Il primo governo di centro-sinistra vede infatti la luce solo nel dicembre del 1963

Come noto, dopo la fine della seconda guerra mondiale – che segna una cesura storica di portata planetaria – in Italia si apre una stagione di grande cambiamento. Crollato il regime fascista, riprende la vita democratica; nel volgere di pochi anni, l’Italia diviene una Repubblica e si dà una nuova Costituzione. I protagonisti assoluti di questa nuova stagione sono i partiti politici, che avevano partecipato alla Resistenza riunendosi nel Comitato di Liberazione Nazionale (Cln). Dopo i primi anni – durante i quali, nei governi che si susseguono alla guida del paese, sono rappresentati tutti i partiti del Cln – l’unità del fronte antifascista si spezza. Nel 1947 i comunisti e i socialisti sono estromessi dal governo e, a seguito delle elezioni politiche del 1948, inizia la stagione del cosiddetto centrismo, cioè una fase politica caratterizzata dalla solida egemonia della Democrazia cristiana, la quale si pone – appunto – al centro dello schieramento politico e guida il paese unitamente al Partito Liberale, al Partito Socialdemocratico e al Partito Repubblicano.
A partire dalla seconda legislatura, che inizia nel 1953, la formula politica centrista va incontro ad un progressivo logoramento, originato dall’indebolimento della forza elettorale del partito cattolico e dalla conseguente dilatazione dello spazio politico all’interno della maggioranza, dove la Dc non riesce più ad esercitare, come in precedenza, la propria leadership incontrastata. Con la terza legislatura, che inizia nel 1958, si apre così una stagione nella quale, attraverso una lenta ed avversata transizione, si realizza – auspici il segretario democristiano Aldo Moro e il segretario socialista Pietro Nenni – un accordo tra Dc e Psi per una nuova formula di governo. Prende così vita a un’altra maggioranza, nella quale – oltre a Dc, Psdi e Pri – trova posto il Partito Socialista a scapito del Partito liberale. Ma il processo è molto lento e difficoltoso: il primo governo di centro-sinistra vede infatti la luce solo nel dicembre del 1963. Lasciata la segreteria del partito, Aldo Moro, architetto e garante dell’operazione politica, è posto alla guida del nuovo esecutivo.
Nel frattempo, durante questa lunga transizione politica, la vita del paese è contrassegnata da una crescente espansione economica, che, iniziata al principio degli anni Cinquanta, raggiunge nel quinquennio ’58-’63 proporzioni decisamente ragguardevoli. Questa galoppante espansione, subito definita boom economico, porta con sé, inevitabilmente, una serie di importanti cambiamenti anche sul piano economico, culturale e sociale.
La nuova formula politica del centro-sinistra nasce proprio con l’intento di dare una risposta, mettendo mano alle riforme necessarie, ai crescenti bisogni del paese in trasformazione. Ma – al di là delle dichiarazioni di intenti – diverse sono le sfumature possibili del riformismo da attuare, e molto differenziate sono le posizioni all’interno della nuova maggioranza.
Così, la formula del centro-sinistra si avvia ad una esistenza faticosa, segnata da momenti anche piuttosto difficili, uno dei quali è sicuramente la lunga crisi di governo del giugno-luglio 1964, pesantemente condizionata dal rischio che un piano segreto di colpo di Stato – il piano Solo, progettato dal comandante dei carabinieri, generale De Lorenzo – sia posto in atto.
Quali che fossero le reali possibilità di attuazione del piano Solo, è ormai maturata tra gli studiosi la convinzione che la minaccia abbia agito come strumento di pressione per frenare lo slancio riformatore che la coalizione di centro-sinistra aveva sin lì espresso. L’obiettivo viene sostanzialmente raggiunto. Complice la sfavorevole congiuntura economica, che fornisce argomentazioni alla parte moderata della compagine di governo per giustificare il rinvio delle riforme più incisive, il secondo governo Moro, che riesce a formarsi verso la fine di luglio dopo estenuanti mediazioni, scongiura di fatto il pericolo di golpe ma dà pure inizio ad una nuova fase della vita politica italiana, contrassegnata da un drastico ridimensionamento dei propositi rinnovatori della coalizione di centro-sinistra.
Ciononostante, sempre sotto la guida di Moro, la nuova formula politica conduce il paese, in una sostanziale inerzia, fino al termine della IV legislatura, e cioè al 1968. Si giunge così ad un passaggio molto importante per la storia d’Italia. Il biennio 1968-69, infatti, origina una serie di fenomeni che avranno effetti anche negli anni successivi.
Innanzitutto esplode la cosiddetta contestazione giovanile, che assume vastissime proporzioni e dà luogo ad un collegamento generazionale e transnazionale di indubbia rilevanza, aprendo una fase di aspre rivendicazioni. Le richieste di riforme e di cambiamento divengono tutt’uno con la polemica contro la società – considerata rigida, non inclusiva, ingiusta – mentre le istanze dei movimenti di «azione collettiva» si scontrano con un «sistema politico-istituzionale inadeguato ed incapace di rispondere alle pressanti domande poste dal protagonismo sociale». <2
In effetti però, il Sessantotto, pur tra i contrasti che porta con sé, avvia anche una stagione di ottimismo: i giovani, infatti, nonostante l’aspra critica verso la società contemporanea sono sostanzialmente fiduciosi nel futuro e nutrono concrete speranze di realizzare un mondo migliore. Parallelamente, si acuiscono le tensioni sociali. In tutta Europa il periodo ‘68-‘70 è segnato da violente conflittualità sindacali che sono, in generale, un riflesso delle politiche deflazionistiche praticate dalle autorità monetarie e dai governi negli anni precedenti. In Italia i conflitti sindacali sono particolarmente intensi e la tensione sociale cresce soprattutto nell’autunno «caldo» del 1969. Il 19 novembre 1969, durante le manifestazioni organizzate in occasione di uno sciopero generale per le riforme, avvengono degli incidenti nel corso dei quali muore, a Milano, l’agente di polizia Antonio Annarumma. La tensione sale alle stelle quando alcuni giorni dopo, il 12 dicembre, in Piazza Fontana, sempre a Milano, un attentato alla Banca nazionale dell’agricoltura causa la morte di 17 persone.
Dopo la strage, in una situazione drammatica, il 21 dicembre viene firmato l’accordo per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, ponendo fine ad una lunga vertenza sindacale. Il movimento operaio nel suo insieme accresce progressivamente la propria importanza ed il proprio peso, ottenendo, nel 1970, l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, una legge di regolamentazione dei rapporti di lavoro considerata una conquista della «classe lavoratrice».
La vicenda sindacale dell’autunno ‘69 dà impulso al processo di formazione dei movimenti collettivi. Dalle ceneri del Sessantotto nascono nuove formazioni politiche, molte delle quali (definite «extraparlamentari») sprovviste di rappresentanza istituzionale e contrassegnate da una accentuata radicalità ideologica. Tra di esse si origina la convinzione che i sindacati siano sostanzialmente orientati al contenimento dei conflitti: per questo motivo tali formazioni cominciano ad agire, al contrario, per mantenere vivi i focolai di scontro sociale. Vi è l’idea, di derivazione leninista, che senza la guida di un’avanguardia rivoluzionaria la «classe operaia» sia destinata a confluire verso la socialdemocrazia. Anche per questo, i gruppi, riuscendo ad avere sul movimento operaio una influenza solo marginale attraverso i normali canali organizzativi, si indirizzano verso l’uso della violenza politica, puntando a intercettare anche altri segmenti sociali emarginati (studenti, disoccupati, senza casa e così via).
A cavallo dei due decenni, la società italiana si presenta sempre più complessa e articolata. Nel paese sono in atto mutamenti rilevanti soprattutto sul piano della cultura e del costume, dove l’onda lunga della grande trasformazione indotta dall’espansione economica del decennio precedente comincia a far sentire i suoi effetti. Il 1° dicembre 1970 viene approvata la legge n. 898 che introduce la possibilità del divorzio; le famiglie hanno un numero sempre minore di figli e il miglioramento della sopravvivenza determina un tendenziale invecchiamento della popolazione; tra le donne aumenta la scolarizzazione e l’impegno nel mondo del lavoro, mentre si costruisce una nuova identità di genere; prende parallelamente corpo il movimento femminista, che rivendica per le donne parità di diritti e di opportunità rispetto agli uomini, anche se – nel contempo – tende pure a presentarsi come corpo separato rispetto a una società nella quale non si riconosce.
[NOTE]
2 Le radici della crisi. L’Italia tra gli anni Sessanta e Settanta, a cura di Luca Baldissara, Carocci, Roma, 2001, pag. 27.
Sebastiano Giordani, La base e il vertice. Uno studio sul Pci in Emilia-Romagna negli anni del compromesso storico (1972-1979), Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2013