GAP a Torino

Fonte: La Stampa

Tra i giovani comunisti dell’ambiente proletario torinese Pesce aveva reperito Franco Pozzoli, Mario Aluffo, Franco Villa, Giuseppe Bravin, Francesco Valentino e Dante Di Nanni, oltre ad un operaio più anziano già combattente in Spagna, Angelo Spada. Come accennato anche lui era passato per il Vernet ed era stato consegnato all’Italia, confinato a Ventotene e liberato nell’estate ’43. Vista la precedente esperienza bellica e una conoscenza basilare degli esplosivi divenne l’artificiere dei GAP, apprendendo anche le istruzioni date da Barontini a Pesce per il confezionamento di esplosivi. Pesce fu in seguito prolifico scrittore delle sue memorie, ricche di descrizioni di azioni esemplari di terrorismo urbano, ma lontane dall’essere una fonte affidabile per la ricostruzione storiografica, come si vedrà a breve. Con le dovute cautele dunque, riprendiamo la narrazione dell’esecuzione del direttore de La Gazzetta del popolo, il fascista della prima ora, Ather Cappelli, avvenuta il 31 marzo 1944 mentre il giornalista si recava a casa per pranzo. Secondo il racconto, Pesce e Bravin erano ai due angoli della via per le 13, una staffetta, Irene Castagneris (Ines), poco più in là, segnalava l’arrivo dell’auto attraversando la strada, come convenuto. A questo punto Bravin e Pesce iniziavano a camminare l’uno in direzione dell’altro, per trovarsi vicini nel momento in cui l’obiettivo fosse sceso dall’auto, sparare e darsi alla fuga. Il racconto, se anche le modalità descritte potrebbero in qualche punto essere artificiose, dimostra come fosse nota anche a Pesce una modalità della guerriglia urbana che abbiamo già incontrato a Parigi, al momento dell’esecuzione di Ritter. Un segnale convenuto dava il via all’operazione e i movimenti erano calcolati al secondo per concentrare il maggior potere di fuoco sull’obiettivo.
L’episodio emblema delle coloriture apologetiche che Pesce attribuì alla sua narrazione è l’assalto alla stazione radio della Stura che disturbava le frequenze di Radio Londra in città. Secondo il racconto, dopo aver piazzato delle cariche esplosive sulla centralina sopraggiunse la polizia, allarmata dalle sentinelle della stazione, e, mentre i quattro gappisti si stavano ritirando sul greto del fiume, ingaggiarono uno scontro a fuoco. Bravin e Valentino furono colpiti, Di Nanni, gravemente ferito, fu portato nella base di via San Bernardino da Ivaldi <24, dove morì braccato dalla polizia. Nel racconto di Pesce, molte pagine sono dedicate a una conversazione con il giovane ferito, sulla paura della morte e la propria missione contro il fascismo <25, e la relazione successivamente stilata per il comando recita “per tre ore consecutive affronta da solo più di 300 uomini, combatte fino all’ultima pallottola […] Dopo aver esaurito le munizioni, Dante preferisce buttarsi dal balcone che cadere in mano ai boia fascisti […] Prima di morire Dante saluta con il pugno chiuso” <26. Il 4 giugno 1944 fu fatto circolare un opuscolo intitolato “Alla memoria dell’eroe nazionale Dante Di Nanni” che riprendeva questa scena, dell’eroico meccanico che si suicida per non essere preso vivo, con lo scopo di fornire un esempio ai giovani che si sperava di reclutare. La narrazione successiva, di cui Pesce fu il principale propugnatore, fece del caso Di Nanni un mito collettivo, tacendo su errori e incongruenze.
Nicola Adduci è autore di una ricostruzione della vicenda, che si è servita della Relazione che Pesce stese in proposito e dei verbali della questura, per rivelare che il fallimento dell’operazione fu dovuto al mancato rispetto del piano d’azione e al fatto che Di Nanni non fu spostato dall’appartamento di via San Bernardino. Innanzi tutto, Di Nanni e Valentino erano amici sin dall’infanzia e abitavano nello stesso caseggiato di via Cimarosa quando, entrambi renitenti alla leva per la RSI, fecero esplodere due bombe al piano terra del proprio stabile, dove risiedevano i Benetti, iscritti al PNF e con problemi di vicinato con alcune famiglie. Non è chiaro se il comando fu a conoscenza dell’operazione, ad ogni modo il 14 maggio Di Nanni, Valentino e alcuni vicini furono segnalati alla polizia come possibili colpevoli. Due giorni dopo, la notte tra il 16 e il 17 era programmata l’azione alla stazione radio, messa a punto da Bessone e Pesce, cui era stato vietato però dal comando regionale di prender parte alle azioni per non esporsi troppo. Pesce decise comunque di essere presente, poco distante. I tre recuperarono quindi l’esplosivo che avevano nascosto nella campagna vicina e assaltarono la stazione di trasmissione per porvi alla base le cariche esplosive. L’obiettivo era vicino ai comandi tedeschi e fascisti e controllato da numerosi uomini, che era previsto di legare perché non potessero dare l’allarme; di fatto però le sentinelle non furono legate, ma solo tenute a tiro di fucile da Bravin, che comunque non poteva sparare per non destare l’allarme. Una guardia riuscì a fuggire e chiamare i rinforzi. Nella sparatoria che ne seguì Bravin e Valentino furono feriti e catturati, mentre Di Nanni, creduti morti i compagni, riuscì a scappare e, dopo un lungo giro, a raggiungere Pesce, che si era allontanato dall’operazione, nell’appartamento di via San Bernardino. Di Nanni dunque, che non era ferito, vi rimase mentre Pesce prendeva contatti con Bessone, senza pensare di evacuarlo perché credevano Bravin e Valentino morti. Inoltre, all’insaputa degli attentatori, verso le 7 del mattino, probabilmente scossa maldestramente, una carica era esplosa nella stazione radio, danneggiando le trasmissioni. La polizia raggiunse l’appartamento la mattina del 18 maggio, il che vuol dire che i due catturati, sottoposti a interrogatori e torture dopo un rapido passaggio in ospedale, consegnarono l’indirizzo solo dopo aver resistito 24 ore, come indicato dalle regole cospirative. Di Nanni oppose effettivamente resistenza, ferendo i cinque saliti a bussare alla porta e gettando bombe a mano dal balcone, poi, si nascose nel canale della pattumiera reggendosi alle pareti, dove fu scoperto e ucciso con un colpo alla testa attraverso il muro. Il suo cadavere fu recuperato nel cortile dell’edificio. Secondo Adduci fu a questo punto che, dovendo giustificare la grave leggerezza di non aver abbandonato il rifugio, Bessone e Pesce manomisero la vicenda; per spiegare come la polizia fosse arrivata all’appartamento inventarono il dubbio che Valentino avesse in tasca un bigliettino con l’indirizzo della base e Di Nanni era ferito al punto da rendere impossibile spostarlo prima dell’arrivo di un medico. Dalla necessità contingente di fornire un esempio all’opinione pubblica e di coprire alcune leggerezze cospirative, derivò un mito collettivo portato avanti per anni dopo la guerra, servendo agli scopi propagandistici del partito comunista anche in età repubblicana. Il ricorso a narrazioni mitiche della guerra di liberazione per accreditarsi poi in sede parlamentare non fu attitudine esclusiva del comunismo italiano, anzi l’esempio di un episodio analogo è rintracciabile anche nella Resistenza francese. Si tratta della fine di Joseph Clichi, comandante del primo distaccamento FTP- MOI parigino dopo la prima ondata di arresti, caduto il 2 luglio 1943 in un’azione a porte de Clichy. Tre uomini del primo distaccamento aspettavano un autobus tedesco per assaltarlo con le granate e, secondo il rapporto mensile dei FTP di agosto ’43, Clichy, trovandosi sganciato dagli altri, lanciò l’ultima granata, ferendo molti tedeschi, e “dopo aver tirato le sue ultime cartucce sul nemico, è caduto da eroe sublime di fronte all’invasore barbaro. Esempio magnifico per i suoi fratelli d’arme” <27. Nelle ricostruzioni giornalistiche e storiografiche successive Clichy teneva per sé l’ultimo colpo per non consegnarsi vivo in mano al nemico. Secondo la ricostruzione archivistica di Liaigre invece, la bomba fu spinta via dal bus con un calcio, causando un solo ferito e nessun morto, mentre Clichy, gravemente colpito e rifugiatosi nella cantina di un immobile, moriva in ospedale la sera stessa.
[NOTE]
24 Nome di battaglia di Pesce a Torino.
25 Giovanni Pesce, op.cit., pagg. 112-144.
26 APC, Brigate Garibaldi, Piemonte, Azioni dei Gruppi di azione patriottica, Rapporto sull’azione svolta il 17 maggio.
27 Frank Liaigre, op.cit., pag. 11.
Elisa Pareo, “Oggi in Francia, domani in Italia!” Il terrorismo urbano e il PCd’I dall’esilio alla Resistenza, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, 2019