Era fanatismo che si beveva in quel clima?

È importante insistere nella distinzione tra una generazione di intellettuali, a cui Lajolo appartiene, e la generazione dei più giovani, dei renitenti, degli sbandati richiamati da Salò, la generazione dei Gatto, dei Rocca <31, con cui Lajolo non sempre ha avuto rapporti facili. Per loro, così come per molti altri, egli resterà sempre “il fascista convertito” <32.
Ancora più problematico, se è possibile, è l’incontro con la generazione degli antifascisti militanti: se lo zio sfollato si presenta come un affettuoso dispensatore di consigli, Alberto Gallo Spada non ha dubbi nel proferire un durissimo j’accuse. Il regista Risi ha voluto riproporre pressoché integralmente nel suo “La strada più lunga”, riduzione televisiva de “Il voltagabbana”, l’aspro dialogo tra Gianfranco Albertini-Spada e Gian Maria Volonté-Lajolo, una sorta di processo notturno svoltosi tra Incisa e Vinchio:
“Riconosci di essere il fascista Davide Lajolo, capitano della Milizia…”
“Non sono mai stato nella Milizia, sono capitano dell’esercito e come tale sono andato in Spagna anche se sono stato un fascista convinto…”
“Il convinto tienitelo per te, se non vuoi che quelli là” e indicò i partigiani “non ti tolgano rapidamente di mezzo… Mentre tu sfilavi a passo romano io stavo in galera… Sono un operaio ma, evidentemente, più intelligente di te che hai studiato, perché ho saputo riconoscere subito che il fascismo era una maschera per delinquenti”
“E io sono pronto a riconoscere…”
“Non mi interessa il tuo riconoscimento. Adesso è comodo riconoscere, cambiare, darla a intendere ai giovani contadini del tuo paese” <33
Operaio, reduce dalle galere fasciste, Spada non si fida, non perdona a Lajolo il suo passato, non crede alla sua “conversione” né alla sua buona fede.
Accetta però disciplinatamente la gerarchia e le disposizioni del partito, che gli impongono di lasciare ad altri il giudizio sull’affidabilità della scelta di Lajolo:
“Verrà un nostro ispettore ad interrogarti. Lui è un intellettuale e crede alle conversioni. Io no.” <34
Per questa generazione di irriducibili è inaccettabile l’Italia del 25 luglio, quella di un “fascismo senza fascisti”, in cui cimici, camice nere e gagliardetti spariscono e tutti sembrano riscoprire d’incanto radici, motivazioni e idee filomonarchiche quando non esplicitamente antifasciste.
Passano quasi trent’anni da quell’incontro notturno con Lajolo, e Spada scrive (e pensa) ancora, a proposito non dell’interlocutore di allora, ma dei “voltagabbana” del dopo-25 luglio:
“Ad ogni occasione, senza neppure cercarli, ogni tanto qualcuno sentiva la necessità di farti sapere che lui era stato fascista solo perché lo avevano obbligato, minacciato. Perché aveva la famiglia da mantenere. I bambini da sfamare. Perché altrimenti non avrebbe trovato lavoro. C’era persino chi ricordava che suo padre era stato socialista… che negli ultimi tre anni non aveva più partecipato alla celebrazione della marcia su Roma, il 28 ottobre, e via impietosendo e umiliando… Al confronto, l’ultimo coniglio si sarebbe sentito un leone… Ma tale è una parte degli uomini. Solo di una parte. Quella che di solito non conta niente. Quella che al raduno per stabilire la direzione del vento non c’è mai. E per fortuna del genere umano” <35.
Per fortuna di Lajolo, l’intellettuale chiamato in causa da Spada è Costa, che ha un colloquio con Lajolo improntato su toni meno duri ed intransigenti <36, premessa per la nascita di un’amicizia fraterna. Ma l’esame definitivo avviene in una cascina tra Isola e Vigliano, durante un incontro con Francesco Scotti Augusto:
Con un sorriso ironico Augusto mi disse: “io dovrei fucilarti”. Poi si corresse: “Avrei dovuto fucilarti nel ’37, quando mi combattevi contro in Spagna”… mi parla del partito comunista e mi dimostra come sia il partito che sappia essere generoso e fraterno coi giovani che hanno errato per entusiasmo. Mi dà da leggere delle dispense, dove è spiegato cos’è il partito comunista e dove sono presentati in forma elementare i caposaldi della dottrina comunista. <37.
Un altro antifascista della prima ora, Italo Nicoletto Andreis, ricorda così il “voltagabbana”: “un tipico esponente di quella gioventù che aveva incontrato il fascismo negli anni della scuola, che era stata affascinata dall’idea equivoca di una rivoluzione fascista che sembrava promettere azione e vita… Aveva combattuto tutte le guerre del fascismo… e dovette perciò durare fatica a vincere le diffidenze nei suoi confronti, la diceria e il sospetto che siccome era stato fascista avrebbe fatto il doppio gioco” <38
Non è un caso, quindi, che i personaggi con cui Lajolo si intende meglio siano altri intellettuali quasi suoi coetanei: Nestore e Costa, anzitutto. Il primo, di pochi anni più giovane, si fa garante per lui nei confronti dei comandanti partigiani locali in attesa dello “sdoganamento” da parte dei dirigenti comunisti regionali <39. Con Costa, invece, Lajolo condivide i drammatici momenti del rastrellamento del 2 dicembre e del successivo sbandamento.
Anche con Francesco Scotti Lajolo stringe un’amicizia forte e sincera, e con lui discute a fondo il proprio “voltare gabbana”, che non può limitarsi ad un’autocritica formale:
“Ho bisogno con te – scrive a Scotti – di sbarazzare il terreno da tante altre cose che mi pesano ancora anche adesso che so che sono sbagliate. Non so ancora spiegarmi, ad esempio, come ho potuto combattere tutta la guerra di Spagna senza chiedermi i motivi per cui combattevano quelli dell’altra parte… Era buona fede? Era fanatismo che si beveva in quel clima? Ancora oggi non so dirlo esattamente… Ora, perché questa guerra giusta non sia per me come tutte le altre, io ho bisogno di sapere usare fino in fondo la ragione… Non basta eliminare Mussolini e Hitler, far fuori il comandante della Brigata nera che ci sta contro o il generale tedesco che ordina i rastrellamenti ma è più importante eliminare le cause, i motivi che hanno permesso l’inganno nostro e la rovina della nostra patria” <40
Questo per quanto attiene al percorso di cambiamento profondo e lacerante che trasforma il capitano Lajolo in Ulisse.
Mentre questo “viaggio” più intimo emerge soprattutto dal carteggio privato e dalle riflessioni letterarie, dalle relazioni partigiane, dal carteggio con i compagni di lotta e di partito emerge certamente anche un “altro” Lajolo. Il “politico”, più che il comandante che mette a disposizione della lotta partigiana la sua lunga esperienza militare, evidenziato a suo tempo da Anna Bravo <41. Il Lajolo che contribuisce a gestire gli endemici contrasti interni al comando della 98^ brigata e dell’VIII^ divisione, che discute con i compagni di comunismo e del progetto togliattiano del partito nuovo durante il lungo inverno del 1944-1945. Il Lajolo che tratta con Enrico Martini Mauri, con Piero Balbo Poli e con la missione inglese la distribuzione delle armi ma anche la costituzione di una zona operativa nel Basso Astigiano, la IX^. Una zona che, per ragioni politiche, incontra la resistenza di autonomi ed alleati, al punto da essere istituita di fatto solo “sulla carta” ed a liberazione avvenuta. Di questo aspetto e di queste vicende, però, è già stato ampiamente scritto altrove <42.
Al di là di questa vicenda soggettiva, ma al tempo stesso generazionale, che traspare dalle pagine dell’Ulisse partigiano e di cui si è cercato di dare conto, credo sia opportuno sottolineare sinteticamente, in conclusione, anche tre aspetti “esistenziali”, più che fattuali, che emergono costantemente dalle pagine dei romanzi partigiani (e non solo) di Lajolo.
Anzitutto le intense pagine dedicate al tragico inverno 1944-1945, con il racconto dei giorni e delle notti trascorsi nella tana di Noche, la descrizione della paura, e la disperazione del vivere braccati. Pagine che a tratti ricordano quella magnifiche, profonde e antieroiche del Fenoglio de “Il Partigiano Johnny”, con la lupa e la cascina di Langa, la nebbia, la consapevolezza della solitudine ed il sottile e pervasivo senso della sconfitta.
Quindi il rapporto con la famiglia, con il fratello preso in ostaggio, con la moglie in fuga insieme alla figlioletta di due anni, che non lo riconosce quando, nei tragici giorni del dicembre 1944, riesce finalmente a rivederla.
Un rapporto vitale, che dà speranza e forza di vivere, descritto costantemente con grande tenerezza ed intensità.
Infine il forte, indissolubile legame con la sua terra, con le sue colline, con le case contadine, le vigne ed i boschi. Con una campagna che sa rinascere ad ogni primavera.
E a proposito della primavera del 1945 Ulisse scrive:
“Non ho mai voluto così bene alla vita. Non ho mai creduto così intensamente nella vita” <43.
Un inno ad una nuova vita, dopo la lunga notte del riscatto personale vissuto attraverso la lotta partigiana.
31 Giovanni Rocca Primo, di Canelli
32 Cfr. P. Testore, “Memorie”, dattiloscritto in Israt, p. 97.
33 D. Lajolo, Il voltagabbana, cit., pp. 242-243.
34 Ivi, p. 243.
35 A. Gallo, “Cenni biografici e memorie”, 1972, manoscritto in Israt Spada.
36 D. Lajolo, Il voltagabbana, cit., pp. 244-246.
37 D. Lajolo, A conquistare, cit., p. 141. Lo stesso Scotti consegnerà a Lajolo la tessera del partito dopo lo scontro di Bruno del 20 ottobre 1944; cfr. idem , p. 276.
38 L. Nicoletto, Anni della mia vita, Brescia, Luigi Micheletti editore, p. 188.
39 Testimonianza di D. Massimelli, cit.
40 D. Lajolo, Il voltagabbana, cit., p. 270.
41 Cfr. A . Bravo, La Repubblica partigiana, cit.
42 Cfr. M. Renosio, Colline partigiane, cit., pp. 205-220 e 247-254; M. Renosio, Tra mito sovietico, cit., pp. 220-234.
43 D. Lajolo, A conquistare, cit., p. 246.
Mario Renosio, L’Ulisse della guerra partigiana, I filari del mondo (a cura di Laurana Lajolo), Atti del Convegno “Davide Lajolo: politica, giornalismo, letteratura”, Vinchio, 11 e 12 giugno 2004, organizzato dall’Associazione Culturale Davide Lajolo Onlus in occasione del ventesimo anniversario della morte dello scrittore, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2005