In Brecht Einstein funge da paradigma dello scienziato contemporaneo

Una rappresentazione di “Vita di Galileo” (1971) – Foto: Katscherowski/Bundesarchiv

Il 14 novembre 1930 Brecht è nel pubblico di una lezione di carattere divulgativo sulla teoria della relatività che il Premio Nobel tiene alla MASCH di Berlino <34; nell’autunno 1932 legge con grande interesse lo scambio epistolare fra Einstein e Sigmund Freud sulla guerra e redige sul tema un breve testo, intitolato semplicemente con i nomi dei due, in cui critica in particolare la posizione del fisico, lamentando che non tiene in considerazione gli interessi materiali delle classi sociali quali cause della nascita di conflitti, e vi oppone una lettura sostanzialmente sociologica.
Al di là della contrapposizione su temi non scientifici, Einstein è per Brecht in questi anni il modello di una fisica teorica che cambia la prospettiva con cui guardare al mondo – esattamente come trecento anni prima Galileo e gli altri esponenti della Nuova scienza – e come tale una sorta di pendant scientifico della rivoluzione estetica che il drammaturgo e regista persegue nel suo teatro, che mira a esercitare nello spettatore uno sguardo critico: «Io sono lo Einstein del nuovo teatro», avrebbe detto Brecht a New York nel 1935 presentandosi a un nuovo pubblico.
Quando nel marzo 1939 Brecht fa spedire copie ciclostilate di “Leben des Galilei” anche a Einstein e contemporaneamente conclude il discorso “Über experimentelles Theater”, nel quale il concetto di ‘teatro sperimentale’ diviene punto di convergenza fra discorso scientifico e discorso artistico, non senza citazioni proprio da Einstein, il cerchio pare chiuso: rivoluzione copernicana, baconiana e galileiana, teoria della relatività e teatro epico sembrano tappe di un unico, grande progresso.
Tanto quanto lo scienziato secentesco, tuttavia, è fin dalla ‘versione danese’ portatore di contraddizioni che non tarderanno a esplodere, così anche lo sguardo sulla fisica contemporanea è a quest’altezza già più sfaccettato e problematico di quanto non appaia. Brecht è informatissimo sul tema almeno quanto sulla Nuova scienza, e non solo perché segue con attenzione la figura e la produzione di Einstein e per le sue ampie letture in merito.
Collaboratori di Niels Bohr, come noto, fungono da consulenti durante la stesura danese del dramma, nel quale Brecht peraltro inserisce anche un riferimento alla recentissima scoperta della fissione nucleare da parte di Otto Hahn e Fritz Straßmann; i contatti con il fisico tedesco Hans Reichenbach, che si infittiranno negli anni americani, risalgono probabilmente già a prima dell’esilio; le tensioni interne alla Germania nazista e l’escalation politica generale sono al centro dell’interesse dell’esule anche per quanto attiene alle mire della dittatura sulla scienza.
Nel dramma “Furcht und Elend des III. Reiches” (Terrore e miseria del Terzo Reich), scritto in Danimarca quasi in contemporanea a “Leben des Galilei”, le serissime questioni sono svolte in tono a cavallo fra farsa e tragedia in un quadro intitolato esplicitamente “Physiker” (Fisici), redatto nella primavera del 1938. Due fisici tedeschi <39, X e Y, ricevono una lettera da Einstein con indicazioni indispensabili per la loro ricerca ma si superano l’un l’altro in terrore e miseria, appunto, cercando goffamente di sottacere il nome del mittente. È d’altronde un nome impronunciabile, pena la fine della loro carriera, in un laboratorio della Germania nazista dove, come recitano i versi d’apertura, è permessa solo una «fisica tedesca […] dal volto ariano» – la scena si chiude con una battuta antisemita di Y, ben urlata perché diffidenti colleghi non si trasformino in volonterosi delatori. Oltre a evocare, come gli altri ventisette episodi, il clima di sospetto e reciproca ostilità nel Reich, questo settimo quadro declina in chiave assolutamente contemporanea i motivi guida del dramma su Galileo, ulteriore traccia, mi pare, della ricaduta precipuamente novecentesca del lavoro brechtiano sulla figura dello scienziato fin dal periodo danese.
Il confronto con Einstein, d’altronde, continua anche negli anni successivi e mostra come una cartina di tornasole la maturazione, in Brecht, di una visione composita del rapporto tra scienza e progresso, anche ma non solo in seguito al ‘debutto dell’era atomica’, di cui le riscritture del dramma su Galileo sono la traccia più nota.
Per una manciata di anni contemporaneamente negli Stati Uniti, dove Brecht giunge nell’estate del 1941 e da dove torna in Europa nell’autunno del 1947, i due non si incontrano pur avendo contatti comuni; il citato Reichenbach si fa nel 1944 portavoce di istanze brechtiane presso lo scienziato, questi a sua volta esprime nel 1946 profonda ammirazione per lo scrittore. Non sa, Einstein, che un anno prima Brecht aveva annotato con sprezzo nel suo “Arbeitsjournal” (Diario di lavoro) del «pessimo violinista ed eterno liceale con un debole per le generalizzazioni in fatto di politica». Come già nelle riflessioni del 1932 e del 1939, ma con assai maggiore asprezza e a fronte di un ben diverso peso delle questioni in gioco, Brecht attacca lo scienziato per le sue posizioni nel dibattito politico-culturale: non certo dunque per questioni strettamente scientifiche ma per il suo ruolo pubblico in quanto scienziato e per la responsabilità, agli occhi di Brecht palese, nell’aver dato il la allo sfruttamento della fisica atomica a scopi bellici.
Da quell’autunno 1945 <46 in avanti – sono peraltro le settimane in cui Brecht conclude il “Galileo” americano e vi vede disegnata la parabola della scienza da «dominatrice della natura» a «puttana da quattro soldi» – sia la scrittura privata del diario o dell’epistolario, sia quella, saggistica o drammatica, pensata per la pubblicazione ma mai giunta a tale stadio, presentano un’intensificazione e un’esacerbazione del confronto con Einstein: con il ‘debutto dell’era atomica’ (e, in stretta conseguenza, con l’inizio della guerra fredda), è il fisico di Ulm a incarnare ai suoi occhi un fatale corto circuito fra scienza ed etica: “Lo scienziato fa ricerca «pura», il prodotto della ricerca, invece, è meno puro. La formula E = mc2 è pensata come eterna, assoluta. Così possono essere altri a farne uso concreto: la città di Hiroshima, da un giorno all’altro, non ha più lunga vita. Gli scienziati attribuiscono a se stessi la non-responsabilità delle macchine“.
Non conta tanto, agli scopi di questa analisi, approfondire quanto fosse corretto o distorto il giudizio di Brecht sulle effettive responsabilità oppure ambiguità di Einstein. Di nuovo, in questo ultimo decennio di vita e di produzione brechtiane, Einstein funge da paradigma dello scienziato contemporaneo, la sua parabola è presa come exemplum per una condizione generale.
Ciò non va letto, a mio parere, come correlato del lavoro su Galileo, quasi un suo effetto collaterale, ma se mai, al contrario, come uno dei suoi motori ‘segreti’, direi il principale per la terza redazione. Se è vero che solo dopo la morte di Einstein, avvenuta il 18 aprile 1955, Brecht raccoglierà i materiali utili a un nuovo dramma intitolato guarda caso proprio “Leben des Einstein” (Vita di Einstein), e che tale progetto non andrà oltre la dimensione dell’abbozzo, si può ben dire che un dramma su Einstein Brecht l’avesse in realtà già quasi concluso portando fino alle prove il “Leben des Galilei” berlinese, sul cui testo fino agli ultimi giorni di vita medita di apporre ulteriori aggiustamenti. Alla morte del nostro, il 14 agosto 1956, cala inevitabilmente il sipario sui due scienziati e sui loro drammi – le domande rimangono però brechtianamente aperte, e non escluderei che una maturazione del progetto su Einstein avrebbe prodotto una quarta stesura del “Galilei”.
Quello che il lascito ci consegna, rispetto a “Leben des Einstein”, è un convoluto fatto di appunti, schemi e qualche verso, oltre ai materiali di lavoro conservati nella biblioteca e alle tracce nell’epistolario e nella scrittura privata.
Che Brecht lavorasse a un dramma sul fisico è notizia diffusa dalla stampa fin dal febbraio 1956; alcuni stralci del lavoro sono noti alla critica da tempo – già Schumacher (1968: 320ss.) li discuteva in una chiave poi non più approfondita nel dettaglio. Nell’edizione storico-critica, nel cui decimo volume i materiali sul dramma sono stati pubblicati per la prima volta in forma integrale quali ultimi fra i ‘frammenti e progetti drammatici’, si tratta di sei brani di poche righe, per un totale di poco più di due pagine. Gli appunti (a1-a2-a3) contengono idee che spaziano dalla già citata lezione alla Masch a questioni scientifiche e didattiche, da controversie con colleghi ai rapporti con il potere politico. A3, in particolare, risulta dalle riflessioni ispirate a Brecht dalla lettura di un parallelo progetto di Paul Dessau per un’opera musicale su Einstein e ruota attorno alla bruciante questione del passaggio, nelle mani del potere, dalla teoria fisica alla pratica militarista («La grande formula non può essere ritrattata») e alle responsabilità dello scienziato che non può né essere né dirsi ingenuo politicamente – Einstein è qui e oltre sostanzialmente accusato di non avere riconosciuto la «somiglianza di tratti somatici» fra le «due potenze in lotta». Tra i frammenti germinalmente drammatici (b1-b2-b3), il terzo è il più ampio: l’abbozzo di un monologo del protagonista tematizza la posizione dello scienziato di fronte alla guerra. I primi due sono di assoluta brevità; b2 ha nella sua concisione però la potenza e la durezza di un intero dramma contemporaneo sullo scienziato:
Progredire nella conoscenza della natura
Rimanendo fermi nella conoscenza della società
È letale
“.
Queste parole, che possiamo considerare le ultime di Brecht sul rapporto fra scienza e società, mi sembrano restituire con ancora maggiore pienezza e consapevolezza del celebre ‘discorso di autoaccusa’ di Galileo la questione di fondo da cui muovono le sue riflessioni in merito e che agita nel profondo la caratterizzazione ondivaga dei suoi personaggi-scienziato.
Marco Castellari, «Sia lodato il dubbio!». Figure di scienziati in Bertolt Brecht in Formula e metafora. Figure di scienziati nelle letterature e culture contemporanee, (a cura di) Marco Castellari, di/segni n° 8, Università degli Studi di Milano, 2014