Gli ebrei non avevano recato alcun contributo al cinema, ma avevano soltanto cercato di sfruttarlo

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Archivio storico Istituto Luce: le visitatrici mentre marciano, 1936 – Fonte: Officina della Storia

Ad un decennio di scarsi interessi rivolti dal regime al mondo cinematografico, seguì, a partire dai primi anni Trenta, la messa in opera di “una politica cinematografica globale”, all’interno della quale sarebbero dovute confluire tutte le iniziative, pubbliche e private <321.
Fin dal 1923 venne applicata a tutti i film proiettati una rigida censura guidata dal Ministero dell’Interno, atta a bloccare la diffusione di opere antifasciste <322.
Nel 1924 nacque l’Unione cinematografica educativa, meglio nota come Istituto Luce <323. Dal novembre 1925, l’Istituto Luce divenne un ente statale “incaricato di fare, attraverso il cinema, opera di diffusione della cultura popolare e dell’istruzione di base” <324. I cinegiornali prodotti dall’Istituto – che dal 1926 dovevano essere proiettati obbligatoriamente in occasione di ogni spettacolo – avevano come scopo la propaganda politica e l’educazione dell’«uomo nuovo» fascista. Un gran numero di queste pellicole mostrava le visite di Mussolini nelle varie città italiane; diffusi erano poi i film a soggetto sportivo, accanto ai documentari su festività religiose locali o sulle politiche agricole promosse dal regime, in cui spesso figurava Mussolini alla guida di un trattore o intento a mietere il grano <325.
Nella seconda metà degli anni Trenta l’Istituto Luce seguì le vittoriose imprese d’Etiopia e di Spagna con un profluvio di documentari, cinegiornali e lungometraggi che accompagnarono le avanzate delle camicie nere sugli altopiani del Lago Tana e di Madrid. Queste produzioni erano nulla più che una stucchevole rappresentazione di regime che dipingeva le due guerre come momenti gloriosi, accuratamente censurati da ogni violenza e dai quali gli italiani uscivano inevitabilmente trionfanti <326.
Sappiamo che la realtà seguì un corso diverso. In Etiopia, ad esempio, gli italiani faticarono non poco a vincere la resistenza locale e, alla prova dei fatti, il dominio italiano in Etiopia rimase per lo più limitato alle città, mentre larghi settori del paese restarono inaccessibili (situazione simile quindi a quella che da un ventennio si protraeva in Libia) <327; sappiamo anche che per ottenere questi successi il comandante in capo della spedizione, Maresciallo Rodolfo Graziani, fece largo uso di violenze contro i civili e di gas tossici come l’iprite, violando apertamente le norme imposte dalla Società delle Nazioni alla fine della prima guerra mondiale – norme peraltro già violate nel momento stesso in cui l’Italia aveva iniziato le operazioni di invasione, essendo l’Etiopia uno Stato sovrano indipendente riconosciuto dalla Società delle Nazioni.
La guerra civile spagnola (1936-1939), vera prova del fuoco per i nuovi equilibri europei nati dalla Pace di Versailles, fu seguita in Italia con grande attenzione. Ciò è vero in particolare per i passaggi conclusivi del conflitto, segnati dalla caduta delle ultime roccaforti repubblicane di fronte all’avanzata delle truppe di Francisco Franco, provvidenzialmente aiutate da Italia e Germania.
È il caso della presa di Barcellona da parte dei golpisti, avvenuta il 26 gennaio 1939: il giorno successivo il Prefetto Catalano avrebbe inviato il proprio telegramma con il quale forniva il “nulla osta esposizione bandiere celebrazione presa Barcellona” <328. E a maggior ragione venne festeggiata la caduta di Madrid (28 marzo 1939), che segnò la definitiva vittoria dei fascisti. Un primo telegramma, spedito già il 28 marzo, comunicava che “Madrid est stata conquistata alt per disposizioni superiori est consentito che popolazioni manifestino loro esultanza per vittoria armi nazionali spagnole” <329; a questo ne seguì un altro il 29 marzo, con il quale il Prefetto stabiliva che “domani 30 corrente per occupazione Madrid edifici pubblici saranno imbandierati alba tramonto” <330. Le stesse vittorie dell’alleato spagnolo potevano trasformarsi, in Italia, nell’occasione per ampliare case del fascio o altri edifici di regime. È il caso della casa littoria di Ravenna, alla quale la locale Cassa di risparmio “per celebrare la presa di Barcellona, ha messo a disposizione […] la somma di L. 50.000”. Questo denaro è stato destinato “al completamento, nella nuova casa Littoria, del Sacrario che racchiuderà i nomi dei Caduti per la Rivoluzione, per la conquista dell’Impero ed in terra di Spagna” <331.
Nei film, di tutto questo non vi è alcuna traccia. L’esaltazione della guerra fatta dal fascismo non avrebbe mai tollerato che si mostrasse cos’era in realtà un conflitto armato, volendo fino all’ultimo suo spasmo di agonia farla credere un bene sociale.
Questa ostilità era già emersa nel 1930, allorché venne vietata la distribuzione del film americano Niente di nuovo sul fronte occidentale, la trasposizione cinematografica dell’omonimo capolavoro letterario di Erich Maria Remarque. Le motivazioni della censura recitavano: “film scandaloso che esalta il disfattismo con la visione impressionante degli orrori della guerra” <332.
L’«autarchia cinematografica» portò a limitazioni sempre più rigide riguardo l’importazione e la diffusione di film stranieri, in particolare americani <333.
Dopo il 1938, coerentemente con l’applicazione della legislazione antisemita, anche il cinema conobbe un violento giro di vite contro gli ebrei che vi lavoravano. Le leggi razziali riguardarono tanto i film prodotti da registi o con attori ebrei, quanto tecnici e operatori ebrei che lavoravano nei cinema o nel cast dei film. La motivazione addotta era che “gli ebrei non avevano recato alcun contributo al cinema, ma avevano soltanto cercato di sfruttarlo” <334.
La concorrenza tra fascisti e cattolici per l’appropriazione del tempo libero degli italiani passò non da ultimo attraverso la proiezione di film. Innanzitutto, parallelamente all’Istituto Luce e al Ministero per la Cultura Popolare, esistevano produzioni cinematografiche cattoliche del tutto indipendenti dal regime; inoltre, la Chiesa esercitava una propria censura, che non per forza coincideva con quella del regime. Infine, per tutti gli anni Trenta e fino alla caduta del fascismo, sono esistiti in Italia cinema parrocchiali che, come riferito dai rapporti di Prefetti e dirigenti del fascio locale, beneficiavano di un pubblico alquanto numeroso <335.

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[NOTE]
321 Philip Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, Laterza, Roma-Bari, 1975, p. 274.
322 Ivi, pp. 274-275.
323 Ivi, p. 276.
324 Ivi, pp. 276-277.
325 Ivi, pp. 277-278.
326 Ivi, pp. 310-311.
327 Per un quadro più ampio delle esperienze coloniali italiane rimando a Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna, 2002.
328 Archivio Comunale di Scorzè, Busta n° 597 Governo 1935-1939, Fascicolo: Governo, 1939, Telegramma del Prefetto Catalano, 27 gennaio 1939.
329 Ibidem, 28 marzo 1939.
330 Ibidem, 29 marzo 1939.
331 Ibidem, Varie.
332 Cannistraro, La fabbrica del consenso cit., p. 305.
333 Ivi, pp. 313-315.
334 Ivi, p. 315.
335 Ivi, p. 317.
Andrea Castelletto, Esperienze, rituali, memorie del fascismo. Tra storiografia e analisi di un caso locale, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, Anno Accademico 2017/2018