Guido Rossa ha appena lasciato i locali del Consiglio di fabbrica per tornare al lavoro

Guido Rossa, iscritto al Pci e delegato sindacale della Fiom, membro del Consiglio di fabbrica dell’Italsider dal 1970, fa parte del gruppo di osservatori legati al sindacato di cui si è detto e, per seguire al meglio l’evoluzione della situazione, inizia ad annotare con molta precisione tutte le notizie di rilievo riguardanti l’attività dei colleghi di lavoro in modo da potersi accertare, nel caso di un’azione brigatista, delle presenze e delle assenze dal lavoro. Guido Rossa non decide di impegnarsi solo per disciplina di partito. Decide di farlo perché da tempo ha sviluppato una particolare sensibilità rispetto al problema del terrorismo e al rapporto della lotta armata con la fabbrica, come testimoniano alcuni suoi appunti pubblicati da sua figlia Sabina: “Le Br in qualche fabbrica ci sono state e ci sono: hanno trovato una propria base sociale in una sia pur ristrettissima fascia di impiegati tecnici, nella nostra fabbrica è proprio tra questi che si trovano i fiancheggiatori. […] il fascino della clandestinità e della lotta armata non ha mai neppure sfiorato gli operai, mentre si insinua nello spazio che separa la classe operaia dallo Stato” <1092.
Guido Rossa conosce molto bene Francesco Berardi, anche lui è iscritto al Pci infatti, ma lo considera ai margini della sinistra istituzionale e nutre forti sospetti su di lui per alcuni suoi atteggiamenti spavaldi.
Alle nove del mattino del 25 ottobre 1978, Berardi è fermo con la sua bicicletta davanti alla macchinetta del caffè poco prima del ritrovamento di alcuni ciclostilati delle Br. Traffica un poco, poi si allontana rapidamente e goffamente. Qualcuno nota queste strane operazioni, qualcun altro non si accorge di nulla, altri fingono di non vedere. Rossa ha appena lasciato i locali del Consiglio di fabbrica per tornare al lavoro. Scende una rampa di scale, fa qualche passo e si ritrova davanti Berardi con la sua bicicletta che si allontana dalla macchinetta del caffè. Rossa lo segue con lo sguardo, insospettito da un rigonfiamento della giacca, come provocato da un pacco di volantini, e si avvicina alla macchinetta. Allunga il braccio e trova uno dei volantini lasciato da Berardi, lo apre e trova la stella a cinque punte delle Br. Dopo un consulto fra gli operai e una breve indagine del Consiglio di fabbrica le posizioni appaiono subito diverse, ma prevale la linea di Rossa per il quale occorre denunciarlo. Vengono organizzati quattro gruppi di operai per la caccia al brigatista e Berardi viene localizzato e portato dai carabinieri. Al comando a pochi passi dall’Italsider, l’appuntato di turno scrive la denuncia e invita il nutrito gruppo di operai e delegati in attesa a firmare. Sono momenti di forte tensione e imbarazzo. Firmare quel foglio può comportare ricevere minacce, se va bene. A quel punto, Guido Rossa, rimasto solo nella stanza decide di firmare e Berardi viene arrestato <1093. Il fatto segna una svolta: è la prima volta infatti che un operaio denuncia un altro operaio dopo aver scoperto la sua militanza brigatista.
[NOTE]
1092 Alcuni appunti di Guido Rossa sono in G. Fasanella, S. Rossa, Guido Rossa, mio padre, Milano, Bur, 2006, p. 96; Cfr., anche G. Feliziani, Colpirne uno, educarne cento. La storia di Guido Rossa, Arezzo, Limina, 2004; G. Bianconi, Il brigatista e l’operaio. L’omicidio di Guido Rossa, Torino, Einaudi, 2009.
1093 “Confermo tutto. […] Allo scopo di frenare il fenomeno eversivo il Cdf ha deciso che qualsiasi rinvenimento di volantini o opuscoli editi dalle Brigate rosse fosse portato presso gli stessi uffici che avrebbero provveduto poi a consegnarlo al servizio di vigilanza. […] Verso le 8,30 odierne, mi trovavo presso l’officina centrale del suddetto centro siderurgico. Alcuni operai di questo reparto mi hanno portato un opuscolo delle Brigate rosse e mi hanno detto di averlo trovato nella cabina della macchine del caffè. Ho preso l’opuscolo e mi sono recato presso l’ufficio del Consiglio di fabbrica. Durante il tragitto mi sono fermato presso le macchine del caffè del reparto C.M.C. allo scopo di accertare se anche i questi luoghi vi fossero degli opuscoli del tipo di cui sopra. In tutti e tre i suddetti posti ho visto l’impiegato Berardi Francesco. […] D’accordo con i miei compagni abbiamo deciso di portare l’opuscolo ai servizi di vigilanza dello stabilimento. Sceso al piano inferiore del Consiglio di fabbrica ho visto il Berardi Francesco che presentava un rigonfiamento sotto la camicia che indossava, con sopra la giacca, come se avesse un pacco di opuscoli più o meno della stessa misura di quello rinvenuto nell’officina. […] Appena il Berardi è uscito dal Cdf ho riferito al Contrino Diego, membro del Cdf, il sospetto che il Berardi nascondesse sotto la camicia degli opuscoli delle Br e l’ho invitato a seguirlo allo scopo di sorprenderlo mentre disponeva detti opuscoli in qualche zona dello stabilimento. Appena sono uscito assieme al Contrino dalla porta del Cdf, sul davanzale, abbiamo rinvenuto un opuscolo dello stesso tipo di quello descritto. Il Berardi, in quel momento, si trovava a circa 20 metri. […] Non ho altro da aggiungere”. Il verbale integrale della denuncia di Guido Rossa è in G. Fasanella, S. Rossa, Guido Rossa, mio padre, cit., pp. 67-70.
Francescopaolo Palaia, La Cgil e il Pci fra violenza terroristica e radicalità sociale (1969-1982), Tesi di dottorato, Università degli Studi “Sapienza” – Roma, Anno Accademico 2016-2017

Sabina Rossa è nata a Genova nel 1962. <74 Suo padre, sindacalista e operaio all’Italsider venne prima gambizzato e poi ucciso dalle BR, davanti a casa. All’epoca lei aveva anni 16 anni. Quando è nata sua figlia, Sabina ha sentito il bisogno di raccontarle chi fosse il nonno. Ha iniziato una ricerca della verità che fino ad allora era stata tenuta nascosta, mai veramente accettata.
Così, ha raccolto più di 40 testimonianze di colleghi di lavoro e amici del padre, ma anche di ex-terroristi e magistrati. Il suo libro risulta interessante, sia per i risultati della sua inchiesta, condotta insieme al giornalista e scrittore Giovanni Fasanella, sia per la riflessione politica sugli anni Settanta in Italia. La morte del padre significò infatti una svolta importante nella sinistra italiana, per il rigetto che causò l’uccisione di uno di loro, un compagno, un uomo di sinistra tanto da cambiare la percezione della lotta armata tra la classe operaia e anche nel PCI, che da quel momento in poi condannarono la violenza in modo definitivo ed isolando progressivamente le BR.
La colpa di Guido Rossa era stata quella di denunciare un operaio che nella fabbrica dove lavoravano faceva volantinaggio a favore delle BR. Aveva fatto la spia, si era esposto in prima persona quando nelle fabbriche italiane regnava l’omertà. L’autrice decide quindi di intervistare gli ex brigatisti che avevano ucciso il padre, per capire come erano andate le cose: l’obiettivo gambizzare Rossa o si trattò di un omicidio premeditato? Secondo l’ex terrorista Vincenzo Guagliardo, l’ordine era solo di gambizzare suo padre, ma un altro componente della banda, Riccardo Dura, poi ucciso durante un blitz, gli aveva sparato al cuore.
Questo percorso alla ricerca della verità è riuscito a rendere più forte e più serena l’autrice che affrontando gli assassini del padre dice di non aver provato odio. Tuttavia, Sabina ammette che le dichiarazioni di Guargliardo non mettono la parola fine al caso Rossa, e che mettendo a confronto le testimonianze raccolte si è trovata di fronte tante versioni a volte contraddittorie a volte incomplete, come se restasse sempre qualcosa da scoprire sull’organizzazione delle BR e su quegli anni.
[NOTE]
74 Giovanni Fasanella, Sabina Rossa Guido Rossa, mio padre, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2006.
Lilia Zanelli, Gli anni di piombo nella letteratura e nell’arte degli anni Duemila, Tesi di dottorato, Università di Salamanca, 2018

In un’alba livida e fredda del gennaio ’79, sulle alture della Genova popolare, due colpi di pistola sparati a bruciapelo uccidevano l’operaio comunista Guido Rossa. Lo uccidevano al buio, nell’ora in cui gli operai vanno a lavorare. E cosí quell’alba era anche un tramonto. Annunciava la sconfitta politica delle Brigate rosse, segnava la fine della loro illusione di conquistare il favore delle classi lavoratrici. Ma la vita del «compagno Rossa», campione d’arrampicata dalle Alpi all’Himalaya, paracadutista, fotografo, non si esaurisce nella sua morte. Né si limita a riflettere la morte di un’utopia operaista respinta dal movimento operaio. Grazie allo scavo archivistico di Sergio Luzzatto – e grazie al suo talento narrativo – la storia di un «fresatore meraviglioso» diventa qui il ritratto, sorprendente ed esemplare, di un italiano nel dopoguerra. La parabola di un alpinista sceso giú in mezzo agli uomini per cercare insieme a loro la strada della liberazione.
Troppo spesso, nel discorso pubblico, le «vittime del terrorismo» sono poco piú che figure retoriche. Sopravvivono nella memoria degli italiani come immaginette, santini laici, piuttosto che come persone in carne e ossa. E cosí era stato, finora, anche per Guido Rossa. Comprensibilmente, tanta è la forza simbolica del suo martirio: un operaio metalmeccanico, un sindacalista, un comunista, ucciso dai brigatisti rossi perché baluardo democratico in fabbrica, oppositore strenuo di una propaganda marxista-leninista da lui denunciata quale travisamento degli interessi piú autentici della classe operaia.
Senza voler nulla togliere al merito politico e civile del sacrificio di Rossa, Sergio Luzzatto si è accostato alla sua figura con altre intenzioni. Oltre l’immaginetta, ha voluto scoprire l’uomo. Autorizzato ad accedere (il primo a poterlo fare) all’archivio di famiglia, ha voluto guardare alla vita di Rossa, almeno altrettanto che alla sua morte. Si è trovato cosí a fare i conti con una personalità originale, irrequieta, scomoda: quanto di piú lontano, sia in fabbrica sia fuori, dall’icona dell’operaio comunista come militante disciplinato.
D’altra parte, lo storico ha ritrovato nella varietà stessa del percorso esistenziale di Rossa, il bellunese «razza Piave» cresciuto a Torino da figlio di immigrati e trapiantato nella Genova del «miracolo economico», un itinerario tipico della modernizzazione italiana. Dapprima meccanico in un’officina a conduzione familiare, poi fresatore Fiat nei capannoni nuovi fiammanti di Mirafiori Sud, infine attrezzista Italsider nella città capitale delle partecipazioni statali, l’operaio Guido Rossa incarna un po’ tutta la storia del trentennio durante il quale le «tute blu» poterono sembrare il soggetto sociale portante di una Repubblica costituzionalmente fondata sul lavoro.
Presentazione, Sergio Luzzatto, Giù in mezzo agli uomini. Vita e morte di Guido Rossa, Einaudi, 2021