Attraverso il contrasto tra i partigiani e gli ufficiali inglesi il romanzo racconta, quindi, una Resistenza già sottoposta a critica

Simile al racconto di Tobino per l’impostazione corale della figura che funge da protagonista è il romanzo La Quarantasettesima <25 di Ubaldo Bertoli, che ha inoltre dato spunti a Valerio Varesi per il suo romanzo La sentenza, di cui parlerò. Anche qui, non sono i destini dei singoli a interessare ma la dimensione collettiva e comunitaria della 47^ Brigata Garibaldi nella sua totalità, come il titolo mette ben in evidenza. Le vicende del gruppo sono seguite dall’ottobre 1944 fino alla Liberazione. La brigata compare subito in apertura di romanzo come un corpo unico, compatto e inscindibile. Si parla della formazione garibaldina come di una persona in carne ed ossa, nel cui carattere predominano l’avventatezza e la mancanza di disciplina: “Un mattino dell’ottobre 1944, il maggiore Arnold Charles Holland, discutendo col commissario della 47a su certe innovazioni strategiche che egli riteneva indispensabili, colse l’occasione propizia per affermare che la brigata «aveva la testa calda». Nativo del Sussex, il Maggiore, che si esprimeva unendo alle parole gesti dalla sconcertante lentezza, intendeva riferirsi al temperamento impetuoso che la 47a
effettivamente mostrava di avere anche nei riguardi della disciplina militare. […] In seguito, il Maggiore ornò quel giudizio di un accrescitivo suggeritogli probabilmente da alcune circostanze in cui la 47a dimostrò una particolare intraprendenza, e, sino al giorno che, sotto lo sguardo cerimonioso e attento di autorità militari e civili, depose le armi, la 47a Garibaldi, operante nell’Est Cisa, fu sempre conosciuta per «una brigata dalla testa troppo calda». <26
Nello svolgimento del romanzo, l’impostazione corale lascia spazio ai singoli attori – si potranno conoscere Ilio, William, Spumino e altri partigiani – ma la brigata nella sua unità rimane la vera protagonista del romanzo.
Il racconto, condotto da un narratore onnisciente ed esterno che domina l’intera tematica e spesso si svincola dal tempo della storia per inserire prolessi sui singoli destini dei combattenti, non lascia spazio a reticenze. Il romanzo assume a tratti le sembianze di un resoconto <27 militare sui movimenti del gruppo all’interno del quale sono inseriti episodi relativi ai singoli componenti la brigata, così che i due livelli narrativi coinvolti, umano-privato e militare, si possano fondere in modo equilibrato, senza sovrapporsi uno all’altro e contendersi dello spazio.
L’immagine della Resistenza che il romanzo propone è diametralmente opposta al ritratto quasi idilliaco di Tobino: la guerra partigiana appare infatti come un conflitto combattuto secondo regole spesso crudeli, capace di sdoganare istinti ferini e lontani dalla moralità umana. Bertoli conduce, inoltre, una riflessione profonda sull’uso della violenza, legittimo e non, che è stato fatto durante la guerra partigiana. I suoi attori non sono soldati ma semplici uomini comuni che combattono per la propria libertà: il continuo contatto con la morte, di cui sono attivi esecutori, apre in loro momenti di crisi morale. Se a caldo i partigiani di Bertoli sembrano vendicatori dei torti perpetrati dai fascisti e si atteggiano ad attenti strateghi, a freddo cercano giustificazione e assoluzione per gli atti violenti a cui sono costretti, in modo da potersi sentire ancora parte di una società civile e non di un mondo bestiale. Si veda, in questo brano, l’angoscia dei ribelli posti di fronte all’ex maestro, fascista e colpevole di razzie, che deve essere giustiziato: “Per un momento il condannato parve umile e consapevole delle sue colpe e tra i partigiani pronti a sparare calò fredda l’angoscia per quanto erano costretti a fare. Le fiammelle oscillavano dentro i vetri polverosi, più cupa pareva la notte e di là dai campi più neutrale il silenzio. Il maestro stava immobile, la testa piegata sulla spalla. I partigiani sollevarono i fucili”. <28
Il bisogno di mantenere vive le normali pratiche della società civile in una dimensione disumana quale è la guerra partigiana si manifesta anche nella scena in cui la staffetta Maddalena recupera e seppellisce, facendolo benedire, il corpo del suo comandante Juan, condannato alla fucilazione dal Comando. Come Antigone, la donna riconduce la vicenda dal contesto bellico alle consuetudini funebri di una comunità cattolica: “La cronaca approssimativa di quello che riuscì a fare Maddalena si arricchì nella fantasia dei montanari e diventò subito leggenda. Il disseppellimento del cadavere e il suo trasporto nella notte tempestosa verso un luogo sconosciuto, dove, nessuno lo dubitava, aveva ricevuto la benedizione, era il riscatto della legge di Dio. Si disperse il senso di sgomento provocato dall’esecuzione di Juan. La fedele staffetta aveva ristabilito l’ordine della pietà, ora non era più la donna altera e scostante che non rispondeva al saluto dei bambini, la sua immagine splendeva nella cornice del rispetto. […] Al Comando della Brigata il caso fu discusso per gli effetti che doveva aver provocato tra la popolazione, ma si tenne conto che trafugando il cadavere Maddalena aveva contribuito a ristabilire un certo equilibrio in una situazione in cui cominciavano a manifestarsi reazioni contro il necessario rigore della guerriglia”. <29
La prima contraddizione del contesto resistenziale che il romanzo mette in luce è quindi relativa al conflitto creatosi tra le leggi belliche e la moralità umana. Esso è legato all’anormalità della Resistenza: una guerra in cui combattono uomini armati per scelta volontaria, che non sono in grado di abbandonare il loro libero arbitrio per diventare automi senza iniziativa, capaci di ubbidire agli ordini senza discuterli. Essi sono spinti a dare la morte per motivi privati come vendicare un amico, un parente; non ubbidiscono alle leggi della guerra bensì ai propri istinti.
Esempio di queste dinamiche è la scena in cui il partigiano Nemo spiega a William perché Nobre abbia tenuto con sé un prigioniero catturato agli inizi della guerriglia, disubbidendo agli ordini i quali impongono di consegnare i prigionieri al Comando in modo che siano processati. Si legge infatti: “- Vedi – cominciò ad un tratto mentre stavano discutendo di altre cose. – Nobre voleva che morisse lentamente, da sé. Ti parrà molto cattivo questo, ma Nobre aveva le sue ragioni. […] Si chiamava Toniato; anzi si chiama proprio così, dato che ora lo ha preso in consegna il vostro Comando, e faceva il mascalzone. Lo aveva sempre fatto, da quando aveva cominciato a bastonare i socialisti del suo paese. Era stato un socialista anche lui, ma poi si era iscritto al Fascio ed era stato squadrista. In quel tempo ammazzò con una revolverata a bruciapelo un ragazzo sorpreso ad affiggere un manifesto. Quel ragazzo era cugino di Nobre […]. Ma non era niente in confronto a quello che fece dopo, subito dopo l’8 settembre”. <30 Il gesto di Nobre, inspiegabile senza questo preambolo, sconfina del tutto dalle regole militari ma è pienamente comprensibile in una dimensione bellica diversa, in cui gli uomini sono mossi da odi e vendette personali, come è stata in effetti la Resistenza nei tanti suoi contesti locali.
L’anormalità di un conflitto che ha per protagonisti attivi i civili emerge in modo più marcato rispetto ai romanzi precedenti poiché è posta qui a confronto con la guerra “regolare” dei due personaggi appartenenti ad un esercito: il maggiore Holland e Michael Tyler. I due ufficiali inglesi sono stati inviati in Italia dal comando alleato per controllare e disciplinare l’operato della brigata imponendo regole che i ribelli non possono seguire. Tra loro e i partigiani si creano rapporti conflittuali che non si risolveranno mai in un dialogo paritario poiché viaggiano su lunghezze d’onda diverse. Gli ufficiali inglesi sono privi di un coinvolgimento individuale attivo poiché combattono per ubbidire agli ordini e svolgere un compito per il quale vengono pagati, in luoghi che lasceranno per fare ritorno alle loro case. Per i partigiani invece, che non sono legittimati da nessun potere statale se non da loro stessi, combattere è l’ultima ratio per difendere quanto loro appartiene, senza avere la garanzia di un futuro chiaro verso cui guardare e con la consapevolezza che porteranno su di sé, in quel futuro, la responsabilità del sangue versato.
I partigiani appartengono al territorio nel quale combattono e conoscono personalmente i loro nemici: anche la dimensione civile della guerra, quindi, emerge in tutta la sua prepotenza. Si veda questa scena in cui William, comandante militare, riconosce un conoscente nel volto di un fascista prigioniero. En passant la voce narrante approfondisce anche la psiche di quest’ultimo: “William si volse di scatto e lo guardò obliquo col cappello che gli ombrava la faccia. Gli camminò contro adagio. – Tu sei di Reggio, – gli disse. L’altro non rispose e guardò oltre la spalla di William. – Tu eri alle Reggiane. Eri nell’ufficio progetti -. Wiliam parlava adagio e leggero come seguisse minuziosamente un ricordo. – Dopo l’otto settembre volevi mandare tutti in Germania -. Il prigioniero batté un attimo le ciglia e il suo sguardo riapparve dentro una molle luce giallastra. – Eri alle Reggiane. E ti chiami Cerruti, – ripeté William. L’altro guardava verso le colline, una cosa vaga dietro altre cose che non potevano più esistere per lui che aveva guidato i tedeschi e che odiava, odiava col freddo tremore dell’odio, quelli che «erano scappati sulle montagne», ed era un odio nato da nessuna ragione umana, vuoto, anonimo, un oscuro male che gli stava come un’ombra sotto la pelle. Guardava coi suoi piccoli occhi scuri da ballerino e quando William gli andò più vicino, tanto da sentirne il sano tepore, agitò appena le spalle. – Ti chiami Cerruti. Ora ricordo. Perché hai guidato i tedeschi? – La voce di William passava fredda nello spazio che lo separava dal prigioniero e non si udiva intorno alcun altro rumore. – Sei un porco, – disse. – Un brutto porco”. <31 Nel passo sopra citato si legge l’odio viscerale nei confronti di un avversario che ha fatto parte della stessa realtà del partigiano ma, per la sua decisione di stare con i fascisti, è ora diventato un nemico. Se i tedeschi sono vincolati a obbedire agli ordini superiori e quindi sono quasi “giustificati” nelle loro azioni dalle regole di una guerra che ha dato loro il ruolo di invasori, nessuna attenuante è prevista per i fascisti, i quali volontariamente hanno scelto la parte sbagliata.
Attraverso il contrasto tra i partigiani e gli ufficiali inglesi il romanzo racconta, quindi, una Resistenza già sottoposta a critica. Di quella realtà è fortemente sottolineato, oltre alla dimensione civile, il conflitto che si crea tra i ribelli, con le loro iniziative e la loro moralità, e le fredde e calcolate dinamiche belliche. Siamo decisamente lontani dagli approcci dubbiosi della prima narrativa, che si teneva fuori dagli eventi. Qui i fatti sono raccontati dall’interno, senza reticenze. Protagonista non è il soldato che si limita ad ubbidire senza avanzare proposte personali, ma il partigiano, il quale combatte spinto da passioni, odi personali e scopi privati, su un territorio cui è vincolato da forti legami, familiari e di amicizia. Tutti i suoi personaggi sono consapevoli del loro presente e del ruolo attivo che vi svolgono. Tra le pagine non si trovano interrogativi irrisolti: la guerra civile appare chiara e delineata nel suo disegno, in cui si contrappongono partigiani e nazifascisti, in una lotta che non ammette dubbi o sospensioni del giudizio.
[NOTE]
25 Ubaldo Bertoli, La Quarantasettesima, Torino, Einaudi, 1961, che cito dall’ed. Torino, Einaudi, 1976.
26 Ivi, p. 4.
27 La cronaca è pienamente verificabile, nella sua fedeltà a fatti storicamente avvenuti: Bertoli non storpia toponimi o nomi di battaglia ed è preciso nella descrizione degli scontri.
28 Ubaldo Bertoli, La Quarantasettesima, cit., p. 40.
29 Ivi, pp. 72-73.
30 Ivi, p. 126.
31 Ivi, pp.25-26.
Sara Lorenzetti, Narrativa e resistenza: “invenzione” della letteratura e testimonianza della storia, Tesi di dottorato, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” – Vercelli, Anno Accademico 2014-2015