Italo Calvino, Grosvenor Hotel, 35 Fifth Avenue, New York

Tra il novembre 1959 e il maggio 1960, Italo Calvino visita per la prima volta gli Stati Uniti come inviato della casa editrice Einaudi per la quale lavora; di tale esperienza rimangono i suoi appunti di viaggio, che sono stati rielaborati, corretti ed organizzati nel libro Un ottimista in America. Nonostante Calvino abbia corretto le seconde bozze e scelto il titolo complessivo dell’opera, tuttavia decide di non pubblicarlo perché, dopo la rilettura in bozze, lo ritiene troppo modesto come opera letteraria e non abbastanza originale come reportage giornalistico. L’opera viene perciò data alle stampe dopo la morte dell’autore, ma possiamo ritenere che Un ottimista in America rappresenti la sua volontà definitiva. Tuttavia esistono altre due versioni del reportage: una viene pubblicata postuma all’interno di Eremita a Parigi con il titolo Diario americano – 1959-1960, l’altra è raccolta all’interno del volume Saggi 1945-1985, con il titolo Corrispondenze dagli Stati Uniti (1960-1961) <112. Quest’ultima versione è l’unica che non viene edita postuma: infatti la sezione Cartoline dall’America è stata pubblicata su «ABC», Quaderno americano su «Europa letteraria», I classici al motel su «L’illustrazione italiana», il Diario dell’ultimo venuto su «Tempo presente» e Diario americano 1960 su «Nuovi argomenti», tutti in un periodo compreso tra il 1960 e il 1962. <113
Nell’analizzare il reportage di viaggio scritto da Calvino, abbiamo inizialmente preso in esame la prima stesura contenuta in DA <114, poi le stesure successive, e abbiamo composto una tabella sinottica, riportata nell’appendice I, che renda conto delle differenze tra i vari capitoli, in quanto vi sono sostanziali aggiunte o eliminazioni di testo tra un’edizione e l’altra.
Il viaggio negli Stati Uniti
Se attingiamo al testo di DA, la prima cosa che possiamo notare è che il resoconto che Calvino fa del suo viaggio è suddiviso per capitoli che rendano conto della differenza geografica: pertanto abbiamo prima il Diario dei primi giorni a NY, il Diario newyorkese, il Diario del Middle West, il Diario di San Francisco, il Diario di California, il Diario del South West e il Diario del South. Al contrario quest’ordine non può essere riscontrato in CSU, che raccoglie insieme vari articoli che Calvino ha fatto pubblicare su riviste differenti, e dove l’ordine cronologico e geografico viene ad interrompersi. Pertanto la tabella sinottica in appendice servirà a ricollegare più facilmente i vari capitoli, per capire come essi si sono evoluti nel corso delle rielaborazioni dell’autore.
Come osserva Alessandro Raveggi, l’itinerario di Italo Calvino si svolge in due direzioni: la prima, da Est o Ovest, ripercorre il classico tragitto della scoperta della costa occidentale, la strada battuta dai primi pionieri, che hanno attraversato il continente fino “alle porte dell’Asia” <115; il secondo è il tragitto da Nord a Sud, che stavolta l’autore percorre in senso opposto, visitando prima il South West per poi concludere con l’immancabile sosta negli stati del South. <116 Mentre il primo tragitto si qualifica come una scoperta sempre in positivo, alla ricerca di un nuovo mondo, altrettanto non si potrà dire del viaggio da Nord a Sud: tra le pagine più crude del resoconto di viaggio, infatti, spiccheranno particolarmente quelle che descriveranno gli scontri di Montgomery e della nascita del movimento per i diritti delle persone di colore guidate da Martin Luther King.
Del suo soggiorno l’autore ha parlato in più di un’occasione; per capire meglio il suo modo di viaggiare, è utile la dichiarazione rilasciata nell’intervista a Ernesto Battaglia nel 1960: «Il mio intento, avendo sei mesi da passare negli Stati Uniti, è stato di vivere l’America, non di visitarla da turista. Naturalmente finivo anche per vedere le cose che i turisti “devono vedere” (non le cascate del Niagara, però). Il mio primo interesse è stato sempre la gente: conoscere quanti più americani possibile, e di diversi ambienti, e dividere la loro stessa vita» <117. Bisogna anche osservare che l’intento dell’autore non è tanto il raccontare la sua esperienza biografica in America, bensì descrivere nella maniera più oggettiva possibile il modo di vivere degli americani, corredato anche di riflessioni personali; come osserva anche Raveggi, a Calvino non piaceva soffermarsi troppo sui dati autobiografici, <118 e lui stesso scrisse, nella sua Nota biografica obiettiva, di essere un autore dei cui «viaggi si sa poco perché è uno dei rari scrittori italiani che non scrivono libri di viaggio né reportages». <119
Forse è per questo motivo che l’autore ritenne opportuno eliminare in OA i capitoli più personali, che invece abbondano in DA. E in effetti Esther Calvino, nella nota introduttiva al testo di Eremita a Parigi, dichiara apertamente che il Diario americano non è altro che una serie di lettere inviate a Daniele Ponchiroli e ad altri colleghi della Einaudi, destinate a chiunque volesse conoscere le sue esperienze americane, risultando non tanto importante come opera letteraria, ma bensì come autoritratto e documento autobiografico dell’autore. <120 Inoltre Calvino stesso scrive, nella lettera a Paolo Spriano del 25 gennaio 1960, che durante il viaggio in America tiene «un diario solo per gli amici, not to record (non da pubblicare). […]. L’intero diario dovrebbe essere tenuto in ordine in una cartella da Ponchiroli e gli amici che vanno possono leggerlo» <121. Tutte le esperienze dettagliate, gli incontri di lavoro, i resoconti agli amici e colleghi e anche la lettera iniziale a Daniele Ponchiroli, spariscono in OA per lasciare spazio alla descrizione della vita della città e degli abitanti, che forse l’autore riteneva più interessanti. Se si confrontano i capitoli riguardanti New York presenti nelle tre edizioni, si noterà che, su 66 capitoli di DA, soltanto 9 vengono rielaborati e riproposti nell’edizione finale. Pertanto DA fra i tre testi è quello che risulta più autobiografico, ma anche più diretto, poiché molte impressioni sono scritte sul momento. Bisogna anche dire che proprio per questo motivo non c’è una grande attenzione dell’autore per sintassi o grammatica, e troviamo un largo uso di abbreviazioni, asindeti, capitoli di pochissime righe, tutti aspetti che ci fanno pensare che non ci sia stata una grande rielaborazione: sembra piuttosto di trovarci di fronte ad una sorta di diario dove Calvino prende appunti sulla sua esperienza.
Per quanto riguarda gli altri diari (Middle West, San Francisco, California, South West, South) non c’è invece una così grande differenza di argomenti sul materiale trattato. Non ci sono però tanti capitoli depennati quanti nel Diario dei primi giorni a NY: infatti riguardo al Middle West vengono eliminati 4 capitoli su 23, su San Francisco 10 capitoli su 18, sulla California 5 su 13, sul South West 3 su 11. Invece il diario del South contava tre soli capitoli, che comprendevano New Orleans, Savannah e Charleston: l’ultima non verrà più menzionata nelle edizioni successive.
Al contrario, CSU e OA sono molto più somiglianti tra loro: lo stile risulta più accorto, accurato e grammaticalmente corretto, e le differenze più importanti riguardano singoli capitoli o paragrafi di un capitolo, che vengono tolti o aggiunti dall’autore passando da un’edizione all’altra. Nel complesso comunque possiamo dire che i due testi sono molto simili: infatti, come si evince dalle tabelle sinottiche, alcuni capitoli sono pressoché uguali, o magari differenti solo per alcune parole. Si può dunque sostenere che gli articoli di CSU, dati alle stampe tra il 1960 e il 1962, siano anticipazioni rispetto ad OA, che verrà invece pubblicato anni dopo, postumo.
Adesso presenteremo il lavoro che abbiamo svolto, paragonando le varie edizioni del testo mettendo in luce le differenze e analizzando i temi principali che si deducono dalla lettura complessiva dell’opera.
Dal diario dei primi giorni a New York
Già dai primi capitoli di DA veniamo a conoscenza di alcuni aspetti che nelle altre due edizioni sono stati eliminati: in primo luogo, il resoconto di viaggio si apre con una lettera, datata 3 novembre 1959 e indirizzata a Daniele Ponchiroli, all’epoca caporedattore dell’Einaudi, al quale Calvino dedicherà il romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore, prendendolo anche a modello per il personaggio del dottor Cavedagna. In CSU ed OA il destinatario della lettera viene eliminato e il contenuto viene riutilizzato, andando a costituire (non in forma epistolare) due capitoli intitolati rispettivamente Un arrivo anacronistico (nella sezione Quaderno americano) e America a prima vista, passo
di apertura di OA.
Per quanto riguarda DA, si può dire che il capitolo risulti in un certo qual modo più personale: cambia il destinatario, nel senso che nel primo caso Calvino si rivolge ad amici e colleghi specifici, mentre in CSU ed OA si rivolge sempre ad un lettore generico, e sembra più distaccato dalla materia. Pertanto anche il tema trattato, che è quello della noia del viaggio, in DA è più espressivo e forte, mentre nelle altre due versioni assume un tono più poetico e l’attenzione sulla noia viene dirottata sull’effetto finale dell’arrivo a New York, probabilmente la cosa che Calvino ha ritenuto essere più interessante. In DA si percepisce in pieno la pesantezza del tragitto in transatlantico: “La noia ha ormai per me l’immagine di questo transatlantico. vi arriverò [in America] gravato da una già forte dose di noia americana, di vecchiaia americana, di povertà di risorse vitali americana. L’unica cosa che se ne può trarre è una definizione della noia come uno sfasamento rispetto alla storia, un sentirsi tagliati fuori con la coscienza che tutto il resto si muove: la noia di Recanati come quella delle ‘Tre sorelle’ non è diversa dalla noia di un viaggio in transatlantico”. <122 In una sola pagina compare ben cinque volte il termine “noia”, alternato con “vecchia”, “vecchiaia”, “antiquata”. E il riferimento a Recanati e alle “Tre sorelle” (dramma dell’autore russo Anton Cechov) non fa che rincarare la dose.
Un riferimento alla noia è presente anche in CSU ed OA, seppur molto abbellito e meno d’impatto rispetto a DA: “L’unica riflessione che posso segnare per ora è una definizione della noia: la noia è uno sfasamento rispetto al ritmo della storia, un sentirsi tagliati fuori avendo coscienza di tutto il resto che si muove: la noia di Recanati, la noia delle ‘Tre Sorelle’, la noia di cinque sere e quattro giorni in transatlantico”.123
Inoltre il capitolo iniziale di DA si conclude con un richiamo allegro ai destinatari:
“Viva il Socialismo.
Viva l’Aviazione”. <124
Il primo è un chiaro riferimento alle idee politiche dell’autore, condivise evidentemente dagli amici. Il secondo è un riferimento ironico al fatto che Calvino poteva andare a New York per mare o in aereo; pentitosi di aver scelto il viaggio in nave, ha scritto questa frase per manifestare il suo disappunto. Questo pentimento si riscontra nella prima frase di OA, dove la vivace impressione di DA è tradotta in un’osservazione oggettiva.
È tuttavia opportuno sottolineare che per Michel Beynet alcuni aspetti di questo resoconto, quali la “noia” ed anche il richiamo al socialismo, siano da interpretare come paradossi voluti: nel tentativo di dimostrarsi originale, e quindi di differenziarsi rispetto alle cronache di viaggio già scritte da altri, Calvino tenterebbe così di mostrarci dei lati inaspettati e paradossali, come l’insofferenza totale di un viaggio paragonata alla noia di Recanati, nonché il richiamo al socialismo nell’apprestarsi a sbarcare nel paese meno socialista del mondo. <125
Infine segnaliamo che, nella versione di questa lettera contenuta in Lettere 1940-1985, essa presenta un capoverso di due righe che in Diario americano viene omesso: «Daniele, scrivimi, fa passare questa lettera. Gli allegati editoriali vanno a Foà. Ne mando copia anche a Einaudi.» <126 Questo significa che la versione originale era già stata rimaneggiata, ma non possiamo sapere se a farlo sia stato l’autore o il curatore.
Il resoconto di DA continua con un altro capitolo, anch’esso peculiare rispetto alle altre due edizioni, intitolato I miei compagni di viaggio (Young creative writers). Si tratta di un resoconto dettagliato, esposto in maniera schematica, degli altri passeggeri con cui Calvino trascorre la traversata, che però non vedremo più nel corso del reportage (ad eccezione di Arrabal, che ritornerà solo in Diario americano nel capitolo L’avventura di Arrabal) e forse per tale motivo l’autore ha ritenuto opportuno tagliare questa parte. Essi sono, nell’ordine indicato: Alfred Tomlinson, Claude Ollier, Fernando Arrabal, Hugo Claus, mentre al tedesco Gunther Grass era stato impedito di imbarcarsi per motivi medici. Di tutti loro Calvino fornisce un quadro generale, talvolta ironico, dicendoci l’età, la nazionalità, lo stato civile e il tipo di attività dei suoi compagni, che sono tutti autori letterari che hanno avuto più o meno fortuna. Inoltre un altro dato biografico compare alla fine del capitolo: l’indirizzo di Calvino al quale chiede agli amici di scrivere, cioè Grosvenor Hotel, 35 Fifth Avenue, New York.
Dopo questi capitoli introduttivi, si apre quello che viene intitolato Dal diario dei primi giorni a NY, ed entriamo nel vivo del reportage. È opportuno notare che nel testo di Diario americano troveremo adesso una lunga serie di capitoli che non sono riportati nelle altre edizioni: si tratta per lo più di incontri di lavoro e mondani, o anche di osservazioni personali. Ad esempio nei capitoli Lettunich e Gli alberghi <127 sono riportate le prime impressioni di Calvino sul suo soggiorno a New York, sul quale sorvola decisamente nelle edizioni successive dove si sofferma soprattutto sulle cose che lo hanno colpito favorevolmente. Tuttavia scopriamo da questi due capitoli che l’approccio iniziale con la Grande Mela non è affatto positivo: l’albergo che gli viene consigliato è brutto e sporco, e con sua grande sorpresa anche gli altri del Greenwich Village sono del solito stampo: “Il giorno dopo mi metto in giro per il Greenwich Village a cercare un albergo e sono tutti così: vecchi, sudici, puzzolenti, con logori tappeti, anche se nessuno ha la vista da suicidio della mia camera al Van R. con una scaletta di ferro rugginosa e lurida davanti alla finestra su un budello di cortile dove non entra mai il sole”. <128
La prima descrizione della città è molto pittoresca e per niente positiva, e anche questo, sempre secondo Beynet, rientrerebbe nell’intento di dissociarsi dagli autori che, precedentemente a Calvino, hanno invece espresso stupore e meraviglia di fronte alla bellezza della Grande Mela. <129 Il suo giudizio è comunque rimodellato e abbellito nelle edizioni successive, nelle quali Calvino non le dedica che poche righe, unendole al ricordo dei quadri di Pollock e dando a quest’immagine un tono di decadenza poetica: «l’urlo di disperazione dei suoi quadri [di Pollock] ora per me resta legato al ricordo della mia prima stanza d’albergo newyorkese, la scaletta di ferro lurida e rugginosa davanti alla finestra su un budello di cortile dove non entra mai il sole» <130. Al contrario in OA l’attenzione si sposta sugli aspetti positivi della città: così abbiamo prima il capitolo dedicato alla grandezza della città (Totem e lampeggiatori) e successivamente il capitolo dedicato alla illuminazione elettrica, che è parte della sua bellezza (La città delle scosse elettriche).
Nonostante un primo approccio non idilliaco, è necessario sottolineare che Calvino diventerà uno dei maggiori estimatori della città di New York, di cui in più di un’occasione dirà di essere innamorato. Nell’intervista a Ugo Rubeo, pubblicata in Eremita a Parigi con il titolo La mia città è New York, Calvino dichiara senza riserve di sentirsi a tutti gli effetti un newyorkese (infatti alcuni suoi racconti, nelle Cosmicomiche o in Ti con zero, sono ambientati proprio lì) <131; un bellissimo elogio della città lo troviamo anche in OA: “Sarà ormai un mese che ho lasciato New York e viaggio per gli Stati Uniti. Quelli che incontro, tutti, mi parlano male di New York. Taccio, imbarazzato, quasi vorrei avvertirli che stanno facendo una gaffe, che mi stanno dicendo una cosa indelicata: perché io New York la amo. […] Tutti gli americani sanno dirmi perché odiano New York: città di professioni artificiali, di intellettuali industrializzati, di vita sociale intensissima ma senza approfondimento di rapporti umani, città dove tutto si commercializza, città dal ritmo snervante ma non concretamente produttiva; città non americana, incapace di creare dal crogiolo dei popoli una civiltà propria; città dove si è fermata senza assimilarsi la parte peggiore di tutte le ondate di immigranti; città che più di ogni altra nega e annulla la natura. Che dire? Hanno ragione, New York è così, ed essere così è male. Però non vedo l’ora di tornarci”. <132 Anche in CSU l’autore dichiara espressamente il suo amore per la città: pur non riuscendo a spiegarsi il perché, Calvino rivela di essere talmente innamorato di New York al punto da voler far scrivere sulla propria tomba «Newyorkese». <133
Paragonando il racconto dei capitoli newyorkesi di DA con le altre due edizioni, notiamo che le differenze sono enormi. Se contiamo i capitoli che restano e quelli che spariscono in corso d’opera, vediamo che solamente 8 su 51 coincidono in tutte e tre le edizioni, e altri 3 verranno recuperati nel testo di OA ma mancano in CSU, come si evince dalle tabelle sinottiche. Tra i capitoli eliminati, molti trattavano di incontri di lavoro e d’affari, ma in realtà vi sono anche alcuni spunti di riflessione interessanti. Ad esempio la prima impressione nel vedersi consegnare tra le mani il famoso “New York Times” della domenica (rinomato per il gran numero di pagine) ci trasporta in un momento personale della vita dell’autore: “Per quanto ne avessi letto e sentito parlare, andare dal giornalaio e vedersi consegnare un fascio di carta che a stento riesci a sostenere fra le braccia, il tutto per 25 cents, ti lascia tramortito”. <134
Oppure anche le affermazioni sulle abitudini di vita che Calvino assume nella megalopoli: “Alcolizzato diventerò in breve tempo, se comincio con i drink alle undici del mattino e continuo fino alle due di notte. Dopo i primi giorni di New York, s’impone una stretta politica di risparmio delle proprie energie”. <135
Se invece vogliamo confrontare i temi che ritornano in tutte e tre le edizioni, e quindi gli elementi sicuramente ripresi e forse ritenuti più interessanti, essi sono:
La già citata descrizione dell’arrivo a New York che ritroviamo in L’arrivo (DA), Un arrivo anacronistico (CSU), America a prima vista (OA);
L’energia di New York in New York non è ancora l’America (DA), La città delle scosse elettriche (CSU e OA);
New York vista andando a cavallo in A cavallo per le vie di New York (DA e OA) e Newyorkese di provincia (CSU)
La descrizione del Greenwich Village in Il Village (DA), Sono anch’io un «villager» (CSU) e Il villager (OA);
L’esperienza all’Actor’s Studio in The Actor’s Studio (DA) e L’Actor’s Studio (CSUm e OA);
L’esperienza a Wall Street in Wall Street (DA), Il denaro elettronico (CSU) e Wall Street elettronica (OA);
L’esperienza al collegio femminile nel Westchester in Il collegio delle ragazze <136;
I computer in I cervelli elettronici (DA) e Tra macchine che pensano (CSU e OA).
Per quanto riguarda la raccolta CSU, invece, le sezioni dedicate a New York non sono raggruppate tutte insieme: la maggior parte è contenuta in Cartoline dall’America, tuttavia in ordine sparso; il Quaderno americano conta pressoché soltanto capitoli su New York; ce ne sono pochissimi nel Diario dell’ultimo venuto e i rimanenti fanno tutti parte del Diario americano 1960. La maggior parte dei capitoli viene spartita dunque tra le prime due raccolte, mentre le altre due trattano di temi che non sono presenti in DA, e soprattutto nel caso di Diario americano 1960 si tratta di riflessioni di carattere generale, che vagamente si ricollegano alla città di New York. Invece, come dicevamo inizialmente, OA riprende l’ordine geografico diviso per aree che era già stato riproposto in DA: pertanto il racconto si apre proprio con i capitoli dedicati alla Grande Mela, per poi passare in maniera ordinata alle altre aree, fatta eccezione per alcuni capitoli conclusivi dove si ritorna a parlare della città (e dopotutto bisogna considerare che alla fine dell’itinerario Calvino torna a trascorrere qualche tempo a New York, prima di rientrare in Europa).
[NOTE]
112 Italo Calvino, Un ottimista in America, Milano, Mondadori, 2015 (1a ed. 2014); Italo Calvino, Corrispondenze dagli Stati Uniti, in Saggi, a cura di Mario Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, pp. 2497-2679; Italo Calvino, Eremita a Parigi, Milano, Mondadori, 2011 (1a ed. 1994), pp. 21-126.
113 Alessandro Raveggi, Calvino americano. Identità e viaggio nel Nuovo Mondo, Firenze, Le Lettere, 2012, pp. 12-13.
114 Per semplificare, indicheremo con DA il testo di Diario americano e con CSU il testo di Corrispondenze dagli Stati Uniti.
115 Italo Calvino, Un ottimista in America, Milano, Mondadori, 2015, p. 115.
116 Alessandro Raveggi,Calvino americano, cit., p. 27.
117 Gli Stati disuniti, intervista di Paolo Pozzesi, 4 giugno 1960, in Italo Calvino, Sono nato in America…, Milano, Mondadori, 2012, p. 61.
118 Alessandro Raveggi, Calvino americano, cit., p. 12.
119 Italo Calvino, Eremita a Parigi, Milano, Mondadori, 2011, p. 172.
120 Esther Calvino, Nota introduttiva in Calvino, Eremita a Parigi, cit., p. 2.
121 Italo Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di Luca Baranelli, Milano, Mondadori, 2000, p. 637.
122 Calvino, DA, cit., pp. 21-22.
123 Italo Calvino, Corrispondenze dagli Stati Uniti, in Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1995, p. 2608.
124 Calvino, DA, p. 22.
125 Michel Beynet, Calvino en Amérique: “Tutto il mondo è paese?”, «Italies», 1, (1997), par. 11.
126 Italo Calvino, Lettere 1940-1985, cit., p. 613.
127 Calvino, DA, pp. 24-25.
128 Calvino, DA, p. 13.
129 Michel Beynet, Calvino en Amérique: “Tutto il mondo è paese?”, par. 17.
130 Calvino, CSU, p. 2611 e OA, cit., pp. 22-23.
131 La mia città è New York, intervista di Ugo Rubeo, in Calvino, EP, pp. 243-248 (poi anche in Sono nato in America…, cit., pp. 585-90).
132 Calvino, OA, p. 140.
133 Calvino, CSU, p. 2501.
134 Calvino, DA, p. 27.
135 Calvino, DA, p. 29.
136 La stessa esperienza viene descritta sia nella lettera indirizzata a Giulio e Renata Einaudi del 22 novembre 1959, sia in quella a Sergio Liberovici del 24 novembre 1959 (Italo Calvino, Lettere 1940-1985, cit., pp. 618-19 e 622-23 rispettivamente).
Giada Del Debbio, Calvino e gli Stati Uniti: dal Diario americano a America paese di Dio, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno accademico 2017-2018