Le Brigate Nere assunsero i lineamenti dell’ennesimo corpo di polizia

Come già accennato precedentemente lo spostamento del fronte durante la primavera del 1944 ed il conseguente sbandamento della Repubblica aveva fatto temere ai fascisti repubblicani il manifestarsi di un secondo 25 luglio che avrebbe definitivamente screditato il nuovo fascismo agli occhi di tutti, condannandolo in maniera irrecuperabile. Da tempo lo stesso Mussolini era stato messo in discussione da molti militanti del partito, delusi dalla strada che il Fascismo repubblicano aveva imboccato. Ai grandi annunci promulgati a Verona, infatti, non era seguito nulla di concreto e la stessa magnificata giustizia fascista nei confronti dei traditori del 25 luglio e di tutti coloro che avevano sfruttato la propria posizione all’interno del PNF per arricchirsi era rimasta, salvo che per i sei gerarchi fucilati l’11 gennaio 1944 a Forte San Procolo e altri pochi casi, deficitaria. La stessa commissione sugli illeciti arricchimenti instaurata da Badoglio nei 45 giorni, mantenuta poi in attività dal Duce con l’intento di vendicarsi di coloro che avevano mandato in rovina il partito, si era limitata a punire i “pesci piccoli” lasciando impuniti i grossi nomi del Ventennio che avevano sfruttato senza scrupoli la loro posizione di potere per il proprio tornaconto personale: per molti militanti, quindi, la Repubblica era ritornata ai metodi, alle raccomandazioni e alle nomine dall’alto del trascorso regime. Tale ripresentarsi del modus vivendi in voga nell’ex PNF agitava l’animo dei militanti più fedeli che avevano risposto inizialmente con gioia all’avvento della Repubblica, per poi scontrarsi con un ambiente per tanti aspetti simili a quello del Ventennio: «I farisei stanno rientrando nel tempio, e la lotta antiborghese è […] caduta nel silenzio» <109.
In molti, infatti, si erano rivolti alla nuova Repubblica con la speranza di una rinascita nazionale che desse la possibilità di concretizzare una vera e propria rivoluzione tagliando i ponti con il passato Fascismo, imborghesito ed imbrigliato dalla Chiesa e dalla Monarchia sabauda. Queste aspettative andarono però infrante: “Ci fu un gran parlare e scrivere di Costituente, di Tribunali provinciali, di socializzazione, di assolute minoranze, di ricostituzione e riforma dell’esercito, di abolizione del capitalismo, di severe pene ai traditori, di accorgimenti di ogni sorta. Ma poi, piano piano, quasi inavvertitamente, l’azione politica è calata di tono e, prima o poi, si è dovuto ammettere o far comprendere che molte cose non si potevano realizzare. I troppi bandi hanno ricondotto nell’esercito un’ufficialeria, in genere, di troppa badogliana memoria per creare reparti spiritualmente adatti […]; ingiustificati e ingiustificabili “sposalizi” hanno paralizzato il mordente e la combattività della Milizia, relegandola al ruolo poliziesco […] distogliendo così forze vive e vitali non solo ai fronti della guerra ma anche al fronte politico; la Costituente è stata rinviata […] dopo che su di essa si erano perfino pubblicati i dettagli della composizione e delle prerogative; il Partito, soffocando e camuffando sul nascere ogni aspirazione elettorale nei confronti dei dirigenti locali e centrali, ha tranquillamente ripreso a giocare ai “gerarchi” e pare che quest’ultimi […] favoriscano e sollecitino il vecchio gioco […]; la stampa, che doveva rappresentare non solo il termometro della nostra preparazione spirituale, ma addirittura il fulcro attorno al quale vecchi e nuovi italiani avrebbero dovuto poter ricomporre dignitosamente le loro aspirazioni […] è stata in qualche settore troppo imbavagliata» <110.
Sulla base di questo malessere, sostenuto dai periodici provinciali, più liberi nei contenuti rispetto alla stampa nazionale, iniziarono a prendere vita due correnti fasciste definibili di dissenso. La prima di segno squadristico, riunitasi attorno al movimento torinese del Comitato segreto d’azione del fascio repubblicano, era critica nei confronti di uno Stato ritenuto debole e inconcludente <111 e richiedeva rimedi estremi e l’avvio di uno stato di terrore rivoluzionario condotto attraverso squadre di azione composte da uomini fedeli alla causa. Altro loro obiettivo era la sostituzione del Segretario del partito Pavolini, reputato troppo debole ed inadatto alla dura prova che stava affrontando il fascismo il quel momento, in favore della nomina di Farinacci, simbolo dell’ala intransigente.
La seconda invece, nata anche questa nel capoluogo piemontese ma di stampo nazionalista prese il nome di “Movimento rivoluzionario dei repubblicani integralisti” e mirava alla fine del partito fascista attraverso la creazione di un Governo di emergenza guidato dallo Stato Maggiore dell’esercito: la finalità era quella di superare gli odi tra le diverse componenti societarie indirizzando così gli italiani verso la riscossa militare <112. Era inoltre previsto l’affidamento dei compiti di Governo ai tedeschi <113 al fine di ridurre ulteriormente il contrasto interno alla stessa popolazione italiana. Entrambe le correnti <114 non divennero mai movimenti di massa ma destarono comunque preoccupazione in Mussolini, che sempre li monitorò attentamente.
Tuttavia già nel corso della primavera del 1944 il dissenso nei confronti della Repubblica aveva superato ormai l’aspetto “settario” attecchendo anche in ambiente che avevano inizialmente sostenuto il nuovo fascismo. Come testimonia Stanis Ruinas nelle sue memorie: “Il sentimento della rivolta serpeggiava soprattutto tra i giovani della X Mas, fra gli universitari che avevano creduto e combattuto e che ora gridavano “Morte ai traditori, ai tiranni e ai tirannelli!”. Apertamente dicevano che urgeva dare l’assalto alla zona lacustre [il territorio del lago di Garda dove erano presenti i dicasteri repubblicani] e arrestare e fucilare i capi senza capo che permettono ai ladri di rubare, ai profittatori di profittare e ai paltonieri di condurre una vita da nababbi fra il disgusto, il disprezzo e l’odio del popolo. Essi non volevano più saperne né di gerarchi né di fascismo: agivano per conto proprio, meditando forse una spedizione in grande stile per “far fuori il gerarchismo”, scandalo e peste della repubblica»” <115.
Questo dissenso interno allo stesso fascismo repubblicano, rimasto per mesi carbonaio, giunse all’attenzione dell’intera società mediante l’articolo di Concetto Pettinato “Se ci sei, batti un colpo!” apparso sul quotidiano “La Stampa” il 21 giugno 1944. All’interno della sua analisi il giornalista paragonava Salò ad uno Stato fantasma in quanto, dopo le tante dichiarazioni ed il susseguirsi incessante di decreti, bandi di leva e professioni di fede socialisteggianti, non era riuscito a sedare la Resistenza, a migliorare le aspettative di vita della popolazione né a creare divisioni militari degne di tale nome. Pettinato, attraverso una critica costruttiva, chiedeva la necessità di «vedere, di sentire, di toccare con mano il governo dello Stato, perché in certe situazioni l’uomo crede solo alla presenza reale» <116. Il giornalista fondamentalmente chiedeva di superare la crisi che stava vivendo la Repubblica con il nuovo spostamento del fronte e di mostrare a tutti, soprattutto ai dissidenti e agli antifascisti, che lo Stato era vivo e vegeto.
Già da tempo però Mussolini stava lavorando, assieme a Pavolini e a pochi altri, ad un piano di ripresa al fine di rilanciare, di rimettere in moto, la rivoluzione portata avanti dal nuovo fascismo. Fu in questo momento, proprio in concomitanza con l’articolo di Pettinato, che il Duce decise di affidarsi allo zoccolo duro del partito. Proprio il 21 giugno 1944, tramite una circolare segreta <117, Mussolini diede il via alla creazione del Corpo Ausiliario delle Camicie Nere. Questa delibera si ricollegava a quella del 11 giugno inerente al piano di sfollamento dei fascisti nelle province invase in cui si parlava delle disposizioni da seguire al fine di predisporre un’attività clandestina e terroristica, simile al movimento resistenziale nel territorio della RSI, da utilizzare contro gli Alleati nei territori da loro liberati <118. Le direttive presenti all’interno di questo nuovo ordine stabilivano che la struttura politico-militare del partito si trasformasse, a partire dal primo luglio 1944, in un organismo prettamente militare al quale sarebbero stati iscritti d’ufficio tutti i tesserati al PFR di età compresa tra i 18 e i 60 anni. Le funzioni assistenziali che erano state svolte fino a quel momento dal partito sarebbero passate ai Fasci Femminili e ai Comuni mentre le attività di propaganda sarebbero state gestite dall’Istituto Nazionale di Cultura Fascista. Ogni Federazione avrebbe dovuto formare la propria Brigata, la quale sarebbe stata gestita dal segretario federale locale. Queste nuove unità, dirette dai Capi delle province, avrebbero dovuto sottostare al codice militare del tempo di guerra; al loro interno non erano previste gerarchie ma soltanto funzioni di comando. Quattro giorni dopo furono diramate le prime norme del nuovo corpo comprese le linee guida del loro operato: l’art. 7 indicava come compiti delle Camicie Nere la difesa e il mantenimento dell’ordine pubblico all’interno della Repubblica, la lotta armata contro i banditi e l’eliminazione di eventuali nuclei di paracadutisti nemici. Poco più avanti, però, nell’articolo si aggiungeva che il corpo avrebbe avuto soltanto funzioni di combattimento e non di polizia le quali dovevano essere condotte esclusivamente dagli agenti di pubblica sicurezza <119.
Era prevista inoltre una severa disciplina all’interno dei reparti ed ogni atto che avrebbe potuto screditare l’unità e/o il partito stesso sarebbe dovuta essere immediatamente punita secondo il codice penale militare. La gestione interna dei provvedimenti di giustizia sarebbe stata amministrata da un apposito Tribunale di Guerra delle Brigate Nere. In queste direttive, però, possiamo cogliere alcuni elementi che con il tempo innescarono un insieme di complicazioni all’interno della Repubblica stessa: a livello concreto, infatti, venne dato alla luce un ennesimo corpo di polizia creando così un confitto d’interessi tra BN e Polizia Repubblicana. Il Ministro degli Interni Buffarini Guidi aveva chiesto ed ottenuto, come si può evincere dal decreto, l’esclusione delle Camicie Nere dai compiti di polizia e la loro sottomissione ai Capi provincia <120. Tutto ciò però non portò al risultato sperato dal Ministro proprio a seguito della conformazione stessa della lotta in atto.
Le BN, infatti, assunsero i lineamenti dell’ennesimo corpo di polizia arrivando a creare i propri uffici politici <121 per monitorare la popolazione e le attività sovversive, entrando spesso in contrasto con i reparti di pubblica sicurezza accusati dai brigatisti di convivenza e d’intesa con la Resistenza. Inoltre, grazie alla stessa regolamentazione interna dell’unità, ai membri del Corpo delle Camicie Nere venne offerta la possibilità, più o meno implicita, di rimanere sostanzialmente impuniti: l’eventuale giustizia sarebbe stata amministrata, infatti, dagli stessi camerati del reo.
In definitiva, la creazione delle BN fu esempio di un processo inverso a quello avvenuto per il Fascismo dopo il suo arrivo al potere nel 1922 quando da movimento e partito armato si era trasformato in gruppo politico disarmato delegando l’uso delle armi e il metodo squadristico alla Milizia <122. In totale furono formate 48 Brigate tra Mobili e Provinciali che unite al personale del Comando Generale e dei Servizi avrebbero dovuto raggiungere il totale di cinquantamila uomini. Questo organico non fu però mai raggiunto in quanto l’arruolamento presso le singole BN fu molto più basso rispetto alle mille unità previste. Le Brigate Nere nacquero con l’intenzione di essere l’élite, il soldato politico tedoforo del nuovo fascismo, e per una determinata componente repubblicana un loro numero limitato poteva essere sinonimo di qualità e fede politica, strumento di separazione tra gli iscritti combattenti e non. Accanto ai militanti più politicizzati iniziarono fin da subito a manifestarsi ras locali e gerarchi desiderosi di circondarsi di un gran seguito così da mostrare il proprio carisma e la propria autorità.
Iniziò allora una vera e propria battaglia per l’accaparramento degli uomini: grazie alla grossa disponibilità economica offerta alle BN <123 si iniziarono ad offrire cifre molto elevate e condizioni più vantaggiose ai militari di altri reparti promettendo inoltre la possibilità di rimanere schierati nella propria zona di residenza. Tale fenomeno si diffuse in tutta la Repubblica e dal momento che, che per raggiungere organici il più possibile numerosi, furono arruolati ben presto anche minori e giovani di soli quattordici anni <124, elementi di scarso valore politico, comuni criminali, grassatori ed individui desiderosi solo di arricchirsi. Così, il criterio di arruolamento, basato in realtà più sui numeri che sulla qualità dei militi, divenne un elemento di forte discussione all’interno della Repubblica. Lo stesso Farinacci denunciò lo “spettacolo poco edificante [messo in scena dalla GNR, dalle BN, dalle SS italiane e dalla Xª MAS] in gara a chi più riesce ad ingaggiare giovani ed anziani. I migliori risultati li ottiene chi promette premi e stipendi maggiori. l’esame politico non esiste. […]. Spesso dei giovani insofferenti alla disciplina passano da un reparto all’altro con una facilità impressionante” <125.
Vista la mole di questo fenomeno Pavolini stesso, nel dicembre 1944, diramò una circolare in cui disponeva che «Nessuno può essere ammesso al partito se non domanda di far parte delle Brigate Nere, così come non si può entrare nelle Brigate Nere se non si è iscritti al Partito. Le apposite domande d’iscrizione al Partito, controfirmate per avvallo, dal Segretario di Fascio e dal Comandante della Compagnia della Brigata, devono essere inviate singolarmente e corredate di un rapporto informativo con parere della Commissione Federale, la quale procederà al vaglio con quella oculatezza necessaria, tenendo debito conto del fatto che la domanda di arruolamento nelle Brigate Nere esprime in questo momento volontà di combattimento, di dedizione e di sacrificio al servizio dell’Idea», chiedeva inoltre ai dirigenti di «guardarsi seriamente da non assecondare quegli eventuali opportunisti [desiderosi di entrare nelle BN] non per pura e spontanea dedizione, ma soltanto per fini economici presenti e futuri» e di tenere presente che «le Brigate Nere hanno bisogno di elementi effettivi e non di pesi morti» <126.
Nonostante la scesa in campo dello stesso Segretario, di fatto, a causa della cronica scarsità di uomini, continuarono ad essere arruolate persone “non idonee” così come non perse slancio il continuo scambio di uomini da un reparto all’altro. È possibile affermare, quindi, che le Brigate Nere non furono un corpo compatto, composto da ferventi volontari fascisti, come era stato invece molto propagandato; Piero Sebastiani, membro della 36ª BN di Lucca, all’interno delle sue memorie parla infatti di coscritti e furbi, accanto a volontari <127.
Tale “qualità” del capitale umano del Corpo ausiliario delle Camicie Nere, unito alla quasi totale capacità di restare impuniti a seguito di eventuali crimini commessi, generò, da parte dei brigatisti neri, un comportamento caratterizzato da azioni criminali e da atti illeciti. Con il peggiorare della situazione politico-militare per la RSI e conseguentemente alle difficoltà nel mantenimento dei collegamenti tra località, da parte del Governo fu impossibile esercitare un controllo regolare della periferia; furono in questo modo create le premesse «per una contravvenzione a ogni regola di guerra tradizionale, e ogni forma di violenza – dal ricatto, all’esproprio, all’uccisione anche per gioco – [fu resa] possibile» <128. E’ lecito affermare che tali comportamenti risalgano al clima di guerra civile in atto e al desiderio di punire la popolazione stessa: come spiegato efficacemente da Gabriele Ranzato: “[la guerra civile] non conosce non belligeranti, essa perciò non tollera la neutralità. Entrambe le parti in lotta esercitano quindi, immediatamente e in diverse forme, sulla popolazione non apertamente schierata una coazione più o meno violenta, per costringerla a prendere partito, a militare, a collaborare. È a volte una sorta di persuasione traumatica, perché spesso compromette prima di convincere” <129.
Peggiorando progressivamente la situazione militare dell’Asse e palesandosi sempre di più la futura sconfitta, per i brigatisti neri, il nemico non divenne soltanto il partigiano combattente e l’oppositore politico ma anche la zona grigia, cioè quella parte della popolazione che aveva deciso di non schierarsi. In tale contesto, le BN provinciali, ancor più di quelle Mobili, furono protagoniste di vere e proprie azioni contro la popolazione dove manifestarono, di fianco al carattere militare del reparto combattente, il modus operandi, ovvero il raid e la rappresaglia, del metodo squadrista; esercitato in principio durante il Biennio Rosso e ora riproposto all’interno di una nuova, e più grande, guerra civile.
[NOTE]
109 Gagliani, Brigate Nere, cit., p. 66.
110 Gagliani, Brigate Nere, cit, p. 68
111 « I sicari prezzolati del nemico uccidono i fascisti e le autorità governative li lasciano invendicati!», «la rivoluzione fascista, se vuole in questo momento difficilissimo trionfare, non può e non deve essere debole», Ivi p. 79.
112 Ivi, p. 97.
113 Ivi, p. 98
114 Tra i movimenti dissidenti è inoltre bene ricordare quello di Fulvio Balisti, Movimento repubblicano socialista, e il Movimento dei giovani italiani repubblicani nato a Firenze subito dopo l’8 settembre. Cfr. Ivi,
p. 97.
115 Ruinas, Pioggia sulla repubblica, cit., p. 65.
116 Cfr. http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1119_01_1944_0173_0001_13601490/
117 Si decise di non rendere subito pubblico il decreto in quanto le Brigate Nere non era ancora state formate ma esistevano soltanto sulla carta e al fine di evitare che la nuova disposizione sembrasse una riposta all’articolo di Pettinato appena pubblicato, Cfr. Gagliani, Brigate nere, cit., p. 25
118 La creazione di gruppi resistenziali di stampo fascista compare anche nel radiomessaggio di Pavolini del 10 Giugno 1944: «Il nostro saluto va ai gruppi di ardimentosi che si incaricheranno, già lo si è visto, di dimostrare agli invasori e ai vigliacchi prostituiti quale sia la tempra dei fascisti repubblicani», Cfr. Ivi, p. 33.
119 Gagliani, Brigate nere, cit., p. 279.
120 Ivi, pg. 111.
121 Ivi, pg. 197.
122 Gagliani, Brigate nere, cit., p. 10.
123 Soltanto nel periodo Luglio-Ottobre 1944 furono assegnate alle brigate nere un totale di più di 309 milioni di lire, Ivi, pg. 167. Alla BN di Lucca, oggetto di questa tesi, furono stanziati 4 milioni di lire; considerando che i militi realmente mobilitati da questa brigata furono poco più di 130 possiamo renderci conto della grande disponibilità finanziaria che si ritrovò a gestire il suo comandante.
124 Gagliani, Brigate nere, cit., pg. 168.
125 Ivi, p. 177.
126 Ivi, p. 178.
127 P. Sebastiani, La mia guerra. Con la 36ª Brigata Nera fino al carcere, Milano, Mursia, 1998, p. 96.
128 Gagliani, Brigate Nere, cit., p. 226.
129 Rovatti, Leoni Vegetariani, cit, p. 131.
Edoardo Longo, I Neri di Mussolini. Repubblica Sociale e violenza fascista in Lucchesia, 1943-1944, Tesi di Laurea Magistrale, Università di Pisa, Anno Accademico 2017-2018