Pacciardi voleva costituire una legione italiana da inviare a combattere in Italia

Verso la fine del 1941 Max Ascoli cercò di portare negli Stati Uniti Randolfo Pacciardi, eroico combattente antifascista durante la Guerra Civile Spagnola, il quale nel 1940 si trovava a Casablanca. Il professore temeva che se Pacciardi fosse stato internato dalle autorità francesi sarebbe finito in un campo di concentramento italiano. Era inoltre convinto che la presenza di una figura eroica di tale livello avrebbe fornito agli antifascisti piena legittimazione per coinvolgere sia il governo statunitense che la comunità italo americana nel sostegno al programma della Mazzini Society per un’Italia postbellica democratica. Secondo Ascoli, Pacciardi come capo militare avrebbe potuto essere un interlocutore affidabile per il governo degli Usa. Il combattente antifascista in esilio giunse negli Stati Uniti nel dicembre del 1941, con il progetto di creare un esercito italiano sul modello del movimento della Francia Libera di De Gaulle. Nei giorni immediatamente successivi l’attacco giapponese a Pearl Harbour e la decisione avventata di Mussolini di dichiarare guerra agli Stati Uniti, i politici americani stavano valutando tutte le possibili opzioni per attaccare le tre potenze dell’Asse. L’offerta di Pacciardi di organizzare una forza militare a fianco degli eserciti alleati, fu accolta con entusiasmo da molti liberali. Al contrario scarso entusiasmo attirava tra i militari di professione, preoccupati per gli effetti che avrebbe avuto armare e formare un simile esercito, mentre gli Stati Uniti si stavano ancora preparando e milioni di americani, volontari o richiamati, stavano prestando il servizio militare. La costituzione di forze militari nazionali separate avrebbe potuto confondere ulteriormente una situazione già caotica <19.
Mentre Pacciardi portava avanti i suoi tentativi di trovare sostegno sia nel governo che presso i mezzi di comunicazione americani per la costituzione di una “legione Italiana” di antifascisti, Sforza si adoperava per la costituzione di un governo italiano in esilio, il “Comitato Nazionale Italiano”. I due stavano delineando il progetto per un movimento “Italia Libera” sul modello francese. Insieme ai loro sostenitori tra gli antifascisti stavano cercando un sostegno politico presso l’amministrazione Roosevelt sotto forma di riconoscimento ufficiale e la fornitura di una modesta quantità di materiale bellico.
Dal punto di vista pratico, Sforza e Pacciardi avevano ben poco per convincere il governo di Washington a sostenere i loro piani. Nessuno dei due poteva dimostrare un significativo livello di consenso tra gli italo-americani che avrebbero dovuto, presumibilmente, costituire la maggior parte del corpo dei volontari. De Gaulle aveva sia il controllo di unità dell’esercito sia il controllo di parti del territorio nelle colonie francesi, da esibire per il riconoscimento diplomatico e per potersi “sedere al tavolo” dei negoziati tra alleati per decidere le politiche di guerra e partecipare a eventuali trattati di pace. Non era in condizione di dettare strategie ma poteva trattare per avere un supporto. Pacciardi e Sforza non potevano offrire altro che vaghe promesse su una forza militare da organizzare e sulla possibilità di attirare il sostegno tra gli italiani e gli italo americani verso lo sforzo bellico alleato. Dopo aver esaminato l’offerta degli antifascisti italiani e le loro possibilità di portare a termine quanto progettato, i politici statunitensi giunsero alla conclusione che il progetto era irrealizzabile. I progetti di Pacciardi e Sforza, la Legione Italiana ed il Comitato Nazionale Italiano Italia Libera vennero cortesemente messi da parte per una eventuale futura considerazione in caso di invasione dell’Italia da parte delle truppe alleate.
Nel frattempo i due esponenti dell’antifascismo italiano girarono gli Stati Uniti, insieme ai loro sostenitori, per cercare di costruire il consenso necessario alla realizzazione dei loro piani, e continuarono ad avere colloqui intermittenti con politici americani. Contemporaneamente gli Stati Uniti sviluppavano i loro contatti con i fascisti dissidenti e con il Vaticano, nel tentativo di assicurare la resa dell’Italia <20.
Pacciardi e Sforza, quando divenne evidente l’inabilità dei loro alleati antifascisti nel giungere ad un accordo con il governo statunitense, cominciarono ad ampliare l’ambito di persone e gruppi politici cui rivolgersi per chiedere aiuto. Dalla metà del 1942 Pacciardi cercò di mettersi in contatto con i rappresentanti del Partito Comunista Italiano; gli antitotalitari del gruppo giudicavano questa possibilità come una pericolosa trappola. Ascoli in particolare mise in guardia Sforza dai rischi di un accordo sul modello del Fronte Popolare; il legame con i comunisti avrebbe affossato la Mazzini Society e precluso ogni speranza di riconoscimento da parte degli Stati Uniti di un governo italiano in esilio. A suo avviso nonostante gli Stati Uniti collaborassero con l’Unione Sovietica, difficilmente avrebbero sostenuto un’organizzazione Italia Libera alleata con i comunisti italiani in esilio e con i loro compagni del Partito Comunista degli Stati Uniti <21. Comunque sia, con un occhio puntato sugli sviluppi della situazione in Italia e sull’esperienza del mondo degli esuli europei, Sforza e Pacciardi ritenevano necessario trovare una sorta di modus vivendi con i comunisti, per poter costruire un’Italia libera.
Poco tempo prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti Salvemini si lamentava con Ascoli per l’impossibilità di definire il ruolo della Mazzini Society, suggerendo di dividerla in due: una parte avrebbe continuato a rivolgersi al mondo politico americano, un’altra si sarebbe occupata degli esuli (in genere da poco arrivati) intenzionati a tornare in Italia una volta liberata. Ascoli era dubbioso: la Mazzini Society aveva scarsa influenza sul mondo politico italo-americano. Escludere la sua attività dal più ampio dibattito sul destino dell’Italia avrebbe ulteriormente diminuito la sua già limitata influenza. La sconfitta nella battaglia ingaggiata con Pope ed altri leader italo americani sul controllo dei mezzi di comunicazione e lo spostamento di Pacciardi verso una strategia di fronte comune avevano privato la Society del ruolo centrale brevemente avuto nel dibattito americano sul futuro dell’Italia. Trovare un nuovo ruolo per l’associazione sarebbe stato difficile. Il graduale allontanamento dalla Mazzini Society aprì a Max Ascoli, uomo d’azione e di impegno, nuove possibilità per aiutare l’Italia. Il mondo politico italo-americano scomparve dai suoi interessi. Altre questioni erano prioritarie nella sua agenda: l’America Latina, gli aiuti per l’Italia, la sorte degli ebrei rifugiati, e la possibilità di una pace “giusta” per l’Italia. Tornò a svolgere un lavoro dietro le quinte che gli sembrava più congeniale, cercando di influenzare la politica americana tramite gli amici che aveva nel governo, organizzando e sovvenzionando generosamente iniziative di aiuto economico e bilanciando la sua vita privata con diversi impegni sociali e politici a New York e Washington. Una serie di problemi di salute che lo costrinsero spesso in ospedale lo spinsero ad intraprendere una vita sociale meno stressante <22.
[NOTE]

  1. Ivi, box 170 Memorandum di Max Ascoli, 11 ottobre, 1941, box 181, Lettera di Max Ascoli a Eleanor Roosevelt, novembre 28, 1941. Per la documentazione sulle attività di Pacciardi negli Stati Uniti, J.E. Miller, The United States and Italy, cit., ad indicem. Mio padre, che fu chiamato alle armi a 35 anni, nel marzo 1942, ricorda che per il suo primo incarico fu alloggiato in un albergo requisito di Miami, Florida. Lì il personale dell’esercito cercava di organizzare un programma di addestramento che includesse pomeriggi di nuoto nella laguna, semplicemente perché non erano equipaggiati per un normale allenamento.
  2. J.E. Miller, Carlo Sforza e l’evoluzione della politica americana verso l’Italia, 1940-43, in «Storia Contemporanea», dicembre 1976, pp. 825-54.
  3. HGARC, Box 181, Lettera di Tarchiani a Pacciardi, 25 maggio, 1942. Ivi, box 203, Lettera di Max Ascoli a Sforza, 29 ottobre, 1942.
  4. Ivi, box 203, Lettera di Gaetano Salvemini a Max Ascoli, 26 ottobre, 1941. Ivi, box 204, Lettera di Max Ascoli a Berle, 19 dicembre, 1941.
    James Edward Miller, Costruire un ponte tra due mondi: Max Ascoli e la questione italiana (1940-1945) in (a cura di) Renato Camurri, Max Ascoli. Antifascista, intellettuale, giornalista, FrancoAngeli, 2012

Le vicende belliche italiane, l’armistizio prima e la cobelligeranza dopo, portarono a una situazione di contrapposizioni e di odi tra prigionieri di diverso orientamento politico, in particolare tra gli ufficiali. Il 18 ottobre 1943 il comandante del campo, colonnello H. L. Henkle, inviò una comunicazione a tutti gli ufficiali in cui si parlava di una costituenda Armata Italiana del Lavoro Volontario Militare (A.I.L.V.M.). Si diceva che il re d’Italia aveva rivendicato la propria libertà d’azione nella guerra in corso e che, mentre le armate tedesche si stavano abbandonando a violenze feroci in Italia, già duramente provata, anche i prigionieri potevano dare il loro contributo: “Ora vi si dà l’opportunità, a voi ufficiali italiani di dimostrare la spontanea, volontaria, leale intenzione di iscrivervi nel ruolo dell’Armata Italiana del Lavoro Volontario Militare. Si offre la maniera di concorrere, negli Stati Uniti, alla battaglia per la liberazione della Patria italiana che è anche un vantaggioso svago della mente e del corpo. L’organizzazione dell’A.I.L.V.M. è stata creata da intesa diretta fra il Governo degli Stati Uniti ed il Governo Italiano” <21.
I servizi previsti dall’A.I.L.V.M. erano quelli territoriali, di trasporto, intendenza, magazzini, ecc. I volontari non sarebbero stati impiegati oltremare, e vi sarebbe stata maggiore libertà, inclusa la libera uscita, come per le truppe americane. Gli interessati avrebbero dovuto firmare una scheda e depositarla personalmente nelle cassette apposite, senza che altri conoscessero la scelta fatta. Quanto prima una commissione del Ministero della Guerra americano avrebbe visitato il campo per raccogliere gli orientamenti per la futura organizzazione.
Questa prima ipotesi di collaborazione non ebbe seguito nella forma prospettata. In quel periodo i prigionieri ebbero anche contatti con Randolfo Pacciardi, che voleva costituire una legione italiana da inviare a combattere in Italia <22. Diceva Biani: “Con la caduta del fascismo, l’armistizio, l’ambiente si esasperò un poco. C’erano i fascisti e i non fascisti […] la situazione si esasperò sia nell’ambiente degli ufficiali sia in quello dei soldati, ma non arrivammo mai a cose grosse […] Ci furono molte dimostrazioni tra noi, e allora decisero di dividerci: i collaborazionisti da una parte, gli anticollaborazionisti dall’altra. Quelli che avevano fatto richiesta di collaborazione, me compreso, vennero trasferiti nell’Arkansas, il campo si chiamava Monticello”. <23 Parte della responsabilità delle divisioni all’interno dei prigionieri, secondo Biani, andava attribuita agli americani. Avvalendosi del personale della polizia militare, in maggioranza italo-americano, “e di qualche altro elemento che naturalmente c’è sempre, disposto a collaborare con il padrone, si erano messi a fare una propaganda diffusa, sottile, maligna, per mettere su i soldati contro gli ufficiali, dicendo che gli ufficiali erano tutti fascisti, loro avevano voluto la guerra, erano d’accordo con Mussolini e che i soldati, poveretti, erano povera gente sfruttata e ingannata” <24.
[NOTE]
21 AUSSME, DS, busta 2256-A.
22 G. Cecchi, cit.
23 V. Biani, cit., p. 77.
24 Ibidem, p. 76.
Flavio Giovanni Conti, I prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti, 1942-1946, Tesi di dottorato, Università degli Stud Roma Tre, Anno accademico 2010/2011