e russo. Dopo l’otto settembre partecipò alla Resistenza ed entrò a far parte prima della Brigata Garibaldi “Mulargia” e poi del Gruppo Patrioti Apuani. Fu Presidente dell’ANPI di Massa a partire dal 2000.
12 M. Michelucci, N. Ianni, Partigiani apuani e linea gotica, Amministrazione provinciale, Massa, 2002, pag. 33.
13 Ivi, pp. 62, 63.
14 AAM busta 47, fascicolo 28.
15 AAM busta 56, fascicolo 21; In G. Rubini, La resistenza al 44° parallelo, Tipografia grafica Apuana, Massa, 1978. Nel testo vengono confermati i nomi dei partigiani autori dell’azione e si chiarisce l’identità del terzo prigioniero liberato “[…]Gino Sistori di anni 19 detto il Balilla senza una gamba perduta in uno scontro in Val Mazzola e ricoverato da Pontremoli”. La data dell’azione riportata nel libro del Rubini è la notte fra il 23 e 24 luglio. pp. 205, 206.
16 AAM busta 10, fascicolo 27
34 Ibidem, pag. 119.
35 Sulla data della visita di Pietro Del Giudice a Forno esistono diverse discordanze: nella relazione stilata nel 1946 dallo stesso, egli dice, che in compagnia del Piccinini, arrivò in paese il giorno 11; mentre nell’intervista contenuta nel libro di Fruzzetti, Grossi e Michelucci lo stesso annovera come data il giorno 10.
36 Ivi pag. 75.
37 Gino Briglia “Sergio” Comandante della 5° compagnia del GPA. Attraversò la linea del fronte il 10 ottobre 1944 per cercare un primo contatto con le truppe alleate. Divenne vicecomandante del gruppo F 3 e comandante di una delle tre compagnie che lo componevano, la “Falco”.
39 F. Bergamini, G. Bimbi, Antifascismo e Resistenza in Versilia, cit.; R. Fruzzetti, A. Grossi, M. Michelucci, Forno 13 Giugno 1944, cit. A conferma della partenza del Bandelloni da Forno il 12 giugno si faccia riferimento all’intervista ad Angelo Tongiani che racconta anche come quel pomeriggio Tito gli diede l’ordine di far rientrare alla base degli alberghi la squadra di Guido che presidiava il passo del Vergheto. pag. 90.
40 Il numero delle forze tedesche impegnate nell’operazione a Forno ammontavano ad un battaglione di circa 300-500 unità. L’azione forse venne pianificata dallo stesso Colonnello Almers, comandante della 135 Brigata da Fortezza che già aveva diretto il rastrellamento a Mommio.
41 Una violenta sparatoria si ebbe all’ingresso del paese, i partigiani, infatti, piazzarono una mitragliatrice in una delle prime case. A far fuoco furono due partigiani: Francesco Tongiani e Marcello Battistini, quest’ultimo fu ucciso. Altri scontri a fuoco si ebbero al bivio del ponte di Forno e presso la chiesetta di S.Anna. Vedi testimonianze di Angelo Tongiani e Mario Conti in R. Fruzzetti, A. Grossi, M. Michelucci, Forno 13 Giugno 1944, cit. pag. 91 e pag. 116.
Marco Rossi, Il Gruppo Patrioti Apuani attraverso le carte dell’archivio A.N.P.I. di Massa. Giugno – Dicembre 1944, Tesi di laurea, Università di Pisa, 2016