Partigiani comunisti in Valtellina

Le FFVV [Fiamme Verdi] nascono dall’alveo dell’anticomunismo cattolico che ha basi sociali in una realtà, quella dei montanari, degli alpeggi e dei monti, che verifica nel fascismo l’inattualità della sua lotta al comunismo. L’accusa non è solo della guerra, dei morti, delle campagne di guerra insensate, ma è anche dell’abbandono delle valli e delle montagne, un popolo che si sente tradito e nel bresciano la situazione si sviluppa in maniera paradigmatica, i garibaldini alla ricerca del consenso nelle fabbriche, i cattolici nelle montagne e nelle valli. Lo scontro tra le due opzioni è immediato, da un lato la chiesa e dall’altro la costruzione di una identità sociale nuova, paradossalmente chi è nel mezzo, il PdA e le personalità autonome, viene schiacciato <279. Rientrano in questa battaglia politica anche le provocazioni verso i rossi che trovano nelle FFVV ottimi interlocutori. Tutto questo manca in alta Valtellina, non c’è scontro politico, non c’è la consapevolezza di essere dentro un travaglio nazionale e soprattutto c’è la coscienza, da parte del gruppo dirigente, di riuscire a gestire la situazione senza troppi traumi. Questa è la realtà dell’alta valle, la visione del fascismo come parentesi dolorosa (i morti della guerra, la fame e il rischio della perdita dell’unico bene presente: le dighe) che va chiusa senza troppi danni. Una Resistenza conservatrice che non è neppure anticomunista, troverà in Carlo Fumagalli (lui sì anticomunista) il suo cantore, ma questa è un’altra storia <280. Sono invece proprio i comunisti a fornire una fotografia intensa e chiara, con il giusto contrasto, di questo ceto politico che gestisce le formazioni dell’alta valle, il 5 marzo 1945 Fabio, responsabile militare del Triunvirato insurrezionale della Lombardia scrive a Lino (Siro Rosi), Maio (Mario Abbiezzi) e Gilli (Bruno Bianchi): «oggi 5 marzo 1945, ho avuto una amichevole conversazione con gli amici GL sul problema del Comando di zona per la Valtellina. Sono rimasti del parere che è assolutamente necessario arrivare, una volta per sempre, ad una conclusione positiva in merito […] I nostri amici GL si dimostrano decisamente favorevoli ad un simile Comando <281».
[NOTE]
279 Non è questa la sede per un’analisi della Resistenza nel bresciano, fanno riferimento a questa situazione gli scritti di Rolando Anni, Ercole Verzeletti, Dario Morelli, Mimmo Franzinelli.
280 Su Carlo Fumagalli ed il Mar sono molti gli scritti ed i riferimenti, si lascia la lettore ampia scelta a cui attingere per una corretta documentazione.
281 Il responsabile militare del Triunvirato insurrezionale della Lombardia, Fabio, a Lino, Maio, Gilli, Milano 5 marzo 1945, C. PAVONE (a cura di) Le brigate Garibaldi nella Resistenz. Documenti, vol. III, dicembre 1944 – maggio 1945, Feltrinelli, Milano, 1979, pp. 437-438. Cenni biografici di Mario Abbiezzi in: FONTANA G., Scampoli. La Resistenza brembana tra spontaneità e organizzazzione, cit., p. 128.
Gabriele Fontana e Massimo Fumagalli, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu

I due pungoli dei comandi garibaldini lombardi furono dunque il senso della inadeguatezza del movimento partigiano in Lombardia e la necessità di prepararsi per la liberazione, che non doveva essere lontana. “Il 6 giugno [1944], ricorda Nicola, gli alleati erano sbarcati in Normandia e noi della Resistenza avevamo ricevuto l’ordine di entrare in azione dappertutto per allargare il più possibile il conflitto e per disturbare la marcia delle truppe fasciste e tedesche” <10. I partigiani garibaldini si fecero subito comandanti di distaccamento e si diedero ad organizzare le formazioni partigiane dall’interno. Era il lavoro militare, la mancanza del quale aveva pregiudicato i successi della Resistenza lombarda nella passata primavera. A luglio, nella loro relazione per la federazione e il comando militare, Ario [Mario Abbiezzi] e Silvio [Domenico Tomat] ricordarono che “furono scelti i migliori elementi e preparati per coprire posti di comando […]. Il distaccamento fu così organizzato: nucleo – 6 uomini compreso il capo nucleo; squadra su 2 nuclei, più il Capo Squadra; Distaccamento – su 2 squadre, più il Comandante, il Commissario, il Vice Comandante più alcuni elementi per servizi vari” <11. Furono costituite sei basi di appoggio, che dovevano servire da magazzino e da recapito e furono imbastiti i collegamenti con la federazione, il comando militare, il Fronte della Gioventù, il comando unico. I partigiani disponevano poi di due uffici di intendenza collegati con Milano, di un ufficio informazioni e di un medico per il servizio sanitario <12.
Il 25 maggio, in risposta al bando di Mussolini per l’arruolamento nell’esercito di Salò, fu costituita la 40 Brigata Matteotti, divisa in due zone: il Fronte nord, sul lato destro della Valtellina fino a Sondrio, e il Fronte sud, dalla Val Gerola all’alta Valsassina. A capo del primo fu posto Nicola, il secondo fu affidato ad Aldrovandi. Da questi due tronchi nasceranno, nel luglio del 1944 le due brigate Garibaldi della Valtellina: la 40^ Matteotti e la 55^ Rosselli. Gli effettivi al 10 luglio ammontavano già a cinquecento uomini, per lo più giovani mandati dal Fronte della Gioventù e provenienti da Lecco e da Milano. Ma la loro preparazione lasciava molto a desiderare. Scrivevano Ario e Silvio:” Non andiamo per nulla bene […]. Il 90 % dei giovani del F.d.G. inviati o si sono sbandati o sono ritornati a casa e molti sono stati arrestati perché destavano sospetto in gruppo o hanno parlato lungo il viaggio della loro meta. La maggioranza sono arrivati scalzi e credevano di trovare l’Eden. Il compito principale del F.d.G. è di prepararli a sopportare le dure fatiche della montagna e di tutto il nostro lavoro. Bisogna che prima di partire sappiano che il cibo è scarsissimo che le armi non sono a disposizione come in una caserma, ma che si devono prendere al nemico e che un fucile è già un’arma preziosa per il partigiano” <13.
Il carattere dell’attività garibaldina in Valtellina è essenzialmente militante: il suo obiettivo è il potenziamento del movimento partigiano dall’interno, la sua espansione e lo sviluppo dell’organizzazione. Ma il momento dell’organizzazione è congiunto all’azione bellica e ne è per così dire il prolungamento: “la migliore organizzazione militare sorge e si tempra alla prova del fuoco”, scrivono Ario e Silvio in maiuscolo nella loro relazione e sono parole che torneranno nelle carte dei comandi partigiani <14.
A fine agosto Ario, diventato nel frattempo comandante in pectore del Raggruppamento della 40^, 55^ e 52^, le tre brigate attive tra la Valsassina e Sondrio, scriverà alle compagne partigiane parole inequivocabili: “Alludiamo alla necessità, in questo momento, di bolscevizzare la nostra azione mediante una lotta serrata aperta finale. Nessuna esitazione, nessuna giustificazione, tutte le nostre forze devono essere in linea di combattimento, dobbiamo imitare i gloriosi compagni e compagne dell’Unione Sovietica che hanno saputo dare alla guerra sostenuta dall’esercito rosso un’impronta bolscevica, unica e vera ragione per cui gli eserciti nazifascisti sono ripetutamente battuti […]. Avanti dunque con coraggio, organizzate squadre di gappiste, di sappiste, organizzate distaccamenti completi femminili che agiranno al nostro fianco valorosamente” <15. Dalla lotta nascono i quadri: “non fatemi più sapere (perché purtroppo lo so già) che vi mancano i compagni capaci – così Ario ai compagni della Brigata -. I compagni capaci siete voi, poiché altri non ve ne sono e non ve ne saranno, dato il grandioso compito del Partito nella società democratica immediatamente futura. Sdoppiatevi, moltiplicatevi e mettete avanti negli sforzi con coraggio giovani e poi giovani compagni che, dietro la vostra guida, daranno certamente buoni risultati. Non sono capaci? Diventeranno capaci in misura degli aiuti che voi saprete apportare loro. E solo voi sarete responsabili se non funzioneranno. Così l’avanzamento tra i migliori patrioti. La nostra lotta è la nostra Università e i quadri devono uscire da questo consesso patriottico così come in tutte le rivoluzioni sociali i quadri escono dal popolo” <16.
Coraggio dunque: fare e organizzare, lottare e nella lotta forgiare le formazioni. Certo, il lavoro organizzativo non diede proprio i risultati che i dirigenti di Lecco e di Milano desideravano. Dal giugno al novembre del 1944 uno stillicidio di comunicazioni della Delegazione del Comando generale per la Lombardia al Comando della 40^ brigata Matteotti e della 55^ Rosselli – cioè a Nicola e Al – e poi al Comando di Raggruppamento delle brigate operanti in Valtellina, lamentava l’evanescenza del Comando di brigata, l’insufficienza dei collegamenti interni, la necessità di costituire, nel mese di agosto, un Comando di divisione, la disorganizzazione della 55^ brigata e la mancanza, ovunque, di commissari politici <17.
Il 14 agosto 1944, Nicola rispose piccato in una lettera alla Delegazione: “Questo Comando vorrebbe sapere quali elementi specifici di organizzazione ci rimproverate. Sono sempre stati nostri criteri impedire la burocratizzazione dei Comandi per tenersi il più possibile vicino agli uomini e spingerli continuamente sulla via dell’azione. Quando è stato possibile non abbiamo esitato a lasciare le circolari per adoperare il mitra” <18 e spiegò che il lavoro delle varie Sezioni Operazioni, Intendenza e Sanità poteva essere svolto anche solo da un Capo Sezione, con l’ausilio tutt’al più di un vice. “Tenete però conto di vari elementi – proseguiva Nicola – che i capaci e in fede sono pochi; che non essendo molto numerosa la Brigata, alcuni servizi possono essere assunti dallo stesso individuo senza tema di accumulazione dannosa di lavoro; che abbiamo cercato di snellire i servizi per portare tutti gli elementi idonei alla lotta viva e reale contro l’odiato nemico” <19.
[NOTE]
10 Marco Fini e Franco Giannantoni, La Resistenza più lunga. Lotta partigiana e difesa degli impianti idroelettrici in Valtellina: 1943-1945, Milano, Sugarco, 1984, vol II, pag. 56.
11 Relazione per la F. e il CM di Ario e Silvio del 10 luglio 1944, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f6.
12 Cfr Ivi.
13 Ivi
14 Ivi.
15 AAVV, Le Brigate Garibaldi, op. cit., vol. II, pagg 279-280.
16 Comando 40^ Brigata d’Assalto Garibaldi Matteotti ai Compagni della Brigata, firmato Ario, 21/7, Issrec, Fondo
Gramsci, b1 f6.
17 Cfr Issrec, Fondo CVL INSMLI.
18 Comando 40^ Brigata d’Assalto Matteotti alla Delegazione, firmato Nicola, 14/8/1944, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f6.
19 Ivi.
Gian Paolo Ghirardini, Società e Resistenza in Valtellina, Tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, Anno accademico 2007-2008

Nella zona dei Corni di Canzo si formò un gruppo sotto la guida di Remo Sordo, il quale si appoggiava alla cellula comunista di Valmadrera. L’attività era quella già descritta per le altre formazioni. Quando a Canzo arrivò un forte presidio delle SS tedesche e Italiane, la formazione si sciolse e Remo Sordo si trasferì in Valsassina nella Brigata Rosselli. Verrà catturato e fucilato, con altri quattordici partigiani il 31 dicembre 1944.
Laura Bosisio, Guerra e Resistenza in Alta Brianza e Vallassina, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2008-2009

Il fatto di crescere in un ambiente antifascista, la reazione alle violenze e soperchierie dei fascisti, il desiderio di evadere e allargare il proprio orizzonte, di uscire di casa e fare esperienze nuove furono i canali attraverso cui in molte donne si affermò una coscienza politica antifascista <277.
Bisogna guardarsi dall’estendere a tutta la società valtellinese motivazioni politiche che si presentarono solo in determinati casi, per lo più tra quei giovani che presero parte attiva nella Resistenza. In generale la società valtellinese rimase estranea alle istanze politiche del movimento partigiano e lo valutò secondo il criterio della aderenza o meno alle proprie necessità. Essa cioè lo sostenne quando i partigiani servivano a proteggere i suoi ragazzi o a difendere i frutti del suo lavoro dall’obbligo di rifornire gli ammassi o dalla rapacità delle milizie fasciste. Vi si oppose, distanziandosene, quando le richieste materiali dei partigiani e i modi del loro operare confliggevano con gli interessi della popolazione. Abbiamo già illustrato la crisi che minacciò di spaccare il movimento partigiano in bassa valle tra il settembre e l’ottobre del 1944. Come abbiamo detto, una delle ragioni di tale crisi fu il deterioramento dei rapporti con la popolazione, a causa delle requisizioni troppo pesanti e delle uccisioni indiscriminate di spie o presunte tali ad opera dei comandanti garibaldini <278. In una relazione datata 12 novembre 1944 è lo stesso Nicola, comandante della divisione garibaldina, a riconoscere le responsabilità dei suoi uomini nel pesante clima creatosi: “il comandante della 90^, Nino, (attualmente passato alla 52^) aveva letteralmente sconquassato la zona occupata dalla Brigata con requisizioni fatte senza criterio, avventate, non tenendo conto delle condizioni economiche delle famiglie, senza buoni regolari e talvolta con violenza” <279.
Giulio Spini, allora partigiano nella 40^ Matteotti, ricorda di essere sceso dalla Val Masino nell’autunno del 1944, con un grande fazzoletto rosso al collo che lo identificava come partigiano a un miglio di distanza e di aver avvertito l’ostilità della popolazione nei suoi confronti <280. Abbiamo visto che il Comando di Raggruppamento cercò di recuperare il rapporto con la popolazione, spostando altrove i comandanti partigiani più invisi, raccomandando miglior accortezza nella gestione delle requisizioni e incaricando i comandanti della divisione garibaldina di dar vita in valle a organizzazioni di massa che avvicinassero la popolazione al movimento partigiano <281.
Qui ci preme descrivere come il rapporto del movimento con la società valtellinese fu impostato a partire dal febbraio del 1945, quando cioè il movimento partigiano si ricostituì in bassa valle, dopo essere stato spazzato via dal rastrellamento di fine novembre.
[NOTE]
277 Cfr. Licia Lanza, Protagoniste: donne tra guerra e Resistenza in Valtellina e Valchiavenna (1943-1945), tesi di laurea discussa all’Università degli Studi di Milano, aa 2001-2002, pagg 81-95.
278 V. supra, cap. 1
279 Relazione di Nicola a Lino, cit. in Franco Catalano, Dattiloscritto sulla Resistenza a Lecco, Como e Sondrio, 1978, testo non pubblicato e conservato presso la biblioteca civica di Lecco, pag. 342.
280 Incontro dei capi e commissari della 40^ Matteotti, doc. cit.
281 v. supra, cap. 1.
Gian Paolo Ghirardini, Op. cit.