Forse è la volta buona che la scrivono, alcuni miei amici ed altre persone, la storia di Via Regina a Ventimiglia (IM). Se ho ben capito, da intendersi come una sorta di storia del costume di tanti anni del secondo dopoguerra di quella zona situata poco a levante del centro città. Sono già state, infatti, raccolte diverse specifiche fotografie, alcune delle quali mi sono state ritrasmesse da Bruno Calatroni.
Ancora adesso qualcuno chiama, infatti, Via Dante con il nome di Via Regina. Una pratica molto diffusa anni orsono, derivante dalla pregressa intitolazione precedente l’ultimo conflitto.
Il primo a parlarmi di questa intenzione è stato, per paradosso, un amico di Parma, dove si era trasferito ancora ragazzo, un amico che si sente sempre appartenente a “Via Regina”. Come tanti altri.
Aggiungo che tra gli “addetti ai lavori” per “Via Regina” si intende comunemente un territorio, composto da fasce variabili a levante e ponente della detta arteria, la quale, sempre in questa accezione, nelle altre direzioni risulta chiusa da una parte da Corso Genova (o Via Aurelia) e dalla soprastante ferrovia e dall’altra dalla passeggiata a mare.
Specificato in questo modo l’oggetto del desiderio, posso aggiungere che io non ho mai abitato da quelle parti, ma che vi hanno dimorato abbastanza a lungo sia i nonni paterni che lo zio con la sua famiglia. Il che comporta per me un primo motivo per cui io possa avere interessi particolari. In effetti, mi capita ancora adesso di sentire, con mia intima soddisfazione, persone, legate al posto, che mi raccontano in maniera pertinente qualcosa dei miei cari, soprattutto del nonno e dello zio, talora anche di mio padre.
Rammento in modo nitido le ormai scomparse campagne, talune visibili nelle immagini raccolte da Bruno. E non solo perché le guardavo per recarmi con la classe, di cui sto per dire, con la sorveglianza (talora svogliata!) di un bidello alla palestra di Via Chiappori per le lezioni mattutine di educazione fisica.
La scuola media inferiore che ho frequentato era, per l’appunto, ubicata nella palazzina della Croce Rossa di Via Dante. Già al secondo anno un bar, appena rilevato dalla famiglia di un compagno, era sovente di pomeriggio nelle buone stagioni un punto di ritrovo. Al prezzo (avrei potuto anche soffermarmici gratuitamente, ma i miei per educazione non me lo permettevano) di un semplice ghiacciolo o di un similare, gustoso, ancora più buono gelato, una cui fattispecie solo in queste settimane ho ritrovato per caso, non solo passavo il tempo libero, ma arricchivo le mie, per così dire, relazioni sociali in loco. Che si aggiungevano a quelle pregresse, non solo di vicini dei nonni e dello zio, ma anche di compagni delle elementari a Nervia. A questo ultimo riguardo mi sembra d’improvviso di rivedere il colore blu particolare della carta da zucchero che avvolgeva la copia di “I misteri della Giungla Nera” di Emilio Salgàri in edizione integrale che il padre di S., conscio delle mie passioni, mi consegnò in lettura quando avevo otto anni o giù di lì: un’esperienza per me indimenticabile!
In zona sino alla fine degli anni ’60, prima della lunga interruzione per motivi economici dell’evento, c’erano, se non sbaglio, almeno due capannoni di due distinte compagnie per la realizzazione di carri per la tradizionale Battaglia di Fiori. Uno di questi era praticamente sotto le finestre dello zio. E dei carri di quest’ultima compagnia, per combinazione, proprio di recente S. mi raccontava con intatta meraviglia di quando era ancora bambina.
Altri, in particolare C. di Parma, mi hanno parlato di un rimediato campo di calcio, teatro di interminabili partite e, per qualcuno, banco di prova per passare a qualche squadra giovanile ufficiale, un terreno incolto, abbastanza vicino all’abitazione dello zio, che, tuttavia, non riesco a ricordare; di un carrubo dai frutti deliziosi; di chi, messo in castigo dal padre, scappava da una finestra per unirsi ai compagni di mille avventure; di una villa scomparsa che, tanto per cambiare, io non rammento; di appassionanti letture di fumetti; di una Dama Vivente del 1967, in cui facevo anch’io da pedina, ma nella compagine avversaria; di scherzi e litigi; di molto altro ancora.
Non vado oltre, non tanto per non invadere il campo di chi scriverà il libro di cui in premessa, peraltro destinato ad occuparsi in larga misura di aspetti più seri di quelli da me qui delineati, ma perché io in testa ho solo degli abbozzi di carattere minore. Anche se, invero, qualche aspetto, mutuato dalla mia diretta esperienza, merita probabilmente di essere successivamente sviluppato.
Non posso dimenticare, ad esempio, che in Via Dante, o Via Regina, ha abitato anche l’amico Gianfranco Raimondo, proprio prima di trasferirsi a Nervia, dove l’ho conosciuto, perché egli ha già scritto su Facebook di episodi e di personaggi, da lui conosciuti direttamente all’epoca in quella zona. Frammenti di memoria che non intendo per ora riprendere, perché meritano caso mai un’attenzione specifica.
Metto, poi, qualche fotografia di gruppo, di quelle fatte in questi ultimi anni, gruppo, in cui ero entrato in sostanza da aggregato, e composto in prevalenza da chi sta lavorando per la storia di cui in parola o da chi è rientrato in un modo o nell’altro nelle mie soprastanti rimembranze.
E proprio ieri mattina Roberto A., che quel gruppo conosce molto bene, tanto da informarmi che si è molto allargato rispetto alle mie ormai arretrate informazioni, mi ha detto che la pubblicazione del richiamato libro dovrebbe essere imminente…