Le Brigate Nere non nacquero dal nulla

Una pagina del Diario del Distaccamento di Sanremo (IM) della XXXII^ Brigata Nera Padoan – Documento in Archivio di Stato di Genova, fornito al redattore da Paolo Bianchi di Sanremo (IM)

L’atto costitutivo delle Brigate Nere è datato 21 giugno 1944, “la struttura politica del partito si trasforma in organismo militare”, costituzione ufficializzata con il Decreto LegislatIvo n. 446 del 30 giugno 1944 reso pubblico solo alla fine di luglio.
[…] Il 25 giugno, il Segretario del PFR, Alessandro Pavolini indirizzò alle federazioni provinciali del PFR le norme costitutive del corpo suddivise in 11 punti: I Gerarchia del Corpo – II Ordinamento del Corpo – III Composizione del Corpo – IV Giurisdizione Territoriale – V Personale – VI Nomina – VII Compiti, Impiego, Disciplina – VIII Documenti Personali – IX Arruolamento nelle Brigate Nere ed Iscrizione al PFR – X Personale Femminile – XI Insegne e Distintivi.
Il 5 luglio 1944 Pavolini inviò ai comandanti delle brigate nere in costituzione un’ulteriore circolare in 5 punti dove si indicava l’ordine di battaglia delle brigate territoriali che dovevano essere costituite da un Comando di Brigata composto dal Comandante, Vice Comandante, Capo di Stato Maggiore, Ufficio Operazioni, Ufficio Informazioni, Ufficio Personale e Disciplina, Ufficio Materiali, Ufficio Amministrativo, Ufficio Assistenza-Propaganda e Stampa, Servizio Sanitario. Dal Comando di Brigata dovevano dipendere di massima tre battaglioni, ciascuno costituito da un comando e tre compagnie. Ogni compagnia doveva essere costituita da un comando e tre squadre, a loro volta composte da un comandante di squadra e 33 uomini, la squadra era infine divisa in tre nuclei composti da 11 squadristi, compreso il capo nucleo. La circolare di Pavolini prevedeva inoltre che ogni brigata avrebbe portato il nome di un caduto della causa del Fascismo Repubblicano. <2 Alla brigata di Ravenna venne riservato il nome di Ettore Muti mentre le brigate nere di Milano, Torino, Bologna e Forlì vennero intitolate d’ufficio dal Quartier Generale rispettivamente ad Aldo Resega, Ather Capelli, Eugenio Facchini ed Arturo Capanni.
Il motivo della costituzione delle brigate nere va ricercato principalmente nel tentativo di preservare la vita e i beni dei fascisti repubblicani ed in secondo luogo di costituire reparti ausiliari, conoscitori del territorio dove operavano. In particolare gli squadristi dovevano controllare il territorio della RSI dove era venuta a mancare la presenza di un settore della GNR, gli ex carabinieri, che costituivano la maggioranza dei presidi locali incaricati di controllare l’ordine pubblico. Ciò non significa avvalorare la tesi secondo cui le brigate nere furono costituite in seguito all’inefficacia della GNR nella lotta anti partigiana. I reparti OP e i battaglioni d’assalto della GNR non si risparmiarono di certo nel contrastare il fenomeno partigiano specialmente nelle zone di montagna dove si rifugiavano le bande. Il pericolo maggiore si registrava nelle città e nei piccoli centri di campagna dove le piccole formazioni partigiane presenti avevano gioco facile per l’assoluta incapacità dei presidi territoriali della GNR, composti principalmente da ex carabinieri, di controllare il territorio ed evitare la mattanza di singoli fascisti repubblicani o presunti tali.
L’incapacità degli ex carabinieri di sostenere la durezza di una guerra civile fece sì che nell’agosto 1944 i tedeschi li trasferirono in massa dove vennero assegnati prevalentemente nella contraerea a difesa delle città tedesche.
In questo contesto si inserirono le brigate nere territoriali che operarono principalmente a fianco dei reparti dipendenti dal Ministero agli Interni. Compito delle brigate nere territoriali fu quindi principalmente il controllo del territorio, senza altre velleità militariste fatta eccezione per le brigate nere mobili ed operative. Per combattere i partigiani, considerati franchi tiratori e quindi non reparti militari, Pavolini riteneva di dover impiegare reparti ausiliari, senza la tipica struttura militare e necessariamente l’addestramento, si trattava di mettere insieme persone decise, conoscitori della realtà locale capaci di portare armi leggere.
Lo stesso nome delle brigate nere, corpo ausiliario delle squadre d’azione di camicie nere, conferma la volontà di Mussolini di non costituire l’ennesimo corpo militare ma semplicemente sfruttare meglio il potenziale dei fascisti repubblicani.
[…] Le brigate nere non nacquero dal nulla. Già subito dopo l’8 settembre 1943 si erano formate presso le varie federazioni del PFR le Squadre d’Azione, reparti formati da fascisti repubblicani, che avevano compiti di ordine pubblico, principalmente protezione delle sedi del partito e di personalità fasciste. A causa dei numerosi reati, dovuti principalmente al mercato nero e all’accaparramento dei prodotti di prima necessità, membri delle squadre d’azione si resero protagonisti di numerosi sequestri e arresti, definiti “arbitrari” in quanto operati da personale che non aveva la qualifica di agente di polizia giudiziaria. Inizialmente si tentò di inquadrare gli squadristi delle Squadre d’Azione, che vennero ufficialmente sciolte nel dicembre del 1943, in reparti ausiliari alle dipendenze della GNR.
A causa di divergenze fra i vertici di queste squadre d’azione e le autorità militari repubblicane come ad esempio la mancata equiparazione delle funzioni di comando ai gradi dell’esercito, si ventilò l’ipotesi di sostituire i comandanti delle squadre d’azione con elementi estranei ad esse ma che rivestivano un effettivo grado militare. Situazione particolarmente significativa da questo punto di vista quella della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”, il cui comandante, Franco Colombo, di fatto aveva il grado di caporale dell’aviazione pur esercitando nella pratica funzioni tipiche di un ufficiale superiore.
Il tentativo di accorpare le squadre d’azione in battaglioni ausiliari della GNR, intitolati a “Ettore Muti”, trovò quindi attuazione solo in alcune province come ad esempio nella provincia di Novara dove venne costituito il Battaglione Ausiliari Squadristi “Ettore Muti”, comandato dal Maggiore Loris Civitielli, a Parma dove venne costituita la Compagnia Autonoma della GNR “Ettore Muti”, a Padova, e a Verona. La Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”, che per alcune settimane portò la denominazione di Battaglione Ausiliario della GNR “Ettore Muti” passò nel marzo del 1944 alle dipendenze del Ministero agli Interni, fuoriuscendo così dalla dipendenza dalla GNR.
Un secondo tentativo di inquadrare gli squadristi in reparti armati, questa volta alle dipendenze dell’Esercito Nazionale Repubblicano, prese corpo nel dicembre del 1943 con la costituzione delle “Compagnie della Morte”. L’ordine di costituzione delle Compagnie della Morte venne diramato dal Segretario del PFR, Alessandro Pavolini, nel gennaio del 1944. Lo scopo era di inquadrare le varie formazioni armate, costituite all’interno delle varie Federazioni provinciali, e che avevano operato in funzione di ordine pubblico, in reparti combattenti. Secondo una direttiva dello stesso Pavolini le compagnie della morte avrebbero dovuto avere una forza complessiva di 3.000 uomini. Tali reparti dipendevano per disciplina, addestramento, amministrazione dai Comandi Militari Provinciali, per il reclutamento, l’inquadramento, l’accasermamento e l’equipaggiamento dalle federazioni provinciali del PFR. Anche in questo caso solo in alcune province si arrivò alla costituzione di queste compagnie che avrebbero dovuto poi essere trasferite a Parma e passare alle dipendenze del Centro Addestramento Reparti Speciali (CARS) dell’esercito che diede vita successivamente al Raggruppamento “Cacciatori degli Appennini” e al Raggruppamento Anti Partigiani (RAP). “Compagnie della Morte” vennero costituite a Genova, Piacenza, Mantova, Arezzo, Firenze, Modena, Bologna Vicenza e Bergamo, la dove non confluirono nel CARS le compagnie della morte passarono successivamente in blocco alle brigate nere, come i battaglioni ausiliari della GNR. Per ordine di Pavolini, in data 10 luglio 1944 le compagnie della morte vennero ufficialmente sciolte.
[…] Anche per quanto riguarda le funzioni di comando al posto dei gradi nei mesi successivi si giunse ad una nuova pratica. Inizialmente, trattandosi di reparti ausiliari, le funzioni di comando non erano equiparabili a gradi militari che potevano essere ottenuti solo dopo aver superato degli specifici corsi. Le funzioni di comando andavano dal Comandante della brigata, Vice Comandante, Capo di Stato Maggiore, che unico fra tutti coloro che esercitavano funzioni di comando doveva rivestire un grado di ufficiale superiore nell’esercito o nella milizia, Comandante di Battaglione, Comandante di Compagnia, Comandante di Squadra d’Azione, Capo Nucleo: tutti gli altri componenti della brigata erano indicati genericamente come squadristi. <3
Quando cessava dalle funzioni di comando la persona in questione tornava ad essere un semplice squadrista. In particolare durante i primi mesi di vita delle brigate nere vi furono numerosi avvicendamenti, dovuti in molti casi alla mancanza di requisiti e attitudini. Man mano che la situazione si stabilizzò, la pratica di indicare con termini di grado coloro che rivestivano funzioni di comando divenne sempre più diffusa, in particolare si rese necessaria per equiparare ai gradi dell’esercito la decade e per rendere meglio individuabili agli ufficiali degli altri reparti italotedeschi coloro che esercitavano le effettive funzioni di comando. La questione venne definitivamente risolta nel febbraio 1945 quando vennero ufficialmente reintrodotti fra i componenti delle brigate nere i gradi in uso nell’esercito. Il Comandante di Brigata venne equiparato al grado di Generale di Brigata, il Vice Comandante a Colonnello. Il Capo di Stato Maggiore doveva comunque rivestire un grado superiore, di regola Tenente Colonnello, i vari responsabili degli uffici che componevano il Comando di Brigata erano solitamente indicati come Maggiori, Capitani o Tenenti, il Comandante di Battaglione era equiparato al grado di Maggiore, il Comandante di Compagnia al grado di Capitano e il Comandante di Squadra o Plotone a Tenente o Sottotenente se di classe molto giovane. Nella scala gerarchica seguiva il grado generico di Maresciallo, Sergente e infine Squadrista, anche se non mancarono casi di assegnazioni di gradi intermedi come Sergente Maggiore, Caporale etc. Se all’inizio vi fu molta confusione nel gestire dei reparti dove non esistevano i gradi con il ritorno al loro uso e una certa selezione fra coloro che esercitavano le funzioni di comando, oltre che con il passaggio alle brigate nere di numerosi ufficiali provenienti dall’esercito e dalle GNR, in particolare dalle scuole allievi ufficiali della GNR, dall’inverno 1944-45 la situazione andò mano a stabilizzarsi.
Anche per quanto riguardava l’ordine di battaglia, definito nella circolare inviata da Pavolini ai vari comandanti di brigata in data 5 luglio 1944, vennero poi operati dei cambiamenti. A livello di Comando di Brigata in alcune unità alcuni uffici vennero accorpati, ad esempio l’Ufficio personale e Disciplina con l’Ufficio Matricola o sdoppiati come ad esempio l’Ufficio Disciplina o Legale diviso dall’Ufficio Personale, in alcune brigate vennero costituiti uffici ad hoc come l’Ufficio Viveri, l’Ufficio Rifornimenti, l’Ufficio Armamenti, presso quasi tutte le brigate venne infine aggregato un Cappellano militare. A livello di Comando di Brigata venne costituita una Compagnia Comando e l’Autoreparto, in alcune brigate anche la Compagnia Armi Accompagnamento. A livello di battaglione di regola vennero costituiti due battaglioni per brigata, suddivisi territorialmente, alcune brigate allinearono tre battaglioni mentre vi furono i casi di brigate formate da un unico battaglione.
[…] Poiché con l’ordine di costituzione delle brigate nere la struttura del PFR si sarebbe militarizzata è utile vedere quale era la struttura tipo di una federazione del PFR, nel caso specifico la Federazione di Milano.
Il Commissario Federale o più semplicemente il Federale nomina, previa approvazione del segretario del partito, i Vice Commissari Federali, che a Milano erano quattro con i seguenti ruoli:
1) Vice Commissario Federale, Vice Comandante della brigata nera.
2) Vice Commissario Federale, comandante del Battaglione “Milano” della brigata nera e
direttore dei gruppi rionali cittadini del PFR.
3) Vice Commissario, comandante del Battaglione “Provincia” della brigata nera e direttore
dei vari fasci repubblicani della provincia.
4) Vice Commissario Federale, responsabile dell’Ufficio Sindacale del partito
Il Direttorio Federale era formato da membri di diritto e membri nominati dal Federale. Nel caso
della federazione milanese erano membri di diritto:
1) Il Dirigente Provinciale delle Famiglie dei Caduti, Mutilati e Feriti per la Rivoluzione
2) Il Dirigente Provinciale dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra
3) Il Dirigente Provinciale dell’Associazione Nazionale Combattenti
4) Il Dirigente Provinciale dell’Associazione Volontari di Guerra
5) Il Dirigente Provinciale dell’Istituto del Nastro Azzurro
6) Il Dirigente Provinciale della Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti
7) Il Fiduciario del Gruppo Sansepolcristi
8) Il Dirigente dei “Gruppi di Azione Giovanile”
9) Il Dirigente Provinciale dell’”Opera Balilla”
10) Il Podestà di Milano
Membri nominati dal Federale:
1) L’Ispettore Federale
2) Il Capo di Stato Maggiore della brigata nera
3) L’Ispettrice Provinciale dei Fasci Femminili
4) Il Rappresentante dei Profughi
5) Il Capo dell’Ufficio Disciplina
6) Tre rappresentanti delle Categorie Lavoratrici
Dipendono dal Federale:
1) L’Ispettore Federale, scelto fra iscritti al partito che abbiano un passato militare e politico “ineccepibile”. Esegue ispezioni nei vari gruppi rionali e nei fasci della provincia.
2) Il Capo Servizi Amministrativi che amministra il patrimonio della federazione e da cui dipendono l’Ufficio Contabilità, l’Ufficio Cassa, l’Ufficio Controllo Gruppi e Fasci, l’Ufficio Economato.
3) Il Capo dei Servizi Politici, che ricopre anche l’incarico di Capo dell’Ufficio Personale e Capo dell’Ufficio Protocollo.
4) Il Capo dell’Ufficio Disciplina che organizza il lavoro della Commissione di Disciplina presieduta dal federale e composta da un certo numero di squadristi scelti dai vari gruppi rionali e fasci provinciali.
5) Il Capo Ufficio Stampa e Propaganda dal quale dipendono i giornali pubblicati dalla federazione milanese ovvero “Brigata Nera Aldo Resega”, “Brianza Repubblicana” e “Fanfulla da Lodi”
6) L’Ispettrice dei Fasci Femminili.
L’organico delle brigate nere territoriali venne tracciato in un documento del Quartier Generale del 5 luglio 1944 dal titolo “Costituzione organica delle Brigate Nere”.
[…] Altri fascisti sfollati dal centro Italia finirono in brigate nere territoriali e mobili senza costituire una propria brigata: questo è il caso dei fascisti di Perugia confluiti in massima parte nella brigata nera di Novara e dei fascisti di Pesaro e Teramo finiti nella brigata nera di Cremona. Un caso particolare fu rappresentato dai fascisti residenti nella zona di Nizza nella Francia Meridionale. Al momento di ripiegare a causa dello sbarco anglo-americano in Provenza, un centinaio di squadristi seguì il locale Segretario del PFR, Angelo Rognoni, a Parma dove venne poi nominato federale e comandante della brigata nera locale. I fascisti nizzardi, pur non costituendo una propria brigata nera, confluirono nella brigata nera di Parma dove costituirono un proprio reparto, conosciuto anche se non ufficialmente come Brigata Nera “Nizza”.
[…] Altri casi di brigate nere anomale furono la Brigata Nera Speciale di Formazione “Meattini”, anche nota come Brigata Nera “Ministeriale”, costituita da personale dei vari ministeri e che operò in Valdossola nell’autunno del 1944 per poi essere sciolta, la IIª Brigata Nera Arditi, rimasta a livello di progetto, la Brigata Nera Autonoma “Giovanni Gentile”, nata in seguito ad una scissione all’interno della brigata nera di Reggio Emilia ed infine il Gruppo Operativo Lombardo, reparto costituito da tre compagnie, rispettivamente formate da squadristi delle brigate nere di Varese, Como e Milano, che operò nell’autunno del 1944 in Valtellina per poi essere sciolto.
Forza totale delle brigate nere al 2 aprile 1945: 28165 poi saliti a 37.000 con l’ultima chiamata di tutti gli iscritti al PFR.
Va rilevato come molti squadristi inquadrati nelle brigate lo fossero solo sulla carta, essendo civili con un proprio impiego che venivano richiamati solo in caso di necessità. La forza di una brigata rilevabile dai documenti d’epoca non rappresentava quindi la sua reale forza combattiva. Gli squadristi erano infatti divisi in Volontari Permanenti, quelli in servizio effettivo, Ausiliari di Pronto Impiego, richiamati in caso di particolari necessità operative, e Ausiliari di 2° Impiego, iscritto al PFR che svolgevano altre attività e mobilitati solo negli ultimi giorni della Repubblica Sociale.
Caduti sempre al 2 aprile 1945: 37 ufficiali e 541 fra sottufficiali e squadristi oltre a 9 ausiliarie.
[…] Comandante: Segretario del PFR Alessandro Pavolini […]
[NOTE]
2 Ciò determinò il cambio di nome di alcune brigate inizialmente intitolate a caduti fascisti del periodo antecedente l’8 settembre 1943 come ad esempio la brigata nera di Novara intitolata inizialmente al Seniore della Milizia Luciano Gavazzi caduto in Africa Orientale o quella di Reggio Emilia intitolata ad Amos Maramotti, caduto nel 1921.
3 Le funzioni di comando erano così suddivise nell’ordine del giorno del 21 giugno 1944: Duce, Comandante delle Brigate Nere, Capo di Stato Maggiore, Ispettore Generale, Comandante di raggruppamento, Sottocapo di Stato Maggiore, Ispettore, Comandante di Brigata, Vice Comandante di Brigata, Capo di Stato Maggiore di brigata, Comandante di battaglione, Comandante di Compagnia, Comandante di Squadra d’Azione, Aiutante di squadra d’Azione, Capo Nucleo, Squadrista Scelto, Squadrista, Allievo Squadrista.
Leonardo Sandri, Brigate Nere: una documentazione. Vol. 1: Struttura – Organigrammi – Operazioni, Edito in Proprio, Milano, 2017

«Molto scarsi sono gli studi sulle Forze Armate della RSI. L’unico lavoro d’insieme su questo oggetto è rappresentato da “L’esercito di Salò” (Mondadori 1970) di Giampaolo Pansa che può essere utilmente integrato dalla documentazione anche fotografica – ma non sempre attendibile e controllabile – contenuta nei tre volumi “Gli ultimi in grigioverde” (FPE Milano 1966-67) curati da Giorgio Pisanò. Questa documentazione, raccolta attraverso le testimonianze e gli archivi personali di ex-combattenti della RSI, utilizza anche, riproducendone interi capitoli, i volumi di memorie postbelliche del maresciallo Graziani (“Ho difeso la patria”, Garzanti 1948), del generale Emilio Canevari (“Graziani mi ha detto”, Magi–Spinetti, Roma 1947) e del console generale Enzo Galbiati (“Il 25 luglio e la MVSN”, Bernabò, Milano 1950)… Esaurienti e nuove ricerche d’archivio sono state peraltro compiute da Ricciotti Lazzero nei tre volumi rispettivamente dedicati a “Le SS italiane”, “Le Brigate Nere” e “La Decima Mas” (Rizzoli, 1982, 1983, 1984)…». <1 Inizia così una lunga nota a piè di pagina in cui Virgilio Ilari faceva, nel 1988, un’analisi della storiografia relativa alle Forze Armate della Repubblica Sociale italiana. In seguito la bibliografia si è ulteriormente arricchita, come emerge dalle note annesse a due lavori pubblicati dallo stesso autore nel 1991 e nel 1995 <2. Ma proprio in quell’anno Pier Paolo Battistelli denunciava il «buco nero» della storiografia sulla RSI, ossia la perdurante assenza di un lavoro sistematico complessivo <3.
Pochi seppero, allora, che Battistelli quella lacuna provvide proprio subito a colmarla, con uno studio monumentale e direi definitivo basato sugli archivi federali tedeschi e poi esteso anche a quello dell’Ufficio storico dello SME, ma certo scomodo sia all’agiografia reducistica, che da quei documenti dettagliatissimi e inoppugnabili usciva completamente demolita, sia alla tesi pregiudiziale del carattere meramente fittizio e propagandistico delle forze regolari di Salò. Per vari motivi, la prevista pubblicazione non ebbe luogo e l’opera rimase inedita sino al 2020, quando, a seguito della morte di Giampaolo Pansa (12 gennaio), l’Autore l’ha ripresa in mano e, constatato che era ancora attuale, ha deciso di pubblicarla <4.
[…] Nel frattempo, peraltro, stava raggiungendo il suo punto più alto lo scontro tra ENR e GNR cui si aggiunsero, dal mese di luglio 1944, anche le cosiddette Brigate nere, formate con la militarizzazione del PFR. Il braccio di ferro corporativo comprometteva ulteriormente l’operatività dei reparti. A ciò si aggiungevano inoltre le richieste tedesche.
Come scrive F.W. Deakin: «Vi era l’insolubile problema dei limiti […] della disponibilità di uomini, infelice oggetto di contesa tra i rivali organismi competenti tedeschi: le autorità militari tedesche nell’Italia del Nord li richiedevano per reparti ausiliari della contraerea, il Comando delle SS per unità direttamente sotto il loro controllo per la guerra antipartigiana, la locale organizzazione Todt per la costruzione di lavori di difesa e per riparare le vie di comunicazione, gli uffici locali del Gauleiter Sauckel per il lavoro civile nelle industrie in Germania, e la missione armamenti del generale Leyers per il mantenimento sul luogo di una sufficiente forza lavorativa per la produzione bellica italiana sotto il controllo tedesco». <33
In ogni caso il CO.GU assunse la direzione di reparti piuttosto diversi come i battaglioni di fanteria di marina della X Mas, i Cacciatori degli Appennini, il Raggruppamento Anti Partigiani (RAP) appena costituito, la Legione Autonoma Ettore Muti, reparti della GNR (come il LXV battaglione “M” ed il gruppo corazzato «Leonessa»), le brigate nere territoriali di Torino, Cuneo ed Asti e la 1a Brigata Nera mobile «Vittorio Ricciarelli».
Tutto questo complesso di forze, che avrebbe avviato le prime operazioni anti partigiane con la nota «Operazione T» del luglio 1944, aveva bisogno di un centro addestramento sia teorico che pratico. La scelta ricadde sul CISU di Acqui.
Ignoriamo le ragioni per cui, in ottobre, lo SME scelse di formare le unità anti-partigiane dell’ENR e poi della GNR proprio ad Acqui.
[NOTE]
1 Virgilio Ilari e Antonio Sema, Marte in Orbace. Guerra, esercito e milizia nella concezione fascista della nazione, Casa Editrice nuove ricerche, Ancona, 1988, p. 415. Virgilio Ilari, «Il ruolo istituzionale delle Forze Armate della RSI e il problema della loro ‘apoliticità’ », in Paolo Poggio (cur.), La Repubblica sociale italiana, 1943-45, Annali della Fondazione “Luigi Micheletti”, Brescia, 1986, pp. 295-311 (poi in Marte in Orbace, pp. 415-454);
2 Ilari, «Servizio militare e servizio del lavoro nel territorio occupato», in Id., Soldati e partigiani 1943-45 (Storia del servizio militare in Italia, IV vol.), CeMiSS Rivista Militare, 1991; Id., «L’impiego delle Forze Armate della RSI in territorio nazionale», in Romain Rainero e Renato Sicurezza (cur.), L’Italia in guerra: Il quinto anno (1944), Commissione italiana di storia militare, Roma (Stabil. Grafico militare, Gaeta), 1995, pp, 171-230.
3 Pier Paolo Battistelli, «Il ‘buco nero’ nella storia della RSI. Analisi storiografica dell’apparato militare della repubblica di Salò», Storia contemporanea, XXVI, n. 1, febbraio 1995, pp. 101-132.
4 Battistelli, Storia Militare della Repubblica Sociale Italiana, Amazon Italia, 2020.
33 Frederick William Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Einaudi, Torino 1963 p. 878.
Ferdinando Angeletti, Il Centro Integrativo Selezione Ufficiali. Un esempio delle contraddizioni militari della R.S.I., in Nuova Antologia Militare. Rivista interdisciplinare della Società Italiana di Storia Militare, n. 1/2020, Fascicolo 4, Storia Militare Contemporanea