Ci sono, al mondo, molti brutti mestieri, molti mestieracci

Negli ultimi anni la figura e l’opera di Emilio Cecchi sono stati oggetto di un rinnovato interesse da parte degli studiosi. A fronte di una bibliografia critica che si è notevolmente arricchita, contribuendo a esplorare in particolare i diversi aspetti della formazione e della militanza giovanile dell’autore fiorentino, scarseggiano invece le edizioni e le ristampe, anche parziali, dei testi originariamente apparsi su giornali e riviste. Pur essendo articoli che continuano a sorprendere e destare interesse a più di un secolo di distanza, risultano spesso di difficile accessibilità a causa, tra l’altro, della deperibilità dei supporti cartacei che rende la loro consultazione difficoltosa e sottoposta a varie limitazioni. Nell’ottica di operare urgentemente per la salvaguardia di un materiale estremamente fragile e al contempo prezioso, appare di sicuro interesse l’allestimento di un’edizione integrale della celebre rubrica di critica letteraria Libri nuovi e usati, firmata da Emilio Cecchi sul quotidiano romano «La Tribuna» con lo pseudonimo “il tarlo”, tra il 15 luglio 1921 e il 30 novembre 1923.
Elogiati da Eugenio Montale e Giacomo Debenedetti, questi articoli restavano finora l’unica serie organica di scritti critici dell’autore non ancora pubblicata integralmente.
In ognuno dei 111 interventi che costituiscono la raccolta, il critico fiorentino presenta con vivacità i risultati delle sue vaste letture di opere italiane e straniere svelando, tra le righe, i protagonisti indiscussi del dibattito culturale di inizio secolo e, non di rado, regalando intuizioni e scoperte poi confluite nei saggi successivi. I brevi interventi critici, nonostante un taglio spesso semiserio, dimostrano tutta l’acutezza interpretativa di Cecchi che, con tono sempre misurato e sostenuto da una consapevole perizia critica, affida a questi interventi stoccate ed elogi, realizzando così un vivace affresco della vita culturale e letteraria italiana all’indomani del primo conflitto mondiale.
L’intento primario che si propone questo lavoro è perciò quello di colmare una lacuna, mettendo a disposizione del pubblico il corpus completo degli articoli della rubrica cecchiana e fornendo al contempo gli strumenti per leggerli e interpretarli in maniera puntuale e proficua.
Nell’ampio saggio introduttivo si presenta la figura e l’opera di Emilio Cecchi all’interno del contesto letterario primonovecentesco, dedicando un’attenzione particolare agli interventi di critica militante che l’autore affidava alle colonne di quotidiani e riviste del tempo: sono ricostruite la sua formazione, la militanza nelle riviste di inizio secolo e in particolare ne «La Voce», l’esperienza vissuta in guerra e le intricate questioni relative alle primissime fasi successive al conflitto. Ampio spazio è riservato inoltre all’esperienza cecchiana ne «La Ronda», un passaggio di estrema importanza per la comprensione degli sviluppi successivi della sua attività. Nella seconda sezione del saggio, espressamente dedicata a Libri nuovi e usati, si fornisce una lettura complessiva della rubrica, marcando le tematiche maggiormente innovative presenti all’interno della raccolta e inserendo i pezzi critici cecchiani nel contesto culturale dei primi anni venti. Trovano spazio in questa sede varie riflessioni sulle peculiarità contenutistiche e stilistiche della rubrica, che sottolineano la continuità con gli interessi manifestati dall’autore fin dai primi anni della sua carriera e gettano luce sulle novità più significative per i successivi sviluppi della parabola critica dello scrittore fiorentino.
[…] Tratto tipico della lingua dell’epoca è la frequente italianizzazione dei nomi propri degli autori stranieri, carattere che si è naturalmente mantenuto anche in questa edizione. Si è scelto invece di apportare alcune modifiche all’aspetto materiale di alcune citazioni.
Nella colonna cecchiana, infatti, le porzioni testuali citate sono abitualmente trascritte in corsivo, come accade per i titoli dei libri e delle riviste prese in esame. Per evitare fraintendimenti, in questi casi, è sembrato opportuno adottare criteri più moderni: il corsivo si è mantenuto unicamente per i titoli dei libri, mentre le citazioni dei brani e le testate delle riviste sono stati collocati tra virgolette.
[…] Un’attenzione particolare è riservata alle citazioni di autori stranieri che, sulla pagina del quotidiano, presentavano spesso una quantità di errori superiore alla media: si è provveduto, in questi casi, a sanare eventuali refusi attraverso il confronto diretto con i testi originali. Nella realizzazione delle note si è scelto infatti di citare, ove possibile, le edizioni effettivamente consultate dal critico, in modo da offrire ai lettori uno strumento di approfondimento adatto a intraprendere ulteriori indagini nelle numerose direzioni che qui, forzatamente, sono solo accennate.
La tesi è infine corredata da un indice dei nomi, limitato ai soli testi di Cecchi: escludendo i rimandi all’apparato di note, si è evitato di appesantire eccessivamente il volume e, al contempo, si è cercato di fornire ai lettori una chiave d’accesso maneggevole e rapida per orientarsi all’interno della raccolta.
La pubblicazione dei Libri nuovi e usati di Cecchi, in versione integrale e con note esplicative, permette insomma di ricostruire una mappa assai ricca e dettagliata della letteratura italiana ed estera all’indomani della prima guerra mondiale, sulla scorta del punto di vista di un critico autorevole che, negli anni a cavallo della presa del potere da parte di Mussolini, ha il merito di guardare senza pregiudizi oltre i confini nazionali, ponendo basi solide alla definizione di un canone letterario europeo contemporaneo.
[…] In un articolo del 1972, Eugenio Montale non nascondeva il rimpianto di non poter più leggere integralmente «i celebri «tarli», che per alcuni anni apparvero regolarmente sulla Tribuna di Malagodi senior, così come erano starti consegnati in redazione: considerazioni e più spesso intuizioni critiche intense, mobili, fulgenti come particelle di mercurio, di una sicurezza, eleganza e ricchezza di soluzioni, nella loro breve misura (un colonnino), da meravigliarsi che non abbiano creato un genere» <1. Uno degli aspetti che colpivano Montale è la «ricchezza di soluzioni» degli articoli della «Tribuna»: ricchezza, si intende, non solo formale, ma caleidoscopica varietà di contenuti. A scapito di una «formazione lenta, difficile e dolorosa» <2, Cecchi è stato sempre un «lettore impavido e onnivoro» <3, che, fin dagli esordi, «rivela una ricchezza di interessi» <4 e una «cultura grandissima» <5 in cui si percepisce «il sintomo di una tendenza largamente partecipata, tipica della situazione culturale di questi primi anni del Novecento» <6. È proprio agli esordi che Cecchi rivela i caratteri propri di quella «impietosa, frenetica ansia di lavoro» <7 che, con fatica e dedizione, lo condurranno ad essere uno dei più influenti critici italiani del Novecento. Per comprendere gli sviluppi della critica cecchiana, è essenziale dunque gettare luce su alcuni aspetti propri della formazione dell’autore, scoprire le materie prime sulle quali inizia a lavorare, sondare la genesi di un’esperienza letteraria straordinaria per vastità di interessi ed estensione cronologica.
1 E. MONTALE, Il punto. Critica e storia, in ID., Il secondo mestiere. Prose, vol II, Milano, Mondadori – I Meridiani, 1996, p. 3003.
2 E. CECCHI, Letteratura italiana del Novecento, a cura di P. Citati, Milano, Mondadori, 1972, p. XI. 3 Ibid., p. XI.
4 G. MACCHIONI JODI, L’esordio critico di Cecchi, in «Nuova Antologia», n. 2079, marzo 1974, p. 366.
5 E. CECCHI, Letteratura italiana del Novecento, cit., p. XI.
6 G. MACCHIONI JODI, L’esordio critico di Cecchi, cit., p. 365.
7 V. GUEGLIO, Cecchi giovane e dintorni, in «Nuova Antologia», n. 2205, 1998, p. 84.

Enrico Riccardo Orlando, Emilio Cecchi: i «Tarli» (1921-1923), Tesi di Dottorato in cotutela con l’Université Paris Sorbonne, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno di discussione 2017

A cura di Silvia Betocchi
Introduzione di Enzo Siciliano
Dal 1921 al 1923 Emilio Cecchi tenne sul quotidiano “La Tribuna” una rubrica letteraria, Libri nuovi e usati, in cui perizia e gusto di contraddizione si sposavano magistralmente. Cecchi si firmava “Il tarlo” e dedicava le sue riflessioni e le sue stoccate a libri, autori e problemi, spesso con tono divertente e grottesco. La scelta qui proposta ne è un esempio che testimonia un modo, libero e coraggioso, di intendere la letteratura e quanto ad essa è connesso, e un’attitudine verso la vita culturale e morale della nazione in un momento delicatissimo per gli equilibri del giovane stato italiano. “Ci sono, al mondo, molti brutti mestieri, molti mestieracci: il tosatore di cani, il bambino in fasce, e il fattorino tramviario, verso mezzogiorno, quando tutti cercano di scendere senza pagare. Ma il mestiere più brutto di tutti, a quanto posso intendere, deve essere quello di estensore, di tenutario di una rubrica del genere di questa, di Libri nuovi e usati”.
Presentazione online, Emilio Cecchi, I Tarli, Fazi Editore

Le trenta pagine circa, che Filippo Burzio ha dedicato allo studio della figura di Giovanni Giolitti <2, sono uscite da pochi giorni; e già, intorno ad esse, è concorde il consenso di quelli che, nell’osservazione della vita politica, sanno portare l’abito della meditazione storica: fra gli altri, Luigi Salvatorelli, che ha voluto lungamente commentarle in un articolo sulla «Stampa» (1 dicembre 1921). Né è affatto esagerato affermare, come fa appunto il Salvatorelli, che esse costituiscono uno dei rarissimi saggi politici, degni di questo nome, che da anni ed anni, sieno usciti in Italia. I vecchi e i maturi vedevano sopra tutto, nella politica, un campo di attività pratica, in tutte le forme e sottintesi dell’espressione. I giovani preferivano tenersene pulitamente lontani. Il miglior contributo dei giovani alla nostra letteratura politica è cominciato, con scritti come quelli del Missiroli, o come, con tutt’altro orientamento, questo del Burzio, relativamente da poco.
[…] Ma l’aspetto più convincente ed autentico dello studio del Burzio è nel procedimento e nello stile coi quali quest’idea generale è realizzata; non facendola piovere dall’alto a illustrare le varie fasi dell’opera di Giolitti, e a confortarne, specie nei riguardi dell’ultimo periodo, le apparenti, o non soltanto apparenti, contraddizioni. Come ha detto il Thibaudet a proposito di Barrès: «il est évidemment un homme très intelligent, mais il écrit d’un style de sansitif» (Vie de M. Bar. Pag. 246); e nulla era più necessario d’uno stile siffatto, in un argomento per definizione antiretorico, come l’argomento Giolitti; che, per questo appunto, andava toccato senza tono di autorità e sicumera, ma vivacemente, da artista. Lo stile del Burzio risponde a tutti i requisiti d’una gravità, ma mossa e colorita, e d’un’analisi documentata, ma insieme spiritosa e ricca di impressioni. Un poco fa ripensare a quello che potrebbe chiamarsi lo stile di famiglia dei primi Cahiers de la Quinzaine: Halévy, Peguy, Benda, prima che il Benda si fosse irrigidito troppo nel suo neoclassicismo. Ma sullo stile del Burzio torneremo a lungo, a proposito del libro: Ginevra. Vita Nuova (Edit. Treves, Milano: 1921) […]
Il tarlo.
2 F. BURZIO, Giolitti, in «La Ronda», III, n. 8-9, agosto-settembre 1921, pp. 517-540. Il torinese Filippo Burzio (1891-1948), laureato in ingegneria meccanica, esperto di balistica. Negli anni immediatamente successivi al conflitto, oltre alle numerose pubblicazioni scientifiche sul moto dei proiettili e sulla stabilità degli aerei in volo, è autore di interventi a tema politico: affascinato dalla figura del demiurgo, supremo regolatore e pacificatore dei conflitti politici e sociali, si ispira agli ideali del pensiero liberale e illuministico, prendendo come modelli Rousseau, Cavour e Giolitti. Collabora con «La Stampa» di Torino e poi con «La Ronda».
Enrico Riccardo Orlando, Op. cit., pp. 206-208