Nell’aprile del 1974 i poliziotti riformisti stilarono un manifesto programmatico

Tra il 1969 e il 1981 nella polizia regnava dunque un malessere diffuso. Prese piede e si diffuse a macchia d’olio un movimento il cui obiettivo era realizzare la smilitarizzazione della polizia e la creazione di un sindacato che desse voce a chi fino a quel momento era rimasto ai margini di una società che considerava il poliziotto come un corpo estraneo, mostrandosi insensibile a suoi problemi di lavoratore <432.
Il movimento favorevole alla riforma attrasse l’interesse anche di altri corpi armati. Nel 1975 i sottufficiali dell’aeronautica chiesero che si superasse la rigidità gerarchica e che si guardasse all’uomo nella sua individualità. Riconoscere anche ai militari i diritti non voleva dire minare la fedeltà alla Patria né considerare le loro richieste come «segnali di sovversione dell’ordine costituito». Le richieste di cambiamento trovarono accoglimento nella realizzazione di forme di rappresentanza dei militari (COCER-COBAR-COIR) <433.
Dopo la morte della guardia Annarumma <434, le forze politiche affrontarono la questione e, benché la sinistra avesse appoggiato la richiesta di un sindacato per la polizia, tutto si concluse in un niente di fatto, salvo un piccolo incremento economico che, tuttavia, non placò l’insoddisfazione ormai dilagante <435. La rabbia, a lungo repressa, esplose. Ci furono proteste, anche dure, da parte dei poliziotti che chiedevano un sindacato che li rappresentasse in quanto lavoratori così come avveniva per quelli impiegati in tutti gli altri settori <436.
«Le proteste, gli ammutinamenti, le ribellioni si susseguirono con ritmo sempre più frequente», interessando a macchia d’olio tutte le caserme. I poliziotti lamentavano «la durezza dei servizi e la mancata concessione di licenze, si rifiuta il rancio, si attuano scioperi della fame» <437.
Nell’ottobre del 1971 a Torino, per la prima volta, un gruppo nutrito di agenti, uscì dalla caserma e sfilò in silenzio per le vie del centro denunciando le dure condizioni di vita e lavorative. Fu immediata la repressione da parte del Ministero che intervenne con sanzioni disciplinari e trasferimenti, mentre gli organizzatori furono denunciati al Tribunale Militare <438.
Iniziarono così le riunioni alle quali parteciparono quanti ritenevano non più procrastinabile la richiesta di smilitarizzazione e di un sindacato. Si gettarono le fondamenta per la realizzazione di un Movimento i cui aderenti erano ben consapevoli dei rischi a cui si esponevano: galera, trasferimenti, perdita del posto di lavoro. L’esigenza sempre crescente di sicurezza sentita dai cittadini poteva essere meglio soddisfatta proprio affermando «la valenza civile della funzione di polizia», affrancandola dalla «forma innaturale della militarità» <439. Solo con la creazione di un sindacato si poteva garantire la dignità professionale degli appartenenti alla pubblica sicurezza. Era necessario coinvolgere le forze politiche e sociali con le quali doveva essere instaurato un confronto democratico. «Ai lavoratori andava spiegato che la sicurezza pubblica non poteva più essere vista come l’interesse di una parte contro l’altra, o una partita tra guardie e ladri, ma come bisogno della collettività che andava tutelato con la partecipazione di tutti e posto a difesa della pacifica convivenza» <440.
Così i «carbonari», come solevano definirsi i primi aderenti al Movimento, si riunivano nottetempo, decidendo l’incontro all’ultimo momento, proprio per evitare possibili «soffiate». La clandestinità era garanzia di sicurezza per gli affiliati. Non fu facile superare lo scetticismo dei colleghi: c’erano coloro che temevano le conseguenze alle quali si sarebbero esposti sostenendo il Movimento, quelli che si opponevano per definizione a un’alleanza «con i nemici storici della polizia: i lavoratori» o ancora quelli che erano restii all’idea del cambiamento <441.
Iniziarono così i primi contatti con gli esponenti delle maggiori organizzazioni sindacali, nonché di alcuni esponenti politici di sinistra sensibili al tema del rinnovamento delle forze di polizia. La notizia dell’incontro, che trovò eco sulla stampa, inasprì i rapporti con i vertici militari. Furono revocati i permessi, fu imposta la «permanenza» sul luogo di lavoro, impedendo così anche agli agenti coniugati di tornare a casa, furono incrementati i provvedimenti disciplinari <442. Il segretario generale della CGIL, Luciano Lama, sostenne il diritto dei poliziotti ad avere un sindacato «per migliorare la loro condizione sociale» e «difendere la loro dignità di uomini», dicendosi pronto a sostenerli <443.
Tuttavia gli esponenti del Movimento volevano evitare qualsiasi manifestazione pubblica che potesse essere strumentalizzata per distogliere l’attenzione dalla riforma.
La manifestazione, che si era tenuta a Roma nell’ottobre 1973, e che aveva visto sfilare un centinaio di appartenenti alle forze dell’ordine, che nella circostanza avevano gridato la propria rabbia per una situazione giudicata insostenibile, avrebbe potuto essere non compresa dall’opinione pubblica, spaventata da una «polizia piazzaiola» <444.
Il 30 gennaio 1974 nacque il «comitato studi per la riforma della P.S.» e vi presero parte parlamentari dell’area di governo e dell’opposizione. «L’isolamento sociale della categoria si allentava, sui giornali si parlava della polizia non più in termini negativi e non solo nelle pagine di cronaca nera» <445.
A tutto questo «clamore», l’Amministrazione continuò a rispondere con «sanzioni disciplinari a pioggia» e gli aderenti rimasero sempre più nella clandestinità cercando di sottrarsi alle punizioni.
Nell’aprile del 1974 i poliziotti riformisti stilarono un manifesto programmatico, pubblicato poi sulla rivista «Ordine Pubblico», ove esponevano le loro rivendicazioni in tema di riconoscimenti economici e sociali <446.
L’incontro dell’autunno 1974 tra poliziotti e operai, avvenuta a Roma nella sede dei metalmeccanici, aprì a una stagione di incontri tenuti nelle fabbriche e nelle scuole a cui parteciparono gli esponenti del Movimento che, per la prima volta, si presentarono davanti a studenti e lavoratori «senza scudo, senza manganello, senza lacrimogeni» <447. Cominciava così a incrinarsi il divario tra poliziotti e lavoratori.
Assemblee furono poi organizzate in varie città da ufficiali e sottufficiali presso le caserme, mentre nei luoghi pubblici si tenevano riunioni e convegni.
Man mano che il tempo passava faceva breccia anche nell’alta dirigenza la consapevolezza che la riforma poteva essere l’occasione «per dare al Paese un moderno apparato di sicurezza pubblica» <448.
Il successo maggiore fu quello che il 21 dicembre 1974 scaturì dalla riunione presso un albergo romano nel quale confluirono duemila partecipanti, venuti da ogni parte d’Italia, e dove fu nominato un comitato nazionale di coordinamento dei comitati di base che si costituirono nelle varie città. Il tema della riforma era ormai di dominio pubblico <449.
«Questo momento segna l’uscita del Movimento dalla clandestinità» <450.
Il 15 luglio 1975 furono presentate in Parlamento da esponenti comunisti e socialisti le prime proposte di una legge di riordino <451.
Parallelamente alla crescita del Movimento, il terrorismo non dava tregua. Nel gennaio del 1975 un appuntato della P.S. fu ucciso da un terrorista di estrema destra, mentre un altro restò ferito. Nel lungo cammino per la riforma non sarebbe stato certamente l’ultimo. La mobilitazione dei poliziotti e dei cittadini fu la risposta univoca a questo atto di violenza, e la riforma degli apparati la valida risposta.
Parallelamente alla crescita del Movimento, il terrorismo non dava tregua. Nel gennaio del 1975 un appuntato della P.S. fu ucciso da un terrorista di estrema destra, mentre un altro restò ferito. Nel lungo cammino per la riforma non sarebbe stato certamente l’ultimo. La mobilitazione dei poliziotti e dei cittadini fu la risposta univoca a questo atto di violenza, e la riforma degli apparati la valida risposta. L’allora Ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, aveva già avuto modo di osservare che «il monopolio dei militari sui servizi segreti […] non era servito ad evitare al nostro Paese né le stragi del terrorismo di destra né il drammatico avanzare dell’eversione di sinistra» <452.
L’anno 1976 vide una crescita esponenziale dell’attività terroristica diretta contro la polizia.
Nel settembre di quell’anno, l’allora ministro dell’Interno Cossiga emanò una circolare con la quale autorizzò «gli appartenenti civili e militari della P.S. a riunirsi in comitati che si propongono la finalità di costituire, quando saranno emanate le disposizioni che le regoleranno, associazioni professionali a fini sindacali non legate a partiti politici» <453. Per la prima volta i poliziotti si sentirono considerati dal Governo. Le proposte per il riordino della polizia passarono al vaglio della base e dei gradi più elevati della pubblica sicurezza.
Il cammino verso la riforma, seppur aveva raggiunto una tappa importante, era ancora lontano dal dirsi concluso. Le proposte di riforma di volta in volta presentate si tradussero in un nulla di fatto. Nell’ottobre del 1979 iniziò la discussione sui dieci progetti di legge presentati dal governo e dalle varie forze politiche finché, il 25 marzo 1981, fu approvato il testo definitivo della legge di riforma <454.
La legge 1 aprile 1981, n. 121, sul Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza viene pubblicata sulla gazzetta ufficiale del 10 aprile 1981 n. 100, divenendo legge dello Stato <455. Il Ministro dell’Interno è autorità nazionale di P.S. e a lui spetta la responsabilità della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica (art. 1), mentre a livello periferico sono autorità locali di pubblica sicurezza il prefetto (art. 14) e il questore (art. 15), diversificati nelle rispettive funzioni. La legge di riforma ha costituito un’Amministrazione della pubblica sicurezza, civile, con un ordinamento speciale (art. 3), articolata in uffici centrali e periferici, nel cui ambito trova collocazione il dipartimento della pubblica sicurezza che provvede, tra l’altro, a dare attuazione alla politica sull’ordine e la sicurezza pubblica, a coordinare dal punto di vista tecnico-operativo le forze di polizia, a dirigere e amministrare la polizia di Stato (art. 4). Al dipartimento, che si articola in diversi uffici e direzioni, è preposto il Capo della Polizia. Con la legge di riforma vengono sciolti il Corpo delle Guardie di P.S. e il Corpo di polizia femminile.
[NOTE]
432 A. BERNARDI, op. cit., pp. 64, 65.
433 A. SANNINO, op. cit., p. 171, 172.
434 Ivi, p. 182. L’agente Annarumma fu ucciso il 19 novembre 1968 a Milano «nel corso di disordini in prossimità del Teatro Lirico».
435 A. BERNARDI, op. cit., p. 64.
436 A. SANNINO, op. cit., p. 182. Esplose la protesta per le ingiustizie, i sacrifici, la fatica e le umiliazioni. «Nel 1968 ed oltre si passavano 12-14-18 ore ammassati su un camion o dentro un Tigrotto a respirare le esalazioni dei vecchi e malridotti candelotti aspettando il nemico». Ivi, p. 181.
437 A. BERNARDI, op. cit., p. 67.
438 A. SANNINO, op. cit., p. 183.
439 Ivi, p. 187.
440 Ivi, p. 188.
441 Ivi, p. 189.
442 Ivi, op. cit., p. 192.
443 A. BERNARDI, op. cit., pp. 75, 76.
444 A. SANNINO, op. cit., p. 193.
445 Ivi, p. 194.
446 Il documento, tratto da A. SANNINO op. cit. pp. 195-197, è interamente riprodotto in Appendice.
447 Ivi, p. 199.
448 Ivi, p. 203.
449 Ivi, pp. 207, 212.
450 A. BERNARDI, op. cit., p. 80.
451 A. SANNINO, op. cit., p. 213.
452 Ivi, pp. 214, 215.
453 Ivi, p. 219.
454 F. CARRER, op. cit., p. 33. Con la legge di riforma gli alamari posti ai baveri recheranno, al posto delle stellette, il monogramma RI.
455 Il testo della legge è riportato integralmente in Appendice.
Maria Antonietta Pisano, Il percorso storico della polizia in Italia. Dal periodo fascista alla legge 121/1981, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2021-2022