Il conflitto bipolare avrebbe influenzato il sistema politico-parlamentare italiano per oltre un quarantennio

Il crollo del regime fascista, la costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale e la caduta della monarchia posero le basi per un radicale rinnovamento della classe politica italiana. In assenza di una cultura democratica comune, e sia pure tra lacerazioni fortissime, la Resistenza e l’antifascismo rappresentarono un riferimento simbolico largamente condiviso dalle forze politiche <1. Per quanto minoritario in termini numerici, negli anni del regime l’antifascismo aveva infatti mantenuto un profondo e diffuso spessore etico e politico che non aveva caratterizzato soltanto le formazioni più radicali e attive come i comunisti, i socialisti e gli aderenti di Giustizia e Libertà poi confluiti nel Partito d’Azione, ma era stato un tratto distintivo anche di personalità di rilievo appartenenti alle correnti cattoliche, liberali e repubblicane <2.
Questo comune tratto politico e ideologico, che avrebbe costituito il principale elemento di rottura nel quadro istituzionale dell’Italia repubblicana, trovò l’espressione più solida e significativa nella redazione della Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948 <3.
Tuttavia, l’interpretazione predominante nella storiografia italiana ha generalmente sottolineato come profondi cambiamenti si siano intrecciati a persistenti continuità, poiché, accanto al nuovo ordinamento disegnato nella carta costituzionale, sarebbero sopravvissute strutture, ordinamenti e poteri dell’ordine istituzionale e sociale precedente <4.
Nella storiografia italiana, insomma, per lungo tempo ha prevalso la tesi della «continuità dello Stato» <5 nel passaggio dal fascismo alla repubblica, che avrebbe riguardato non soltanto aspetti giuridici e costituzionali, ma soprattutto l’apparato amministrativo e burocratico <6. Lo storico tedesco Hans Woller, invece, ha provato a ridimensionare il giudizio negativo che pesa sulle modalità con cui fu condotta e sui risultati che produsse l’epurazione in Italia, invitando a riflettere maggiormente sul contesto, nazionale e internazionale, in cui venne effettuata quella operazione <7.
Un’interpretazione consolidata nella storiografia italiana, fin dai primi volumi pubblicati negli anni Novanta sulla storia dell’Italia repubblicana, riguarda la centralità dei partiti nel nuovo sistema politico italiano <8, che avrebbero svolto la funzione di tramite tra i cittadini e le istituzioni dello Stato <9, sebbene in un contesto fortemente condizionato dalle crescenti tensioni in atto nel panorama internazionale. Il sistema politico repubblicano, quindi, si sarebbe consolidato attorno a partiti che erano radicati nelle conflittuali vicende politiche e sociali del paese, e, allo stesso tempo, incardinati negli schieramenti internazionali che si sarebbero imposti dal 1947 in poi. Come ha osservato, tra gli altri, Simona Colarizi, il quadro dei rapporti tra le potenze avrebbe continuato a pesare nella vicenda nazionale interna ben oltre la fine del conflitto mondiale <10.
L’avvio della «guerra fredda» <11, lo scontro bipolare che, pur conoscendo fasi alterne, avrebbe condizionato gli equilibri politici internazionali nei successivi decenni, avrebbe avuto un riflesso immediato nella composizione dei governi italiani.
L’alleanza antifascista, infatti, non era stata interrotta da subito. All’indomani delle elezioni dei deputati dell’Assemblea costituente del 2 giugno 1946 <12, Alcide De Gasperi, sebbene la composizione dell’assemblea gli avrebbe permesso di formare un governo di centro-destra o un monocolore democristiano, aveva preferito non rompere quell’alleanza, funzionale in quel momento alla stesura di una carta costituzionale condivisa da tutte le forze politiche <13.
Tuttavia, le tensioni politiche interne, inasprite dai risultati delle elezioni amministrative dell’autunno 1946 che avevano segnato l’avanzata dei comunisti in molte delle maggiori città italiane, a cui si aggiungeva il peso di quelle internazionali, determinarono di lì a breve una crisi del governo tripartito (DC, PCI, PSI) e la fine di quell’esperienza con l’estromissione, nel maggio 1947, dei partiti socialista e comunista, analogamente a quanto era già avvenuto in Belgio e in Francia. La svolta nella situazione politica italiana fu condizionata dalla questione degli aiuti finanziari attesi dagli Stati Uniti a partire dalla proclamazione della cosiddetta «dottrina Truman» e dal lancio del piano Marshall, che segnarono di fatto l’avvio della «guerra fredda» <14.
Nell’arco di pochi mesi, la contrapposizione fra i blocchi americano e sovietico divenne sempre più rigida, a causa, da una parte, degli aiuti economici fatti arrivare nell’Europa occidentale dal governo statunitense e accompagnati da un’intensa attività propagandistica <15, e, dall’altra, dalla costituzione dell’ufficio di informazione dei partiti comunisti e operai (Cominform), organo di consultazione e di coordinamento permanente fra i partiti comunisti di Unione Sovietica, Europa orientale e Francia e Italia <16.
All’interno di un contesto internazionale divenuto oramai rigidamente bipolare, la campagna elettorale per le elezioni del 18 aprile 1948 fu trasformata dalle principali forze politiche in uno «scontro di civiltà». Attraverso una propaganda capillare, gli schieramenti in competizione, ha scritto Angelo Ventrone, contrapposero democrazia e antidemocrazia, indipendenza nazionale e asservimento allo straniero, puntando alla sistematica denigrazione dell’avversario e rendendo il clima della campagna elettorale estremamente teso <17: i cattolici cercarono di screditare il Fronte popolare <18 per l’appoggio dato al colpo di stato comunista in Cecoslovacchia nel febbraio 1948, mentre i dirigenti comunisti e socialisti accusavano la Democrazia cristiana di essere subordinata agli Stati Uniti e sostenevano che aver accettato gli aiuti del piano Marshall avrebbe comportato una perdita di sovranità per il paese <19. I temi di carattere internazionale, insomma, condizionarono fortemente la lotta politica, che fu condotta come uno scontro tra «nemici interni», ognuno dei quali accusava l’avversario di essere al servizio del «nemico esterno» e quindi delegittimato a governare <20.
Il conflitto bipolare, insieme alle variabili politiche e sociali interne, avrebbe influenzato anche le successive competizioni elettorali e, più in generale, il sistema politico-parlamentare italiano per oltre un quarantennio. Quella lunga fase, ha commentato Vincenzo Casamassima, è stata caratterizzata dal prodursi di uno iato tra le enunciazioni costituzionali, che prefiguravano una democrazia fondata sul concorso di tutti i cittadini – e quindi di tutti i partiti – alla determinazione della politica nazionale ed una realtà in cui ad alcune forze politiche fu precluso l’accesso al governo e riservato il ruolo di opposizioni parlamentari tendenzialmente permanenti <21. I rapporti tra i principali partiti politici, tra maggioranza e opposizione, sarebbero stati infatti caratterizzati dalla così detta conventio ad excludendum <22, che, tuttavia, come aveva argomentato Pietro Scoppola, non era una formula costitutiva di una realtà, ma semmai fotografava una condizione reale del sistema politico italiano, nella quale una parte della rappresentanza politica, quella comunista, era esclusa dalla possibilità di contrarre alleanze di governo. Lo stesso PCI, con le sue scelte ideologiche e politiche, e la sua collocazione internazionale, aveva contribuito a creare quella situazione <23.
In un paese appartenente alla sfera occidentale e reso atipico dalla presenza del più forte partito comunista di quell’area, il sistema politico sarebbe dunque rimasto a lungo «bloccato dalla pregiudiziale anticomunista» <24.
[NOTE]
1 A. Ventrone, La cittadinanza repubblicana. Come cattolici e comunisti hanno costruito la democrazia italiana (1945-1948), Il Mulino, Bologna 2008², pp. 7-16
2 F. Barbagallo, Il dopoguerra e la ricostruzione, in B. Bongiovanni, N. Tranfaglia (a cura di), Le classi dirigenti nella storia d’Italia, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 185-186.
3 Insieme con il passaggio alla forma repubblicana, la costituzione, per il patto antifascista che la sottende, secondo Silvio Lanaro, avrebbe rappresentato in linea di diritto l’unica rottura netta con il passato fascista e prefascista, S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni novanta, Marsilio, Venezia 1994 (prima ed. 1992), p. 49 e sgg. Per una puntuale sintesi dei lavori dell’assemblea costituente si rimanda a P. Pombeni, La Costituente. Un problema storico-politico, il Mulino, Bologna 1995
4 Cfr. F. Barbagallo, Il dopoguerra e la ricostruzione cit., pp. 189-204;
5 Cfr. C. Pavone, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, in Id. Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 70-159.
6 Sulla continuità nell’architettura organizzativa degli apparati statali si rimanda a S. Sepe, La crisi dello Stato. La pubblica amministrazione fra continuità e innovazione, in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, vol. IV, G. De Rosa, G. Monina (a cura di), Sistema politico e istituzioni, Atti del ciclo di convegni, Roma, novembre-dicembre 2001, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, p. 424 e sgg.
7 H. Woller, L’epurazione in Italia, in id. (a cura di), La nascita di due repubbliche: Italia e Germania dal 1943 al 1955, Franco Angeli, Milano 1993, pp. 65-71
8 Su tutti cfr. P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico1945-1996, il Mulino, Bologna 1997²; cfr. anche F. Bonini, Storia costituzionale della Repubblica. Profilo e documenti (1948-1992), La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993, pp. 41-42
9 Cfr. Introduzione a S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, Laterza, Roma-Bari 1996²
10 S. Colarizi, Storia politica della Repubblica. Partiti, movimenti e istituzioni. 1943-2006, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 11
11 L’espressione viene attribuita al giornalista americano Walter Lippmann. Fra la vasta produzione storiografica sulla guerra fredda e le sue origini cfr. Ad es.: C. Craig, F. Logevall, America’s Cold War, Harvard University Press, 2009; N. Friedman, The Fifty-Year War: Conflict and Strategy in the Cold War, Naval Institute Press, Annapolis, MD 2007; J. L. Gaddis, Strategies of containment, Oxford University Press, New York 1982; M. P. Leffler, A preponderance of power: national security, the Truman administration, and the Cold War, Stanford University Press, Stanford, Ca. 1992; P. Nitze, From Hiroshima to Glasnost: at the centre of decision. A memoir, Weidenfeld and Nicolson, London 1989; F. Romero, Storia della Guerra Fredda: l’ultimo conflitto per l’Europa, Einaudi, Torino 2009; O. A. Westad (a cura di), Reviewing the Cold War, Frank Cass, London 2000. Per quanto riguarda studi più recenti che si sono occupati della dottrina Truman cfr. D. M. Bostdorff, Proclaiming the Truman Doctrine: The Cold War Call to Arms, Texas A&M University Press, 2008 in cui l’autrice analizza il discorso che il presidente tenne al Congresso il 12 marzo 1947, esaminandone l’impatto sulla politica estera statunitense sia nel breve che nel lungo periodo.
12 Il 2 giugno 1946 si svolsero il referendum istituzionale e le elezioni della Costituente, le prime a suffragio universale nella storia italiana. I voti a favore della repubblica superarono di 2 milioni quelli per la monarchia. I risultati del referendum restituirono il quadro di un paese diviso, con un’Italia centro-settentrionale – protagonista della Resistenza – nettamente a favore della forma repubblicana, mentre le circoscrizioni del sud e delle isole si espressero in maggioranza per la monarchia. Per quanto riguarda i risultati delle elezioni per l’assemblea costituente, i tre maggiori partiti ottennero insieme circa il 75% del totale dei voti: Dc 35,2%; Psiup 20,7%; Pci 18,9%. Fra gli altri, il Partito d’Azione, pur essendo stato una delle forze di primo piano della lotta antifascista, ottenne solo l’1,5% e si sciolse l’anno successivo. Cfr. M. S. Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 a oggi, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 361-362
13 Cfr. S. Colarizi, Storia del Novecento italiano. Cent’anni di entusiasmo, di paure, di speranza, BUR, Milano 2004, pp. 311-313
14 G. Formigoni, De Gasperi e la crisi politica italiana del maggio 1947, in «Ricerche di Storia Politica», n. 3, 2003
15 Per un quadro dell’impatto economico, politico e psicologico del piano Marshall sui paesi dell’Europa occidentale si rimanda a D. W. Ellwood, L’Europa ricostruita, Il Mulino, Bologna 1994. Nello specifico sull’aspetto propagandistico pp. 298-300
16 Sulla strategia sovietica e la fondazione del Cominform cfr. S. Pons, La rivoluzione globale. Storia del comunismo internazionale 1917-1991, Einaudi, Torino 2012, p. 200 e sgg; F. Bettanin, Stalin e l’Europa. La formazione dell’impero esterno sovietico (1941-1953), Carocci, Roma 2006
17 A. Ventrone, La cittadinanza repubblicana cit., pp. 254-259
18 Alle elezioni del primo parlamento repubblicano italiano, i partiti comunista e socialista – quest’ultimo indebolito dalla scissione della corrente socialdemocratica guidata da Saragat nel gennaio 1947 che diede vita al Partito socialista dei lavoratori italiani, poi Partito socialista democratico italiano – decisero di presentarsi in un’unica lista denominata «Fronte democratico popolare» che si richiamava alla politica dei fronti popolari degli anni Trenta, cfr. A. Agosti, Storia del Partito comunista italiano, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 66
19 Sul rapporto fra Stati Uniti e Italia in quegli anni, con particolare riferimento al piano Marshall, cfr. M. Campus, L’Italia, gli Stati Uniti e il piano Marshall, Laterza, Roma-Bari 2008. Per quanto riguarda il dibattito interno del gruppo dirigente comunista e il diverso atteggiamento che esso tenne nei confronti dei prestiti finanziari degli Stati Uniti all’Italia prima e dopo l’annuncio del Piano Marshall si rimanda a R. Martinelli, M. L. Righi (a cura di), La politica del Partito comunista italiano nel periodo costituente. I verbali della direzione tra il V e il VI Congresso, 1946-1948, Fondazione Istituto Gramsci, Annali 1990, Editori Riuniti, Roma 1992, p. 360 e sgg.
20 A. Ventrone, La cittadinanza repubblicana cit., pp. 262-272. Sul tema della rappresentazione dell’avversario politico in quegli anni cfr. Id., Il nemico interno. Immagini, parole e simboli della lotta politica nell’Italia del ‘900, Donzelli, Roma 2005, pp. 168-225; cfr. anche S. Cavazza, Delegittimazione nelle transizioni di regime: la Repubblica di Weimar e l’Italia del secondo dopoguerra, in F. Cammarano, S. Cavazza (a cura di), Il nemico in politica, il Mulino, Bologna 2010, pp. 217-227
21 V. Casamassima, L’opposizione in Parlamento. Le esperienze britannica e italiana a confronto, Giappichelli, Torino 2013, pp. 239-241
22 La nota espressione «convenzione ad excludendum» è stata coniata da Leopoldo Elia. Secondo il giurista, il sistema italiano sarebbe stato appunto caratterizzato dalla «presenza di una convenzione, in base alla quale uno o più partiti sono considerati al di fuori dell’area utilizzabile per il sostegno parlamentare ad un Gabinetto. […] tale intesa «ad excludendum» assume il carattere di una vera e propria regola del giuoco, vincolante tutti gli operatori costituzionali, e non già di una clausola puntuale, contenuta in un singolo contratto di coalizione». L. Elia, Governo (forme di), in Enciclopedia del Diritto, vol. XIX, Giuffré, Milano 1970, pp. 634-675
23 P. Scoppola, La repubblica dei partiti cit., p. 231
24 P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, vol. XXIV, Storia d’Italia, UTET, Torino 1995, p. 2. Fra le principali interpretazioni politologiche del sistema politico italiano che si affermarono a partire dagli anni Sessanta si ricordano qui G. Galli, Il bipartitismo imperfetto: comunisti e democristiani in Italia, il Mulino, Bologna 1966; G. Sartori, Bipartitismo imperfetto o pluralismo polarizzato?, in «Tempi Moderni», n. 31, 1967
Valentina Casini, Sinistra extraparlamentare e partito comunista in Italia 1968-1976, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2015