Tempo di vivere, tempo di morire

Russia, Seconda guerra mondiale. Ernst Graeber torna a casa. Dopo due anni di combattimenti ininterrotti, il suo reggimento è finalmente in licenza.
Torna con tante domande e speranze in testa. Le domande vanno alla guerra. Per chi combattono adesso i soldati tedeschi? Per le SS, per la Gestapo, per i bugiardi e gli imbroglioni? Perché fanatici e assassini possano rimanere ancora un anno al potere? I russi avanzano e la guerra è ormai persa. Una guerra che li ha tenuti isolati in una condizione spaventosa, disumana e ridicola.
Le speranze vanno alla casa. Alla colazione, che sua madre preparerà come al solito, stendendo una tovaglia a scacchi bianchi e azzurri e servendo in tavola miele, panini e latte caldo insieme col caffè. Al sole, che d’estate illumina i gerani sul davanzale.
Quando finalmente giunge a Warden, tuttavia, niente è come Graeber ha immaginato. Dove un tempo c’erano file di case di legno dai tetti aguzzi si erge ora un groviglio di travi carbonizzate, resti di muri e mucchi di pietre sopra i quali stagna un fumo biancastro. La casa è stata rasa al suolo, i genitori dispersi.
L’unico fiore che risplende in quella devastazione è Elisabeth Kruse, la ragazza che conosceva da bambino. È diventata una donna dalla bellezza irresistibile, Elisabeth, con gli occhi scuri e i capelli color mogano che le scendono sulle spalle in un’onda inquieta.
Ha, però, un velo di malinconia nello sguardo. Suo padre, il primario Kruse, è stato denunciato e da quattro mesi è rinchiuso in un una coabitazione forzata con la signora Lieser, una fervente nazista che la tiene prigioniera nella sua stessa casa.
Che cosa fare per liberarla? Che cosa fare per ritrovare i genitori e per ridare dignità a una patria umiliata da schiavitù e stragi, dalla totale mancanza di umanità?
Storia di un grande amore che prova a opporsi alla brutalità e all’insensatezza della guerra, Tempo di vivere, tempo di morire è una delle opere maggiori dell’autore di Niente di nuovo sul fronte occidentale, oggetto anche di una celebre trasposizione cinematografica nel 1958 in cui compare lo stesso Remarque nei panni di un vecchio professore avverso al regime nazista.
Erich Maria Remarque, Tempo di vivere, tempo di morire, Neri Pozza, 2017

[…] Tempo di vivere tempo di morire è un romanzo dello scrittore tedesco Erich Maria Remarque […]
Questa volta, il protagonistra Ernst Graeber è un soldato tedesco che combatte nella Seconda Guerra Mondiale. Siamo in Russia e l’esercito tedesco sta ripiegando, ma non si può dire, naturalmente. Nel reparto di Ernst c’è una spia della Gestapo, e una parola sbagliata rischia per esempio di far saltare la licenza.
Lui da due anni ne attende una.
All’inizio lo vediamo coinvolto nella fucilazione di quattro partigiani russi. Poi, all’improvviso, la licenza. Proprio mentre si sta organizzando la controffensiva, ma lui parte di fretta e furia riuscendo a non essere richiamato.
Arriva in Germania, nella sua cittadina. Case distrutte, la gente che se la prende con i soldati perché non combattono abbastanza bene. La Gestapo ovunque, come un po’ dappertuto ci sono le SS e le SA.
La casa di Ernst è stata colpita dalle bombe, dei suoi genitori nessuna traccia. Si mette alla loro ricerca, che sarà infruttuosa; ma accadono due cose.
Incontra un vecchio amico (non sarà certo l’unico che incontrerà) che però ha fatto carriera. Infatti è Sturmführer, abita in una elegante villa fuori città dove il cibo e il buon vino non manca mai, e che ha usato il suo potere per vendicarsi del suo vecchio professore di liceo. Mandandolo in un campo di concentramento per sei mesi.
L’amico (che farà una fine ingloriosa), lo riempirà di doni, che Ernst accetterà. Quando il male diventa sistema, come si può riuscire davvero a starne lontani? A non accettarne i doni, i compromessi?
Ma soprattuto incontrerà Elisabeth, la figlia di un vicino, rinchiuso in un campo di concentramento, e della quale non ricordava nemmeno bene la fisionomia perché non si vedevano dall’infanzia. E attraverso l’amore che nascerà tra loro due, Ernst inizierà anche un lento e per questo doloroso esame di se stesso.
Che cosa sta facendo. Perché. Che cosa potrà fare lui, gli altri, dopo che tutto sarà finito. Come potranno ancora essere rispettati, i tedeschi, dopo aver scatenato una guerra che ha seminato odio e distruzione ovunque, e soprattutto nell’animo di ogni tedesco?
Si sposeranno, Ernst ed Elisabeth, e lui tornerà al fronte. E per difendere quattro prigionieri russi metterà in atto la sua rivolta personale. Che darà diritto solo alla sua morte.
Credo che questo romanzo sia superiore a “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Più maturo, più complesso, in esso Remarque dipinge una Germania dall’interno, stretta tra i bombardamenti e la paura del regime, una Germania dove la corruzione, il furto, la delazione sono ormai compagni quotidiani.
E gli interrogativi di Ernst ed Elisabeth sono quanto mai opportuni: quale Germania si potrà costruire su queste macerie? Ma non le macerie dei palazzi, naturalmente. Le altre macerie che il regime nazista, poi la guerra, hanno accumulato nell’animo di ogni tedesco, sino a soffocarlo.
Una curiosità. I due protagonisti a un certo punto parlano di viaggiare, e di andare anche in Svizzera, a Porto Ronco sulla riva svizzera del Lago Maggiore.
Proprio lì Remarque aveva acquistato nel dopoguerra una villa nella quale ha vissuto con la moglie, Paulette Goddard, ex moglie di Charlie Chaplin, sino alla morte, nel 1970.
È sepolto nel cimitero della cittadina.
Un romanzo che dimostra prima di tutto la grandezza di questo scrittore, la sua capacità di costruire una storia solida, convincente, dolorosa e proprio per questo onesta.
Alla fine ci si chiede che cosa ne sarà stato dei genitori di Ernst, di Elisabeth che senza farsi vedere, si era recata alla stazione per salutare Ernst in partenza per il fronte.
Ben sapendo che questa specie di magia, che si prolunga anche quando si chiude il libro, è tipica solo dei grandi romanzieri […]
Marco Freccero, Tempo di vivere tempo di morire di Erich Maria Remarque, Marco Freccero Raccontastorie, 11 marzo 2021

Seconda guerra mondiale, fronte russo. Ernst Graeber ottiene la prima licenza dopo due anni. Ha combattuto in molte parti d’Europa, è stanco, sa che la guerra è persa ma che si deve proseguire per garantire al Reich ancora qualche mese, o anno, di sopravvivenza. L’ultima lettera dei genitori risale a qualche settimana prima, ma chissà quando è stata scritta, i tempi di arrivo dalla Germania sono sempre più lunghi. Ernst attende il suo letto, e il caffelatte, e il profumo di fiori freschi. Perché la patria non è stata toccata, né dilaniata, i suoi superiori non fanno che rammentarglielo. Ernst parte, ma la ferrovia non arriva più al suo paese. Deve prendere l’omnibus, e poi a piedi. Quando arriva, non riconosce più la sua casa. È bruciata e crollata, così come quelle accanto, niente numeri civici, niente corpi familiari sotto le macerie, niente oggetti o segni della loro presenza. Ernst scava, e scava, poi si unisce alle lunghe file di chi cerca i dispersi, poi ancora cerca un alloggio, e qualcosa da mangiare. Ritrova persone del suo passato: Alfons, compagno di scuola diventato Kreisleiter delle SA; il suo sovversivo professore di religione, il signor Pohlmann, che aiuta gli ebrei a scappare; ed Elizabeth, che ricordava bambina, e la cui bellezza lo riconduce, inspiegabilmente, alla vita…
Questo romanzo ha una storia curiosa. Fu pubblicato a condizione di una pesante censura e stampato per intero solo nel 1989, quasi vent’anni dopo la morte dell’autore. Erich Maria Remarque è uno di quei nomi di cui fidarsi, quando si vuole studiare meglio gli anni della guerra. A scuola abbiamo letto tutti Niente di nuovo sul fronte occidentale, per intero o a stralci. Quel romanzo parlava della Prima guerra mondiale, questo della Seconda, ma non fa differenza […]
Tempo di vivere, tempo di morire, Mangialibri

Il libro che lo aveva imposto all’attenzione di pubblico, critica e classe politica, non solo in Germania, era stato “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, pubblicato nel 1929, una storia per nulla eroica di guerra di trincea, la storia di un disastroso plagio ideologico che aveva portato una generazione intera a farsi massacrare nel fango delle trincee belghe e francesi.
Non c’era più posto per lui in Germania.
Poi la storia si è ripetuta con Hitler e la sua guerra e questa volta il dramma del popolo tedesco è stato ancora più lacerante. Non era in gioco più solo una guerra perduta ma i valori fondanti dell’umanità. E Remarque, in questo nuovo romanzo bellico del 1954, si sceglie un fronte per certi aspetti simile a quello del suo protagonista di decenni prima per raccontarci quest’altra prova durissima del popolo che era stato il suo e ci mostra in Ernst Graeber un’altra rotella di un ingranaggio spaventoso. Ma lo fa con un’umanità e un realismo che insieme risultano al tempo stesso toccanti e inquietanti. Se non ha avuto l’impatto potente dell’altro, questo libro resta tra le massime espressioni della narrativa sulla seconda guerra mondiale e su un certo tipo di guerra in particolare. Perché questa guerra per il popolo tedesco non è stata come l’altra: in controluce la riflessione non era su una qualsiasi guerra perduta, ma sulla guerra della barbarie per eccellenza, combattuta però da uomini che non erano nella loro totalità mostri totalmente accecati da un odio pregiudiziale e ideologico, erano in molti casi solo, tragicamente, uomini, gli uomini angeli e bestie di un notissimo “pensiero” di Pascal.
La tecnica ormai consolidata permette a Remarque di ampliare l’arco della denunzia ma senza gonfiare i toni, di procedere verso l’assurdo con passo felpato.[…] Remarque costruisce con questi materiali “poveri”, senza alcuna retorica ideologica, nemmeno di stampo pacifista, la più dura requisitoria contro l’intrinseca mancanza di umanità del sistema nazista.
Siamo in Russia al momento della lenta ma inarrestabile ritirata tedesca. Ernst Graeber, che emerge lentamente dalle prime pagine come protagonista dal coro dei suoi commilitoni, aspira a una licenza, la ottiene e il suo è un viaggio nella sua città devastata, non riesce nemmeno a vedere i genitori sfollati, alla fine trova solo un biglietto. Il paese è ancora una caserma dove ognuno crede nell’impossibile. La rivolta di Ernst è in tono minore, fa amicizia con la figlia di un internato politico, la sposa, frequenta il suo ex professore di religione che nasconde un ebreo ed è sorvegliato dalla Gestapo. Remarque arricchisce la storia di numerosi, anche fugaci incontri, di riflessioni, la rende una sorta di viaggio iniziatico, condotto in sordina, sotto voce, verso una morte ugualmente in tono minore, ma proprio per questo carica di tanti, inconsueti e sconvolgenti significati. Perché Graeber muore per il sussulto d’odio di un nemico che non riesce più a considerare tale e la sua fine ci ricorda che l’odio esiste, che in guerra si può commettere un’atrocità pur stando dalla parte che nel complesso si direbbe quella giusta e si può mostrare umanità tra le file di quella che nel complesso si direbbe la parte sbagliata. E lo scambio dei ruoli è continuo. Perché nel drammatico confronto con la coscienza individuale gli schieramenti contano poco e l’uomo ha sempre la possibilità, in una data e irripetibile circostanza, di fare la scelta giusta, la scelta della sua realizzazione etica, anche se avrà sulla sua singola vita un effetto fatale e non cambierà le sorti del mondo. Ha sempre la drammatica scelta della testimonianza. Ed è sul progressivo affermarsi di questa idea nella mente di Ernst che Remarque costruisce tutto il suo romanzo.
Restano nella memoria e nella coscienza le sue parole al suo ex professore, la più straziante testimonianza del dramma di una generazione:
“Fino a che punto divento complice quando so che la guerra è perduta ma che dobbiamo perderla perché cessino la schiavitù e la strage, i campi di concentramento, le S.S e il Servizio di Sicurezza, le uccisioni in massa e la mancanza di umanità; quando so tutte queste cose e fra due settimane torno a combattere in favore di esse?”
È la domanda alla quale da Norimberga in poi non siamo ancora riusciti a dare una risposta univoca. E dov’è la risposta? Ma solo per essersi posto questa domanda e averla vissuta fino alle estreme conseguenze, Ernst emerge come un uomo nella massa. Anche la sua morte, paradossale e senza senso, sarà il segno che è morto da uomo, facendosi carico, lui, piccolo soldato semplice, ultima rotella di un mostruoso ingranaggio, delle contraddizioni della sua epoca e di una guerra che all’inizio era stata anche la sua.
L’Autore
Erich Maria Remarque, pseudonimo di Erich Paul Remark, è stato uno scrittore tedesco, nato a Onasbruck nel 1898 e morto a Locarno nel 1970.
Partecipa alla prima guerra mondiale e ne porta nell’animo profonde devastazioni che non lo abbandoneranno mai e da questa esperienza nasce il suo primo romanzo, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, del 1929, che nello stile asciutto e franto e nella disamina impietosa della violenza ideologica inflitta a una generazione non solo segnerà un’epoca ma avrà toni premonitori. Al dramma della guerra, visto questa volta dalla parte dei reduci, dedicherà anche il romanzo seguente “La via del ritorno”, del 1931, che avrà minor successo. La sua rappresentazione impietosa della guerra e delle condizioni di quella che sarebbe dovuto essere nell’immagine della propaganda, la gloriosa gioventù tedesca, gli scateneranno contro una campagna d’odio che già nel 1932 lo costringe a lasciare la Germania. Sarà esule in Svizzzera e dal 1939 cittadino statunitense. Il nazismo sarà d’ora in poi oggetto della sua tormentata e lacerante riflessione. Nascono così “Ama il prossimo tuo”, del 1941, “Arco di trionfo”, del 1945, e “Tempo di vivere, tempo di morire”, del 1954, il suo libro, sempre in chiave antieroica e con prospettiva dal basso, sulla sporca guerra di Hitler sul fronte orientale e sul dramma del cittadino-soldato tedesco nello stato totalitario nazista. Tra gli ultimi romanzi di Remarque, va ricordato “La notte di Lisbona”, del 1963, ancora legato alla seconda guerra mondiale.
Stabilitosi definitivamente in Svizzera, morirà in una clinica di Locarno, stroncato da un infarto, nel 1972.
Tempo di vivere, tempo di morire, Oltre il Chiostro