A fronte del grande successo commerciale, “Romanzo criminale” non ha incontrato un uguale riscontro a livello di critica letteraria (in questo caso la differenza con le opere di Cercas è abissale), probabilmente anche perché si tratta di un romanzo “di genere”, volutamente integrato nei paradigmi della produzione popolare e commerciale. Questo vuoto lasciato dalla critica fa sì che siano gli autori stessi i primi a ragionare criticamente sulle proprie opere: come nel caso di Wu Ming con “New Italian Epic”, anche De Cataldo offre una lettura della propria opera destinata a lasciare il segno.
Questa auto-analisi è contenuta all’interno di “Nelle mani giuste” (2007), che si presenta come il seguito di “Romanzo criminale”, sebbene presenti rispetto significative differenze: “questo romanzo non tradisce la Storia, la interpreta rappresentando eventi reali sotto il segno della Metafora. Il lavoro di ricostruzione si basa prevalentemente sulla lettura di atti giudiziari, sulla lettura di atti giudiziari, sulle conversazioni con protagonisti della stagione delle stragi e su alcune profonde intuizioni di acuti osservatori dei rapporti tra mafia e politica […]. Tuttavia, a eccezione delle personalità espressamente citate, i personaggi di questo romanzo sono frutto di fantasia e i nomi di aziende, strutture istituzionali, media e personaggi politici vengono utilizzati soltanto al fine di denotare figure, immagini e sostanze dei sogni collettivi che sono stati formulati intorno a essi. È la metafora a trasformare in archetipi letterari le persone che possono aver fornito spunti di ispirazione dell’autore. […] D’altronde, ho sempre pensato, con Tolstoj, che la Storia sarebbe una cosa bella, se solo fosse vera. E questo, in definitiva, è solo un romanzo”. <612
Lo stesso White ricorre ad un’idea di storia come metafora, tuttavia De Cataldo sviluppa il concetto in altro modo sostenendo di utilizzare il termine «come sinonimo di mito, di racconto. Mito in quanto ogni storia possiede un antecedente classico. Quindi una storia che si ripete e si rinnova» <613. In realtà, questa formula semplifica eccessivamente l’operazione di “Romanzo criminale”, il cui rapporto con i fatti realmente avvenuti nella Storia è fin troppo stretto. De Cataldo presenta infatti un altro modo per leggere un’intera fase storica rispetto a quello ufficialmente riconosciuto, mostrando connessioni che la storia o le sentenze dei tribunali (nei numerosi e contraddittori giudizi) non hanno mai provato in maniera definitiva. Nel romanzo il “vero” e il “falso” risultano in realtà estremamente vicini e, sebbene De Cataldo si muova nel campo della finzione, l’assenza di giudizi definitivi sui colpevoli e sui mandanti <614, l’ambivalenza delle testimonianze dei pentiti, la misteriosa scomparsa di parte degli archivi che caratterizzano un’intesa fase storica <615, fanno sì che vi sia un cortocircuito che porta ad un “concorso di verità” tra quanto accertato dalla magistratura e il romanzo: De Cataldo può quindi immaginare e raccontare delle trame “verosimili”, anche perché nella realtà, spesso, la verità non è stata accertata.
In un’intervista del 1992, Corrado Augias commenta un documentario della BBC <616 sul caso Gladio che dà grande rilievo alla figura dell’ex prefetto Federico Umberto D’Amato (fonte di ispirazione per il personaggio del Vecchio in “Romanzo criminale”), già all’epoca definito come il “grande vecchio”, uno dei possibili responsabili della strategia della tensione. A seguito delle polemiche scaturite dal documentario, Augias rilascia una dichiarazione che esplicita perfettamente la distanza tra la ricostruzione della BBC e la realtà giudiziaria di quanto avvenuto: “la prova non c’è” – chiarisce Augias – “Il documentario è una sorta di processo indiziario. Ci sono segnali sparsi che, sistemati in una sequenza logica, danno un determinato risultato che probabilmente in un tribunale non sarebbero ritenuti sufficienti per far emettere una sentenza di condanna, ma che possono essere utilissimi per ricavare una conclusione politica”. <617
D’altro canto le vicende narrate in “Romanzo criminale” si rifanno evidentemente a fatti realmente avvenuti: il libro, come d’altronde suggerisce lo stesso titolo, è pienamente un’opera letteraria, ma l’influenza dei fatti reali è tale che non sempre la “metafora” costruita da De Cataldo rimanda a qualcosa di differente dalla storia stessa. Si tratta di una questione che ha delle ripercussioni sulla categorizzazione dell’opera. In merito ai meccanismi del noir, Marco Amici scrive: “dal punto di vista strutturale il romanzo “nero” non si basa su una costruzione fissa: lo schema tripartito del poliziesco generalmente collassa sotto il peso dell’elemento criminale, che domina la narrazione. La prospettiva offerta dal romanzo noir è, in effetti, una prospettiva criminale: molti dei personaggi afiscono secondo quel tipo di logica, possiedono quel punto di vista sul mondo. In conseguenza di ciò, la figura stessa dell’investigatore, l’antieroe solitario del romanzo hard-boiled, non appare necessaria, così come il meccanismo dell’indagine non regola più la narrazione. Si delinea, dunque, una differenza profonda per cui al gioco enigmistico/intellettuale del giallo classico o all’indagine travagliata e “vigorosa” dell’hard boiled, si sostituisce una concatenazione degli eventi caotica, spesso casuale. Nel noir il lettore non viene “catturato” da casi da risolvere e assassini da scoprire ma da un particolare tipo di suspence: l’attesa per la crisi, per un progressivo, piccolo o grande, sconvolgimento a venire. Il motore della narrazione noir è il peggioramento: gli eventi precipitano, i personaggi “cadono” e molto spesso assumono i connotati della “vittima” “. <618
Tuttavia il romanzo di De Cataldo dialoga anche con un altro tipo di genere, quello del romanzo storico. Sebbene, tale commistione non sia riconosciuta dall’autore che afferma in un’intervista: «”Nelle mani giuste” è forse molto più un romanzo storico, è più vicino a Balzac, a Dickens, che un noir» <619. Tuttavia la distanza non è così netta, specialmente in “Romanzo criminale”. Come sottolinea Marco Amici, il romanzo è caratterizzato da un’ambiguità che coinvolge entrambi i generi: “del romanzo, in effetti, colpisce la prospettiva che sembra superare lo specifico dei fatti narrati per inquadrare la globalità di un particolare momento storico. […] Il romanzo di De Cataldo utilizza il racconto criminale per misurarsi con la storia recente, che viene impiegata come base di partenza, manipolata e, in un certo senso, “masticata” per tutto il corso del romanzo; procedimento ottenuto attraverso una narrazione di ampio respiro che non accompagna la caduta di un singolo personaggio noir, ma racconta di un’intera fase del nostro passato colta attraverso le sue peculiarità criminali”. <620
C’è inoltre un ultimo elemento che diventa centrale per analizzare l’operazione di De Cataldo, ossia il suo presupposto etico: la forma del noir, come in parte il romanzo storico, viene utilizzata come strumento che consente di riappropriarsi del passato, uno strumento che si pone nei confronti della società in termini di denuncia e di impegno.
Raccontare la storia d’Italia attraverso questa forma significa dunque tornare a mostrarne le ferite scoperte, i traumi irrisolti del recente passato.
La storia nella controstoria “Romanzo criminale” racconta la nascita, il successo e la fine di una banda armata che agisce a Roma negli anni tra il 1977 e il 1990. La struttura del romanzo è divisa in tre parti, ciascuna corrispondente al leader che guida le azioni della banda. Lo schema è particolarmente simile a quello di “American tabloid”, di James Ellroy, in cui si narrano le vicende di tre personaggi che si muovono tra la malavita e i servizi segreti statunitensi lungo le vicende che conducono alla morte di John F. Kennedy. Nelle sue interviste, lo stesso Giancarlo De Cataldo fa ampio riferimento al romanzo di Ellroy, tuttavia rispetto ad esso “Romanzo criminale” presenta delle differenze significative.
La prima è che, pur trattandosi di una vicenda che coinvolge i servizi segreti e gli apparati istituzionali, i personaggi della banda provengono tutti dalle borgate romane. Tutti e tre i leader vedono nella banda l’occasione per sollevarsi rispetto alla realtà che hanno vissuto: per Libanese, che spesso ricorre all’immaginario dell’impero romano, essa significa un sogno di gloria che lo porta ad affrancarsi da una vita altrimenti inutile; per il Freddo si tratta di essere finalmente riconosciuti e rispettati; per il Dandi significa abbandonare la strada ed entrare nell’alta società. Anche per il loro nemico principale, il commissario Scialoja, le investigazioni rappresentano il tentativo di un cambiamento, ma in modo differente rispetto ai leader della banda: la sua è l’aspirazione ad un cambiamento collettivo, secondo un’ambizione che Scialoja condivide con i movimenti politici che in quegli anni riempiono le piazze e che sono osteggiati e odiati dai suoi colleghi. In un modo o nell’altro, tutti i personaggi falliscono nei loro intenti, ma è grazie alle loro vicende che, a differenza di “American tabloid”, “Romanzo criminale” rappresenta un modo di raccontare una storia “dal basso”, periferica, che racconta le vicende a partire da personaggi che non arriveranno mai ad influire, se non in maniera sporadica, sugli eventi della politica e della storia nazionale.
La storia di “Romanzo criminale” potrebbe quasi sembrare una “controstoria” di quegli anni. È questa la tesi di Giuseppe Genna: “la controstoria è un’incursione che l’intero apparato mitografico dello scrittore compie nei confronti della storia che ci è stata raccontata come vera. E’ una terra di mezzo, la controstoria: spazio che, probabilmente, è più vero, più carico di significato, più simbolicamente potente di qualunque racconto che l’attuale ordine esistente compie su se stesso e sulla propria vicenda”. <621
In De Cataldo, Genna vede dunque uno scrittore in grado di sovvertire il modo in cui una stagione della storia d’Italia viene oggi studiata e ricordata: “mancava, appunto, uno scrittore che imponesse la vicenda (che connette la criminalità romana a praticamente ogni trama nera italiana: da Moro alla P2 a Pecorelli) quale racconto centrale e sintomatico di quello che ci hanno fatto vivere cercando di non farcelo sapere”. <622
[NOTE]
612 Giancarlo De Cataldo, “Nelle mani giuste”, Einaudi, Torino, 2007, p. 2.
613 Pierpaolo Antonello, Alan O’Leary, Sotto il segno della metafora: Una conversazione con Giancarlo De Cataldo, in “The Italianist”, 2009, p. 357.
614 Vedi ad esempio il caso della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 o il caso dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
615 In particolare si fa riferimento alla scomparsa di alcuni faldoni degli archivi di Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno dal 1957 al 1984, a cui si fa riferimento nelle pagine successive.
616 Allan Francovich, Gladio, BBC Documentary, 1992. I documentari della BBC, andati in onda il 10, il 17 e il 24 giugno 1992.
617 “I giocolieri del terrorismo”, Repubblica, 12/06/2014. I documentari della BBC scatenano diverse polemiche in Italia, anche perché le ricostruzioni della televisione inglese pongono pochi dubbi rispetto alla veridicità della propria ricostruzione. Repubblica ne dà testimonianza in un altro articolo, intitolato “Gladio, parlano gli inglesi” pubblicato l’11/06/1992.
618 Marco Amici, “La narrativa criminale: poliziesco e noir”, in Claudia Boscolo e Stefano Jossa, Scritture di resistenza. Sguardi politici dalla narrativa italiana contemporanea, Carocci Editore, Roma, 2014, p. 142.
619 Gianni Biondillo, “”Nelle mani giuste””, Nazione Indiana, 3/10/2007, http://www.nazioneindiana.com.
620 Marco Amici, “La narrativa criminale: poliziesco e noir”, in Claudia Boscolo e Stefano Jossa, Scritture di resistenza. Sguardi politici dalla narrativa italiana contemporanea, Carocci Editore, Roma, 2014, p. 162.
621 Giuseppe Genna, “De Cataldo: “Romanzo criminale””, Carmilla online, 03/02/2003, disponibile all’indirizzo: http://www.carmillaonline.com.
622 Ibid.
Paolo La Valle, Raccontare la storia al tempo delle crisi, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2015