Il film si presenta come una vera e propria favola

Un’altra commedia che propone una situazione simile ai due film appena analizzati è Giorni d’amore (1954) di Giuseppe De Santis, che proprio per l’ambientazione rurale e i toni da commedia viene accostato dalla critica ai due film precedenti. De Santis, con una lettera indirizzata a Guido Aristarco su “Cinema Nuovo”, però prende le distanze da quei film dal momento che il suo soggetto è stato scritto precedentemente. De Santis inoltre rivendica la sua “ambizione artistica di creare film con l’intento di gettare le basi, o di riallacciarmi a una tradizione che sia dentro il giusto appello di Gramsci a una visione nazional-popolare dei contenuti, e del linguaggio con cui questi contenuti devono essere espressi”. De Santis precisa che i suoi personaggi “sono tutti contadini, di quelli che vivono sulla terra e per la terra” <25 criticando i termini che erano stati usati dalla critica anche per il suo film: “idillio agreste”, “bozzetto paesano”, “macchiettismo”.
Il film viene preceduto da un lungo lavoro di ricerca sul posto: il collaboratore di De Santis, Elio Petri, si documenta, trasferendosi a Fondi (paese natale dello stesso De Santis) per qualche settimana, su un’usanza tipica locale, quella che vedeva due fidanzati mettere in atto una “fuitina” con annessa (o simulata) “consumazione” in modo da potersi poi sposare dopo in sordina, evitando le spese della cerimonia e del rinfresco.
I protagonisti del film, ispirati dunque a persone vere, sono Angela (Marina Vlady, doppiata da Maria Pia Casilio) e Pasquale (Marcello Mastroianni), due giovani contadini innamorati che vorrebbero sposarsi e anche qui, come in Due soldi di speranza, l’estrema povertà è l’impedimento alla felice conclusione.
La didascalia iniziale del film recita: “A tutte quelle ragazze e a tutti quei giovani che per realizzare un loro sogno riescono a sposarsi – attraverso vicende penose e spesso stravaganti – questa favola d’amore è dedicata”. Dunque fin da subito viene esplicitamente collegata la realtà all’elemento favolistico. Il film propone quelle soluzioni immaginarie a problemi reali di cui parlava Levi Strauss riferendosi al mito. Il film infatti sia per il tipo di racconto, sia per la scelta di usare la pellicola Ferraniacolor che conferisce all’immagine toni e colori quasi irreali, sia per l’impostazione per certi versi “teatrale”, si presenta come una vera e propria favola. O per meglio dire come una di quelle storie raccontate dai cantastorie popolari: infatti il film è incastonato in una cornice canora che funge da sipario in apertura e in chiusura. La canzone all’inizio presenta i vari personaggi e invita lo spettatore a seguire il racconto e nel finale ratifica la fine della storia e saluta il pubblico.
Questo tipo di narrazione favolistica si accorda perfettamente con l’opera che il pittore Domenico Purificato (anche lui ciociaro) fa sui costumi, la scenografia e il colore. La sua opera, “influenzata dal Realismo magico (aspetto di maggior rilievo che caratterizza la corrente pittorica chiamata Scuola romana), presenta i suoi soggetti avvolti in un’atmosfera di sospensione e di favola. Ciò che caratterizza la sua opera pittorica è l’unità di fondo, il legame così forte con la sua terra mitica e l’importanza dell’uomo e dei valori umani. Pittore della realtà dunque, ma una realtà magica, sospesa” <26.
Come in altri film di De Santis, anche in Giorni d’amore la figura femminile assume una centralità notevole. Il primo personaggio che vediamo è proprio Angela, inquadrata in primissimo piano. La macchina da presa poi allarga gradualmente l’inquadratura e ce la mostra mentre batte le spighe per far uscire il grano. Anche Angela, come Carmela e Maria, ci viene mostrata nelle sue incombenze di contadina e già di piccola donna di casa. Angela è forse meno esuberante di Carmela e Maria, ma la sua psicologia è approfondita molto di più: sin da subito intuiamo la sua natura profondamente romantica e sognatrice. Nel corso del film scopriamo tutti i suoi desideri di ragazza dell’epoca: andare al cinema a vedere La sepolta viva, il sogno romantico di un matrimonio con i fiori d’arancio, con la permanente e con l’abito bianco come quello visto sulla rivista “Annabella”, l’essere bella per il suo fidanzato e la preoccupazione che le fatiche della campagna possano rovinare il suo aspetto fisico. Oltre che dal punto di vista narrativo, anche dal punto di vista del linguaggio cinematografico Angela viene privilegiata rispetto agli altri personaggi. Le vengono dedicati frequenti primi piani e inquadrature lunghe. Ad Angela inoltre appartiene l’unica soggettiva del film, nella scena in cui, la sera della fuga, i due fidanzati attraversano con la bicicletta il bosco di aranci. Carmela guardando sognante i fiori e poco convinta di questa soluzione per evitare le spese della cerimonia dice: “Guarda quanti fiori d’arancio…senti che profumo?…Se ci levi pure un matrimonio coi fiori d’arancio, a una povera ragazza che ci resta?”. Il suo primo piano è alternato ripetutamente con l’inquadratura in soggettiva dei fiori d’arancio, simbolo del matrimonio e di tutti i sogni di Angela. La luce blu della sera rende la scena quasi fantastica e profondamente elegiaca. Pasquale si ferma, raccoglie i fiori e le fa una coroncina. Allora Angela gli mostra la foto del vestito che porta con sé e gli dice “Ecco, come questa!”.
In Giorni d’amore ritorna il tema caro a De Santis (vedi primo fra tutti Riso amaro, ma anche Caccia tragica) dell’erotismo e della sensualità del corpo femminile. L’attrazione che Pasquale prova nei confronti di Angela è evidente in tutto il film ma in questo senso la scena più emblematica è quella sulla spiaggia. Dopo l’ennesima litigata con Pasquale, Angela, avendo incontrato delle contadine che le hanno detto che ormai è stata compromessa anche se non ha fatto niente di male, decide di concedersi al futuro sposo e lo provoca spogliandosi e facendo il bagno. Uscendo dall’acqua Angela si mette quasi in posa per farsi ammirare. Tutta la sequenza è giocata sull’alternanza tra i due giovani e la macchina da presa indugia sul viso e sul corpo della ragazza senza malizia. Ancora una volta le scene d’amore vengono dunque ambientate al di fuori del paese, nella natura.
Tra le altre figure femminili spicca la madre di Pasquale, vera contadina di Fondi, e vero punto fermo della famiglia: è lei che decide quanti soldi dare al figlio per il suo matrimonio, se dargli anche la parte del fosso per piantarci gli aranci, che consiglia al figlio di dare due schiaffi alla nuora per farla ragionare. I rapporti all’interno della famiglia sono subito messi in chiaro: Pasquale domanda al padre: “Ma insomma a casa nostra chi comanda?”, e il padre risponde: “Tua madre!”. In effetti all’interno del mondo patriarcale contadino, la donna più anziana, la madre, ha sempre ricoperto un ruolo importante.
Oltre che nell’immaginario di De Santis, le donne rivestono una grande importanza anche nella produzione di Purificato come pittore: “sono contadine, madri, sorelle, donne del popolo, dalle fattezze robuste e dagli sguardi trasognati, con gli occhi grandi a mandorla, tipici delle donne del sud. Queste donne vivono in un mondo maschilista, prigioniere di una mentalità piena di pregiudizi, ma la loro visione da parte del pittore manca di quella crudezza e di quel realismo che invece caratterizzano i personaggi femminili di De Santis”. Ma è Angela in particolare che “incarna l’ideale di femminilità che ispirava il pittore fondano, con la sua dolcezza e l’espressione malinconica e trasognata, la fiera rassegnazione a vivere una vita povera dove però vi è posto per la poesia del quotidiano. Le donne di Purificato sono come lei, semplici e poetiche, quasi disarmanti, colte nella loro fresca quotidianità, osservate nei loro gesti più meccanici e distratti, come quello di tenersi lo scialle sulle spalle, o di passarsi la mano nei capelli” <27.
Il film termina con il matrimonio dei due giovani, in sordina e di nascosto ma Angela riuscirà ad avverare almeno uno dei suoi desideri: non si è sposata con l’abito bianco ma riesce a farsi la permanente e a coronare il suo sogno di essere per un giorno bella come le foto nelle riviste femminili che legge.
[NOTE]
25 Giuseppe De Santis, De Santis ci scrive, in “Cinema Nuovo”, n. 49, 25 dicembre 1954, ripubblicato in Giovanni Spagnoletti, Marco Grossi (a cura di), Giorni d’amore. Un film di Giuseppe De Santis tra impegno e commedia, Lindau, Torino 2004, pp. 177 – 182.
26 Paola Marchi, Cinema e pittura in “Giorni d’amore”, in Giovanni Spagnoletti, Marco Grossi (a cura di), Giorni d’amore. Un film di Giuseppe De Santis tra impegno e commedia, cit., pp. 52 – 53.
27 Ivi, pp. 56 – 57.
Valeria Festinese, La commedia italiana degli anni cinquanta: stili di regia, modelli culturali e identità di genere, Tesi di Dottorato, Università degli Studi “Roma Tre”, Anno Accademico 2007-2008