La voce “razza” seguitava a comparire negli indici delle riviste giuridiche

“È ben vero che la campagna razziale non fu mai sentita in Italia, dove non è mai esistito un «problema ebraico», e dove gli israeliti sono sempre stati considerati dalla popolazione e dal comune sentimento – che fa onore al nostro popolo – alla pari di tutti gli altri cittadini (…)” <413.
Con questa considerazione auto-assolutoria, nel 1949, il giudice Sofo Borghese, noto per aver incondizionatamente aderito alla politica razziale fascista, concludeva la propria nota ad una sentenza emessa dal Tribunale di Milano in tema di reintegrazione degli ebrei nei diritti patrimoniali. Sulla base di tale riflessione, Borghese auspicava un intervento del legislatore che ridimensionasse la portata, potenzialmente “sproporzionata”, delle leggi “anti-razziali”, promulgate nel contesto repubblicano per rimediare agli effetti prodotti dai decreti del ‘38. Le parole del giudice, che peraltro aveva tranquillamente conservato il proprio posto nell’Italia post-fascista, forniscono un segnale di quanto fosse stato profondo il coinvolgimento dei giuristi italiani nelle dinamiche interpretative ed attuative delle leggi antiebraiche, mettendo in risalto come questa partecipazione, in molti casi, si fosse fondata su una completa approvazione di quella legislazione che aveva introdotto nell’ordinamento giuridico la nuova qualificazione di “cittadino italiano di razza ebraica” e fosse stata animata dal desiderio di mettere a disposizione del governo fascista gli strumenti tecnico-giuridici necessari al suo progressivo perfezionamento.
Nel corso di questo lavoro, prendendo sul serio le pagine scritte proprio da quei giuristi che, come Borghese, non solo non tardarono a manifestare la propria approvazione nei confronti della nuova legislazione, ma si adoperarono per costruire solide basi teoriche sulle quali fondare il suo progressivo perfezionamento, ci si è proposti di riflettere sull’impatto che la politica antiebraica ebbe nel settore della scienza giuridica. Si è cercato, così, di valutare quale sia stato l’apporto dei giuristi italiani al processo di costruzione della diversità giuridica dell’ebreo, come sia stata accolta la nuova dicotomia cittadino italiano di razza ariana/cittadino italiano di razza ebraica in seno alla dottrina giuridica, e in quale misura, nell’Italia di fine anni Trenta, si venne ad aprire un vero e proprio dibattito attorno all’impiego delle “nuove categorie” di “razza”, “ebreo”, “ariano”.
Lo studio dei commentari, dei quali i “giuristi di regime” furono autori, consente di cogliere la portata e le dimensioni di quel deliberato tentativo di sovversione dei principi e dei modelli consacrati dalla tradizione giuridica liberale; un tentativo finalizzato alla costruzione di un “ordine giuridico nuovo”, all’interno del quale la “disuguaglianza razziale d’origine” assurgeva al ruolo di principio fondamentale: grazie ad una zelante opera di interpretazione e sistematizzazione, che in molti casi andava ben oltre le intenzioni e le direttive del governo, all’inizio degli anni ’40, erano stati delineati, nei loro tratti essenziali, i nuovi profili di quel “diritto razzista” che si voleva elevare al rango di un nuovo settore disciplinare, dotato delle proprie riviste e dei propri specialisti.
Mettendo in parallelo l’opera del legislatore e l’attività svolta dai giuristi allineati, è facile osservare come le teorizzazioni elaborate da questi ultimi, lungi dal rivelarsi completamente anodine, fornirono una vera e propria base e sostegno all’opera del legislatore.
Le parole di Sofo Borghese, però, scritte nel cuore del periodo in cui si svolgevano i processi di riparazione e reintegrazione degli ebrei italiani, fanno luce sul grado di “assuefazione” che gli operatori del diritto continuavano a manifestare nei confronti delle categorie, degli istituti e delle definizioni, introdotte dal legislatore fascista, a distanza di più di un quinquennio dall’abrogazione dei decreti del ’38. Si pensi, ad esempio, all’istituto della “discriminazione” che, seppur non richiamato dal legislatore del ’44, divenne un parametro di riferimento essenziale nell’individuazione e determinazione dei “cittadini italiani colpiti dalle leggi razziali”. Fu, forse, questa profonda “assuefazione” che portò la cultura giuridica italiana a prendere ampiamente parte a quel processo di costruzione del mito “italiani brava gente”, smantellato dalla storiografia e dalla storiografia politica soltanto in tempi molto recenti.
Abrogate le leggi razziali e scomparse le riviste “militanti”, le tracce dei decreti antiebraici sono rimaste nascoste nei meandri delle pagine dei più tradizionali periodici giuridici che continuavano la loro attività redazionale nel dopoguerra, mentre la voce “razza” seguitava a comparire negli indici delle riviste, rinviando, questa volta, alle procedure di reintegrazione degli ebrei nei loro diritti e alla normativa “riparatoria”. Mentre il richiamo alla nozione di “razza” – questa volta in chiave antidiscriminatoria – ha trovato il suo posto nei testi costituzionali di quei paesi che come l’Italia, negli anni ’30 e ’40, avevano conosciuto una legislazione razziale, il contenuto di tale nozione extragiuridica è divenuto sempre più indefinito ed indeterminabile, sulla base dei più recenti studi eugenetici che le hanno negato qualsiasi fondamento biologico. Tuttavia, i giuristi europei non hanno ancora finito di riflettere e dibattere attorno al rapporto tra razza e diritto, iniziando ad interrogarsi sempre più a fondo sull’opportunità di continuare ad impiegare una nozione così indefinibile nei testi giuridici, fino a prendere in seria considerazione l’idea di “correggere” i testi costituzionali <414.
[NOTE]
413 BORGHESE, SOFO, Considerazioni in tema di leggi e anti-leggi razziali, in “Il Foro italiano”, LXXIV 1949, p. 739-744, qui p. 741.
414 La proposta è stata di recente avanzata dal Deutsche Institut für Menschenrechte che ha osservato come, proprio da momento che non esiste un fondamento scientifico che legittimi la classificazione delle specie umane, non appare opportuno continuare ad impiegare il termine “razza” nei testi giuridici. Analoghi episodi si sono verificati in Francia, dove, di recente, il deputato socialista Victorin Lurel ha proposto la soppressione del termine “razza” dall’art. 1 della Costituzione. In Francia, in particolare, il dibattito e la riflessione si sono concentrate in maniera particolare sulla possibilità di ricorrere alla nozione di “razza” nel campo della legislazione disciplinante la sperimentazione e la ricerca medica. Si fa riferimento ad un ciclo di seminari, Droit, Sciences, Races, Ethnies, organizzato dal “Centre de Recherche Droit, Sciences et Techniques” dell’Università di Parigi I, che si propone di riflettere sul significato e le implicazioni che possono derivare da un ritorno al riferimento alle nozioni di “razza” ed “etnia”, sempre più frequenti nel diritto francese contemporaneo.
Silvia Falconieri, Intellettuali e fascismo: i giuristi e la legislazione antiebraica, Tesi di dottorato, Università degli Studi Di Napoli Federico II in cotutela con Goethe-Universität di Frankfurt am Main, Anno Accademico 2007/2008