Ad ottobre 2012 davano in televisione “Il commissario Nardone”.
Non era il commissariato del vero Nardone, ma mi venne subito in mente che qualche mese prima a Milano in Piazza San Sepolcro mi era stato proibito di fotografare la sede della polizia presente in loco in un magnifico edificio medievale, rovinato nel triste ventennio per fare spazio ad una struttura del fascio, un palazzo in ogni caso non ancora del tutto deturpato dalle continue moleste ristrutturazioni. Sì, perché come noto, in quella piazza nel marzo 1919 fece il suo esordio il movimento di Mussolini.
Nel Nardone televisivo mi ero, comunque, come d’abitudine imbattuto per caso. Colpito dall’iniziale riferimento alla fine della seconda guerra mondiale, ci avevo messo un po’ a capire che si parlava di un poliziotto famoso in tutta Italia quando ero bambino. E a ricordare che mi poteva capitare di leggere con mio padre, mentre aspettavamo di rientrare in treno da Milano a Ventimiglia (lui in servizio come ferroviere, io come passeggero… al seguito) a poche ore dagli avvenimenti su di un quotidiano della sera una qualche indagine del vero Nardone. Come nel caso della banda di Via Osoppo, che all’epoca destò tanto clamore, conclusosi con arresto guidato da Nardone. Del resto quel commissario riempiva sul serio, come sottolineato dall’opera televisiva in questione, le cronache dei giornali in quegli anni: me lo rammento proprio bene.
Con l’occasione di quella memoria televisiva, qualcosa in più sul Web su Nardone era stato scritto. Mi aveva, allora, un po’ consolato il fatto di aver trovato scritto da qualcuno che il commissario Nardone, pur arrestandoli, fosse per lo meno dubbioso della colpevolezza di Fenaroli e Ghiani, rispettivamente mandante ed esecutore, per la magistratura, dell’omicidio della moglie del primo. Un caso che fu clamoroso in modo impressionante, ma un caso da più parti oggi ascritto ai soliti servizi segreti deviati. Un caso sul quale personalmente avevo, come continuo a fare, sempre dubitato sulla veridicità delle colpe attribuite dai nostri giudici. E lo sceneggiato, come avevo previsto, non era arrivato ad aggredire quel nodo…
Adriano Maini