Il viaggio in Urss ha costituito il punto di incontro in cui sono venuti a fondersi percorsi storici paralleli

Se i primi viaggi in Urss conservano una certa originalità di percorsi e spirito con il quale gli scrittori si rivolsero a cogliere soprattutto la quotidianità sovietica (si vedranno i casi di Calzini, Alvaro e, sotto certi aspetti persino di Malaparte), pur mantenendo inevitabilmente, secondo quanto in precedenza sottolineato, uno sguardo non scevro da varie tipologie di pregiudizi, fu al giro di boa segnato dal secondo conflitto mondiale che si delineò in maniera più netta quello che può essere considerato il viaggio standard in Unione Sovietica.
Sullo scorcio degli anni quaranta, i viaggi degli scrittori socialisti e comunisti nel paese della rivoluzione divennero rapidamente – e tali sarebbero rimasti per qualche decennio – un genere letterario codificato, la cui sede più ovvia fu l’organo del Pci «l’Unità». Il format prevedeva l’edificazione, a sua volta edificante, di un mito: l’epopea di un grande paese e di un grande popolo lanciati nell’unanime avventura del progresso sotto la guida di Giuseppe Stalin «piccolo padre». Le carovane che, su invito dell’Unione scrittori sovietici, si muovevano in trasferta dall’Italia vedevano riuniti insieme lo scrittore e l’uomo politico, l’artista e l’operaio, il burocrate e il contadino , il militante tesserato e il «compagno di strada». Questi pellegrinaggi laici e interclassisti scorrevano lungo i binari di un percorso attentamente predisposto dai funzionari del Pcus, che accoglievano festanti i loro ospiti per poi orientarne il passo e lo sguardo: «alto paese ǀ più di ogni altro alto nel vasto mondo ǀǀ primo fra ogni altro nel mondo ǀ primo nell’assalto all’avvenire ǀ primo nell’ascesa su la strada giusta». <63
Seppure tale format di viaggio non vada identificato tout court con il solo viaggio politico, è tuttavia questo ultimo che dettò il passo e i punti essenziali di itinerari fisici, pedagogici e didattici predefiniti da parte dei russi, sotto le lenti di osservazione, nascoste o seminascoste di apparati di controllo che reggevano le fila dei vari attori che dovevano contribuire all’allestimento e corretto svolgimento dello spettacolo sovietico, guide ed interpreti innanzitutto.
Nello studio dedicato a tre scrittrici italiane d’eccezione, S. Aleramo, R. Viganò e A. M. Ortese, e ai loro reportage dall’Urss, B. Manetti schizza in poche righe quello che, a un primo colpo d’occhio, potrebbe ingannevolmente delinearsi come un orizzonte compatto e privo di rilevanze letterarie individuali, i resoconti della maggior parte degli scrittori di ritorno dalla Russia sovietica del secondo dopoguerra:
“[…] il senno del poi è una lente di crudele e tutt’altro che neutra nitidezza – anch’essa, a suo modo, deformante. Nella sua messa a fuoco, la grana delle singole voci rischia di incenerirsi e scomparire, fino a confondersi in quella di un indistinto macrotesto dove l’esperienza di ciascun viaggiatore risulta appiattita in un identico schema, scandita dalle stesse tappe obbligate, viziata dai medesimi pregiudizi interpretativi. L’esclusiva messa in rilievo e la stigmatizzazione a posteriori di questo lungo e equivoco lasciano in vista solo le sue invarianti, il suo monocorde campionario di cliché: la contemplazione estatica della piazza Rossa e del Cremlino, la visita devozionale al mausoleo di Lenin, le descrizioni ammirate di fabbriche modello o di idilliaci villaggi agricoli; dimenticando che i miti collettivi sono tanto più porosi quanto più sono diffusi, e che è la loro stessa pervasività di organismi pulviscolari a renderli più facilmente disponibili alle rielaborazioni e alle proiezioni dei singoli”. <64
Sono ancora le parole di M. Flores che riassumono adeguatamente il significato che il viaggio in Urss rappresentò per gli intellettuali occidentali:
“Il viaggio in Urss ha costituito il punto di incontro in cui sono venuti a fondersi percorsi storici paralleli: quello degli intellettuali spinti con sempre più forza nelle braccia dell’impegno e quello dell’occidente entrato in una crisi strutturale che riguarda non più solo i valori ma i sistemi politici democratici e lo stesso progresso e sviluppo economico. […] Perché mai fu l’Urss il luogo del viaggio per antonomasia? […] perché era un luogo insieme vicino e lontano, mitico e reale, in cui era possibile sperdersi e ritrovarsi, di cui si poteva dire tutto e il suo contrario. Soprattutto, l’Urss appariva il luogo dove sembrava possibile risolvere problemi ritenuti insolubili in occidente; problemi collettivi e individuali, sociali e culturali, locali e internazionali. Solo all’interno di queste coordinate è possibile vedere, di volta in volta, l’Urss come patria della rivoluzione (i primi anni venti), patria del progresso (i primi anni trenta), patria dell’antifascismo (i secondi anni trenta), patria del socialismo (gli anni quaranta e cinquanta)”. <65
In questa specie di immagine dell’Urss come proiezione futura dell’occidente, i viaggi dei singoli generarono pensieri e rifrazioni d’immagine individuali e collettive generati dalle formazioni delle singole personalità, dal proprio retroterra culturale e politico, da sensibilità diverse, “concreta dimostrazione del relativismo della verità e della percezione del reale, ci fa capire come linguaggi e culture diverse funzionino in modo differente di fronte alla stessa esperienza che si vuole esplorare, capire, raccontare, interpretare” (1992: 364); e tuttavia spesso i racconti sembrano narrare gli stessi itinerari, evocare quadri simili di una realtà tanto variegata e multiforme, esprimere medesimi giudizi, presentare confronti frutto di un modo non così diverso di porsi di fronte al mondo russo, non distaccandosi in alcun modo dalla propria tradizione culturale. <66
Le medesime aspettative sul paese del socialismo, il più delle volte deluse (ma taciute) vengono velate attraverso le stesse tecniche narrative della “menzogna” e dell’“autoinganno” (ibid.: 365).
Il complesso di questo meccanismo, parimenti consapevole e inconsapevole, oltre ad originare quello che è stato definito il genere letterario del viaggio in Russia (cfr. De Luca, Scarpa 2012: 817; Pegorari 2010: 123), ha creato dei sottogeneri per così dire nazionali, tra i quali il caso degli scrittori italiani sembra distinguersi e per il numero di quanti partirono alla volta di Mosca sin dagli anni Venti, e per i rapporti che il mondo della cultura italiana ha sempre avuto con la Russia.
Petracchi asserisce che “[…] nessun altro paese europeo manifesta come l’Italia una altrettanto grande predisposizione a produrre miti russofili e russofobi” (1990: 1109), miti che, in un senso o nell’altro, hanno avuto le loro influenze sui viaggiatori, tanto più su esponenti del mondo intellettuale, chiamati a farsi carico di mediare e trasmettere le diverse e spesso contraddittorie immagini della Russia sovietica, sia che si tratti di liberi scrittori, che di esponenti della cultura di sinistra.
[NOTE]
63 De Luca, Scarpa 2012: 817.
64 Manetti 2008: 178-179.
65 Flores 1992: 361-362.
66 De Pascale scrive di una tendenza all’“omologazione”, rifacendosi a quel “sentimento di addomesticazione che porta a omologare le cose nuove alle categorie già possedute”, del quale aveva già parlato Perussia (2001: 13).
Cheti Traini, Narrare la Russia: gli scrittori viaggiatori italiani in Russia nel periodo sovietico, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, 2017

Riassunto analitico
Siamo tra la fine degli anni Quaranta ed il decennio successivo quando gli intellettuali, i politici e i militanti dei partiti comunisti dei paesi occidentali cominciano ad intraprendere dei viaggi verso l’Unione Sovietica, per cercare di conoscere e di comprendere le caratteristiche fondamentali della vita dei suoi abitanti e i principali aspetti legati al mondo culturale, istituzionale ed economico.
L’elaborato, strutturato in quattro capitoli e in una parte conclusiva dedicata alle fotografie, vuole mostrare ed analizzare, utilizzando come elemento di snodo il tema principale, i rapporti tra l’Italia, l’Unione Sovietica, il Partito Comunista Italiano e l’Associazione Italia-URSS. Per ricostruire questi anni sono stati consultati le carte, gli opuscoli ed il materiale propagandistico, conservati presso l’Archivio della Federazione del Partito Comunista di Modena ed il Fondo Opuscoli, e le fotografie provenienti sia dal Fondo Fotografico dell’Istituto Storico di Modena sia dal resoconto fotografico di Robert Capa. Inoltre, sono stati analizzati sei resoconti di viaggio, quattro pubblicati dai letterati Italo Calvino, Carlo Levi, Alberto Moravia e John Steinbeck e due dagli storici Claudio Pavone e Luigi Arbizzani. Per quanto riguarda quest’ultimo è stato consultato l’Archivio dell’Istituto Gramsci di Bologna.
Francesca Fazioli, La scoperta del mito. URSS tra cultura, storia e letteratura, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, 2016