Madri cattive e vocazioni letterarie. Moravia e Soldati sulla spiaggia di Viareggio

Siamo giunti in moto retrogrado dall’esordio letterario del 1929, ad orbitare sempre più vicini a un episodio dell’infanzia – o se vogliamo della prima adolescenza -, che riguarda Moravia e Soldati. Episodio che alla luce del cammino sin ora percorso spalanca significanze particolarmente interessanti e diventa così una chiave importante nel mazzo dell’interpretazione dell’opera dei due scrittori. Moravia e Soldati a Viareggio, l’episodio è noto, perché in più testimonianze entrambi lo ricordano, ed è altresì ripreso dalla critica. Se si confrontano i racconti di entrambi gli scrittori, emergono delle discrepanze interessanti, soprattutto là dove l’azione del rimosso nel ricordare agisce sugli eventi. E qui è Moravia che rimuove, riformula, sposta, come suo solito, brandelli di vita.
Nella Galleria degli scrittori dedicata a Soldati su «La Fiera Letteraria» del 28 novembre 1958 Moravia scriveva: “Conosco Mario Soldati forse da più tempo che qualsiasi altra persona. Nel 1918 sulla spiaggia di Viareggio, c’era un ombrellone rosso con la greca bianca, e vi sedeva una signora che aveva presso di se un bambino della mia età. Questo bambino mi era additato come modello: egli aveva salvato un altro bambino che stava affogando nelle acque del Po, a Torino. Questo bambino eroico era Mario Soldati”. <254
Soldati corregge poi il ricordo di Moravia nell’intervista di Ajello su «L’Espresso» del 18 dicembre 1977, precisando che il bambino che stava affogando nelle acque del Po, lo aveva salvato anni più tardi del 1918: “No, quello fu un po’ più tardi […] Moravia ha confuso un po’ le date. Dunque a Viareggio, io avevo tra gli undici e i quattordici anni; Moravia, che allora si chiamava Pincherle, uno di meno […] Era scontroso, un po’triste. Ma forse ciò va attribuito al fatto che sua madre era una rompiscatole, come del resto la mia […] La signora Pincherle si serviva di me. «Guarda Mario, guarda quanto è bravo!» Lui mi guardava, ma in cagnesco”. <255
Questo lapsus moraviano, non sfugge alla critica migliore. Nel saggio dal titolo “Due bambini sulla spiaggia. Moravia e Soldati”, Raffale Manica riprende l’episodio, evidenziandone la valenza epistemologica: “Più di quanto non si creda, non si tratta di un semplice aneddoto. I due bambini sulla spiaggia tessono categorie che saranno buone per il futuro e oscilleranno tra invidia e ammirazione. Diventeranno, appena un po’ mutate, categorie di giudizio. Rammentato come la passione per i teatrini fosse anche del solitario bambino Alberto, si dica, per onor di cronaca che sull’episodio del bambino salvato ha ragione Soldati; dunque Moravia lo guardava in cagnesco per altri motivi”. <256
Manica ci fornisce degli indizi importanti, innanzitutto sottolineando «come la passione per i teatrini fosse anche del solitario bambino Alberto», e in secondo luogo, riportando la prova sull’esattezza cronologia del racconto di Soldati. Il documento dirimente è l’articolo “Piccoli eroi. Un salvataggio nel Po”, uscito su «La Domenica del Corriere», nell’aprile del 1922. La cronaca dell’episodio restituisce aderenza cronologica alla testimonianza dello scrittore torinese: “Il nipote del cardinale Richelmy, arcivescovo di Torino, trovandosi a fare del canottaggio sul Po, ebbe ad un tratto la barca capovolta. Sarebbe certamente perito se, con grande suo rischio, non l’avesse tratto in salvo, a nuoto, il quindicenne Mario Soldati, studente di seconda liceo, il quale pure si trovava in una barchetta. Il cardinale arcivescovo ha scritto al Soldati una lettera di ringraziamento per il suo atto generoso”. <257
Il sospetto che «Moravia lo guardava in cagnesco per altri motivi» che introduce Manica è dunque fondato: Soldati, quando conosce Moravia sulla spiaggia di Viareggio, non era ancora il piccolo eroe che ha salvato un bambino dall’annegamento.
Ma prima di dar conto degli «altri motivi» che ci siamo figurati, ricostruiamo cronologicamente le vicende secondo le testimonianze che abbiamo. Dall’attenta ricostruzione biografica di Simone Casini, sappiamo che la famiglia Pincherle passò a Viareggio tutte le estati dal 1917 al 1921 <258, dunque Moravia vi trascorse le estati dai 9 ai 13 anni. Estati che il piccolo Alberto viveva mal volentieri sulle spiagge del nord Toscano. Nelle lettere alla zia Amelia Rosselli, infatti, più volte Moravia esprime il sentimento di noia e avversione legato alle villeggiature estive viareggine: «Mamma à deciso d’andare a Viareggio ma io mi ci oppongo sempre non avendo voglia di fare una seconda edizione dell’altr’anno» <259; «Io quest’anno mi sono molto annoiato a Viareggio, il stando tutto il giorno inchiodato sopra una sedia o a leggere o a scrivere un libro di mia invenzione con miei disegni» <260; «L’idea d’andare a Viareggio non mi sorride punto perché là probabilmente mi annoierò assai di più, e a ciò aggiungasi l’ingessatura e l’ingrato di quel malaugurato anno [cass.] estate che passai l’altr’anno» <261. Sentimento di fastidio espresso anche anni più tardi in “Sanatorio”, in cui addirittura la noia e la sofferenza provata a Viareggio è ricordata come peggiore rispetto al periodo di degenza al Codivilla: “Tra queste difficoltà sento spesso un gran desiderio di averti vicina, di star con te; ma purtroppo parecchi buoni chilometri di ferrovia ci separano; del resto ora non soffro meno o più di quel che ho sofferto altre volte, a Viareggio ad esempio, dove per tre mesi d’estate restai quasi sempre solo, in una di quelle odiose case che i villeggianti non usano che per dormire: avevo allora 11 anni e m’annoiavo terribilmente, seduto sopra una sedia, nel vestibolo; tutta la mia famiglia se ne stava di giorno sulla spiaggia, ai bagni; restava in casa la cuoca, donna grassa e sudicia, la quale riceveva periodicamente il suo fidanzato o amante che dir si voglia; li udivo a volte abbracciarsi in cucina fra le rumorose proteste delle cazzeruole di rame”. <262
Se dunque l’incontro a Viareggio tra Moravia e Soldati era avvenuto quando il primo aveva tra i 9 e 13 anni, tra il 1917 e il 1921, il secondo di conseguenza ne aveva tra i 10 e i 14. Dunque Soldati ricorda bene affermando che lui a Viareggio aveva «tra gli undici e i quattordici anni» <263. Anche perché verosimilmente le estati che trascorre Soldati a Viareggio iniziano da quella del ’18 e non da quella del ’17. Anche in “Rami secchi” infatti Soldati, nel collocare cronologicamente il suo incontro con Moravia a Viareggio lo fa oscillare tra il 1919 o il 1920: “Avevo conosciuto Moravia sulla spiaggia di Viareggio, un agosto o un settembre, del 1919 o del 1920, quando lui non si chiamava ancora Moravia, e io sapevo soltanto che il suo nome era Alberto, e lo chiamavo Alberto senza preoccuparmi di conoscere il cognome. Eravamo ragazzini: lui dodici anni, io tredici; oppure lui tredici e quattordici io. Ma come avrei mai potuto, in quel tipo magro, pallido, serio, diffidente, di poche parole, prevedere un futuro scrittore?” <264
Successivamente al 1920 non c’è possibilità che Moravia e Soldati si incontrassero a Viareggio, per la famiglia Soldati infatti le villeggiature estive a Viareggio diventarono un lusso: “Improvvisamente dopo quattro estati a Viareggio, per fare economia, andammo a villeggiare a Chiavari. Non c’era sabbia, c’erano ciottoli. Eravamo circondati da piccole famiglie borghesi di Genova, qualche pensionato. Mio padre aveva avuto un tracollo, era fallito”. <265 Il tracollo finanziario di Umberto Soldati, padre di Mario, è legato a quello della Banca di Sconto nel 1921, come lo stesso Soldati racconta a Lajolo <266. D’altra parte, Moravia andrà a Viareggio sino al ’22.
Il giorno in cui esce l’articolo di Moravia, che abbiamo ricordato in apertura, su «La Fiera Letteraria» nelle pagine dedicate a Soldati, Moravia aveva esattamente 51 anni. Dico esattamente perché nel curioso gioco delle coincidenze, il pezzo usciva proprio il giorno del suo cinquantunesimo compleanno il 28 novembre. Ma al di là di questa coincidenza ci serve rammentare l’età anagrafica di Moravia per meglio considerare il fatto che l’alterazione del ricordo non è causata certo da un difetto senile di memoria (in ogni caso Moravia anche in età più avanzata manterrà sempre una lucidità disarmante) ma appunto da altri meccanismi. Il ricordo così costruito nel ’58 sarà ripreso infatti pari pari in interviste molto più tarde. In linea con quell’esser così fedele a se stesso di Moravia non solo nelle opere ma anche in ciò che è la sua biografia. Ripreso uguale come quando si ripete una bugia ben imparata. Certo Moravia non mentiva, non ne avrebbe avuto interesse, si tratta piuttosto di ricostruzione nel ricordo della realtà: un falso ricordo da manuale di psicologia insomma. Dovuto da una disposizione naturale di Moravia a «costruire, ad architettare» <267, che egli stesso si attribuiva: “Sono poco sincero insomma. […] quel che si nasconde non sono i fatti, quanto i meccanismi dei fatti. Quel che è segreto sono i modi in cui i fatti, dentro di noi, si sono articolati, strutturati, si sono connessi tra loro”. <268
Forse però possiamo almeno ipotizzare i meccanismi segreti che hanno portato Moravia alla creazione di questo particolare falso ricordo dell’eroico bambino Soldati. Falso ricordo riportato anche nel volume a cura di Dacia Maraini del 1986:
“D. E cosa ti ricordi del bambino Soldati?
A. C’era una tenda rossa sulla spiaggia di Viareggio. Sotto l’ombrellone c’era una signora e vicino a lei un bambino. Ecco quello era il bambino Soldati. Dicevano che avesse salvato un ragazzino dal Po. Mia madre mi diceva che era molto
bravo e buono. Me lo portava ad esempio.
D. Com’era fisicamente?
A. Non me lo ricordo. Ricordo solo quella frase e l’ombrellone rosso con le guarnizioni bianche»”. <269
E nuovamente riportato anche nel libro intervista con Elkann uscito nel 1990. “Tu eri amico di Soldati fin da bambino? La nostra amicizia è cominciata al mare, a Viareggio, dove ambedue ci trovammo per le vacanze estive. Mia madre mi diceva sempre che il bambino Soldati aveva salvato un coetaneo dal Po e aveva avuto una medaglia al valor civile”. <270
Per la memoria di Moravia dunque il ricordo di Viareggio è indissolubilmente legato all’atto eroico di Soldati che salva il bambino dal Po. Ma su quella spiaggia, l’abbiamo accertato, Soldati non era ancora quel bambino. È però presumibile che Gina de Marsanich, la madre di Moravia, su quella spiaggia, abbia comunque lodato le doti del bambino Soldati, svalutando al contempo il figlio, e Soldati lo ricorderà infatti come abbiamo già citato ma riportiamo nuovamente: “Era scontroso, un po’ triste. Ma ciò va attribuito al fatto che sua madre era una rompiscatole come del resto la mia. […] La signora Pincherle si serviva di me. «Guarda Mario, quanto è bravo!» Lui mi guardava ma in cagnesco”. <271 Ed è anche possibile supporre che la madre di Moravia, dall’aprile del ’22, ossia quando effettivamente Soldati salvò il piccolo Richelmy, ricorderà più volte ad Alberto, in occasioni che possiamo solo immaginare, dedotte dall’avverbio «sempre» usato da Moravia nella citazione precedente, quell’episodio di eroismo del giovanissimo Mario.
Eroismo che è tanto più simbolico e significativo, considerato lo stato precario di salute e malattia del giovane Moravia. Al quale veniva contrapposto dalla madre un modello di sanità fisica culminato in gesto eroico ma al contempo atletico. Una salute, insomma, quella del bambino Soldati, opposta alla fisicità difettevole del bambino Moravia. Viareggio è dunque motivo di non poca sofferenza per Moravia, tanto che il disprezzo della madre nei confronti del figlio è sempre legato a quella spiaggia e ad una frase terribile di Gina de Marsanich: “Ricordo che, dopo la prima volta che mi ammalai, zoppicavo molto, e lei, snervata, un giorno mi disse: “Stai zitto, sciancato!” È avvenuto sulla spiaggia a Viareggio”. <272 Il ricordo della madre che lo appella dispregiativamente “sciancato”, è connesso dunque a Viareggio. Ed è una ferita che Moravia porta vivida nel ricordo sino in vecchiaia, come diranno sia Elkann: “Lui era rimasto scioccato per sempre quando, sulla spiaggia di Viareggio, sua madre (lui era ragazzino e da poco convalescente della tubercolosi ossea), gli aveva detto: “Spostati sciancato”. Quelle parole gli facevano ancora male a 80 anni”. <273
“quando sua madre gli disse sulla spiaggia di Forte dei Marmi: “Spostati sciancato” lo ha mortificato per sempre, gli è rimasta una ferita aperta”. <274 Che Carmen Lleira: «la madre, una borghese di straordinaria eleganza, lo chiamava “lo sciancato”. E lui ne soffriva molto» <275.
Ecco che se effettivamente Soldati in quelle estati a Viareggio con Moravia non era ancora il bambino-eroe del ’22, fungeva comunque da contraltare per la madre di Moravia, così diverso Mario dal figlio malato ed introverso, che gli occhi del bambino Alberto guardavano probabilmente con invidia, frustrazione per la sua condizione e forse anche disprezzo.
Prima di avanzare un’ipotesi finale sui meccanismi che hanno portato alla costruzione di quel falso ricordo, aggiungiamo un ultimo elemento legato alla malattia di Moravia. La diagnosi di tubercolosi ossea all’anca, avvenne infatti successivamente ad una caduta di Moravia in via Po. Episodio drammatico e senz’altro traumatico per il bambino Alberto e per l’adulto poi nel ricordo: “[…] una volta tornando da scuola, caddi in via Po e non potei più alzarmi. Venne la cuoca a prendermi: mi prese in braccio, e in braccio mi portò fino a casa”. <276
A questo punto ci suona nella testa quella che sembra una macabra filastrocca: Soldati salvò un bambino caduto nel Po, Moravia tornando da scuola cadde in via Po. Chissà che nell’inconscio del Moravia adulto non si siano uniti questi aneddoti formando un rimosso che risuona proprio così: “Soldati, eroico, sano, forte, ha tratto in salvo un ragazzino dal Po, invece io, sciancato, e malato, in via Po sono caduto senza riuscire ad alzarmi”.
C’è anche un altro episodio legato al destino dei due narratori connesso a Viareggio e ad un particolare oggetto: il teatro di marionette. Per Soldati, infatti, la grande considerazione della madre di Moravia nei suoi confronti, veniva a Gina de Marsanich dall’abilità del figlio di Barbara Bargilli nel muovere i fili dei suoi burattini, lasciando tutta la spiaggia incantata: “Comunque, in quegli anni di Viareggio, io non avevo salvato nessuno dalle acque. La signora Pincherle mi considerava un mostro di bravura perché facevo un teatro di burattini sulla spiaggia”. <277
Possiamo vederli, attraverso le parole di Soldati, Alberto e Mario, seduti entrambi sulla sabbia, “e in mezzo a tanti altri ragazzini più o meno della nostra età, si chiacchierava all’ombra di una cabina dopo che io avevo dato, a tutti, uno spettacolo di marionette”. <278 Soldati ricorda infatti che su quella spiaggia aveva allestito uno spettacolo – confermando la presenza del suo carattere istrionico già dall’infanzia – trasformando, con tende e asciugamani appesi davanti e ai lati, il terrazzo della sua cabina in un palcoscenico. Tra i bambini seduti sulla sabbia a gambe incrociate che assistevano allo spettacolo c’era anche Moravia, che, come ricorda Soldati, probabilmente non si divertiva particolarmente: “Oh, non credo che Alberto si ricordi, è molto probabile che le mie farse non lo divertissero, doveva essere molto più precoce di me e di tutti gli altri che ridevano senza tregua e applaudivano ogni volta con entusiasmo. Ma Alberto… Alberto, due o tre anni dopo, leggeva di già Dostoevskij!” <279
La cosa interessante è che questa vocazione teatrale è anche di Moravia bambino. Alberto si era fatto regalare dalla madre un teatro di marionette, ed è possibile che ciò sia avvenuto dopo aver visto le esibizioni di Soldati a Viareggio. Tuttavia, come ricorda la sorella Adriana, le rappresentazioni di Moravia, finivano – diversamente da quelle di Soldati, che erano accolte tra risate ed applausi – con un improvviso attacco isterico del regista, che devastava le sue stesse rappresentazioni, per un’oscura insufficienza, non si sa, se delle finzioni o della realtà stessa: “Quando era in casa, che era malato che stava a letto, cercava, naturalmente oltre ai libri, di avere altri passatempi. Una volta mi ricordo che volle avere da mia madre un teatro, e mia madre gli comprò un grande teatro di legno con tutte le quinte, tutti i pupazzi, re e regine come si usavano allora in questi teatri, e lui dipingeva una scena, spesse volte la stessa, grande dove c’è una specie di enorme sala con colonnate a volte che diventavano sempre più piccole, tutte queste volte e queste colonne, per cui dava l’impressione di una grande vastità, di una sala immensa. E poi comincia lo spettacolo, con i pochi spettatori che eravamo io, forse mia sorella, forse un amico, un’amica eccetera, e lui cominciava a raccontare una storia molto fantastica che però a un certo punto o per stanchezza sua o perché poteva vedere forse non sufficiente interesse pubblico, interrompeva, buttava per aria, tutto il teatro finiva per terra e lo spettacolo finiva così”. <280
L’aneddoto di Viareggio, ci rivela dunque una vocazione letteraria affine di Moravia e Soldati. Vocazione che prendeva forma sotto lo sguardo, a tratti terribile, delle rispettive madri.
[NOTE]

  1. A. Moravia, Un bambino della mia età in Galleria degli scrittori italiani [rubrica]. Mario Soldati, «La Fiera letteraria», 28 novembre 1954, p. 3.
  2. M. Soldati in N. Ajello, Dialogo sulla vecchiaia, «L’Espresso», 18 dicembre 1977, p. 89.
  3. R. Manica, Due bambini sulla spiaggia. Moravia e Soldati, in AA. VV., Alberto Moravia e gli amici, atti del convegno (Sabaudia, 30 novembre 2010), introduzione e cura di A. Fàvaro, numero speciale di Sinestesie, I, 3, settembre 2011, p. 36.
  4. Piccoli eroi. Un salvataggio nel Po, «La Domenica del Corriere», 2-9 aprile 1922.
  5. Nell’edizione delle Lettere ad Amelia Rosselli curata da Simone Casini si legge in nota: «Viareggio: “a Viareggio siamo andati per la prima volta quando avevo nove anni, era dunque il 1917” (Moravia 1990, p. 13). I Pincherle vi trascorsero poi tutte le estati dal 1918 al 1921. “Quando andavamo a Viareggio affittavamo una casa che si chiamava Villino Carovigno. Era una specie di castelletto rosso” (Moravia 1986, p. 63). La solitudine delle villeggiature viareggine è un tema ricorrente nelle lettere alla zia e ha riscontri in testimonianze di Nello Rosselli (vd. Introduzione) e, com’è noto, nel romanzo Agostino (1945)», S. Casini in A. Moravia, Lettere ad Amelia Rosselli, cit., p. 138, nota 4.
  6. A. Moravia, Lettera ad Amelia Rosselli [Roma, 15 aprile 1920], in ivi, pp. 138-139.
  7. A. Moravia, Lettera ad Amelia Rosselli [Roma, 28 dicembre 1920], in ivi, p. 141.
  8. A. Moravia, Lettera ad Amelia Rosselli [Roma, 17 maggio 1921], in ivi, pp. 144-145
  9. A. Moravia, Lettera ad Amelia Rosselli [Cortina d’Ampezzo, 25 marzo 1925], in ivi, p. 222.
  10. M. Soldati in N. Ajello, Dialogo sulla vecchiaia, cit., p. 89.
  11. M. Soldati, Rami secchi, Rizzoli, Milano 1990, p. 50.
  12. M. Soldati in N. Ajello, Dialogo sulla vecchiaia, cit., p. 90.
  13. «Ti ho detto prima che mio padre era un uomo d’affari, e a un certo momento aveva fatto molti quattrini, le cose gli erano andate bene. Ma purtroppo la ricchezza è rimasta la provvida condizione di quando ero ragazzo, fra i 10 e 15 anni, un’età importante quella, perché forma tutta la vita. Allora si faceva un tipo di vita molto agiato: grandi alberghi, mare, montagna, Viareggio… Ma poi c’è stato il crollo della Banca di Sconto. Tu ne hai sentito parlare? Era tempo di crisi, crisi enorme, banche che fallivano: nei primi mesi del ’21 falliva proprio la Banca di Sconto, e mio padre ha perso tutto», M. Soldati, in D. Lajolo, Conversazione in una stanza chiusa con Mario Soldati, cit., pp. 95-96.
  14. A. Moravia in E. Siciliano, A. Moravia, Vita, parole e idee di un romanziere, Bompiani, Milano 1982, p. 24.
  15. Ibidem.
  16. D. Maraini, Il bambino Alberto, cit., pp. 11-12.
  17. A. Moravia, A. Elkann, Vita di Moravia, Bompiani, Milano 1990, 2007, p. 127.
  18. M. Soldati in N. Ajello, Dialogo sulla vecchiaia, cit., p. 90.
  19. A. Moravia, A. Elkann, Vita di Moravia, cit., p. 18.
  20. A. Elkann, Introduzione, in A. Moravia, A. Elkann, Vita di Moravia, cit., p. III.
  21. A. Elkann, in M. Corbi, Alain Elkann: la voce di Moravia che mi racconta la sua vita ora si può ascoltare a Harvard, «La Stampa», 9 agosto 2018.
  22. C. Llera in S. Fiori, Carmen Llera: “Per Moravia sposarmi fu un atto di coraggio”, «Repubblica», 20 luglio 2015.
  23. A. Moravia in E. Siciliano, A. Moravia, Vita, parole e idee di un romanziere, cit., p. 30.
  24. M. Soldati in N. Ajello, Dialogo sulla vecchiaia, cit., p. 90.
  25. M. Soldati, Rami secchi, cit., p. 50.
  26. Ivi, p. 51.
    280 Adriana Pincherle, in Settimo giorno, cit.
    Federico Piras, La donna che guarda. Studio alle radici della narrativa di Alberto Moravia e Mario Soldati, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Sassari, Anno accademico 2020-2021