L’intento di far sentire agli Usa qualche parola buona su Tambroni

Il 24 febbraio 1960 Segni si dimise dal governo a seguito dell’ennesima crisi governativa. Un successivo tentativo del Presidente del Consiglio di costituire un governo di centrosinistra fallì soprattutto per le pressioni del Vaticano. L’incarico di formare il gabinetto fu quindi affidato a Tambroni, che costituì un monocolore democristiano, ma la necessità di aprire al Msi per ottenere il voto di fiducia in Parlamento provocò le dimissioni di alcuni ministri democristiani e la caduta del governo appena insediato. Successivamente fallì anche il tentativo di Fanfani di costituire una maggioranza. Per il Dipartimento di Stato si iniziava a profilare un periodo di grande incertezza istituzionale e di confusione politica, il cui unico antidoto era il ritorno ad una formula centrista e ad una collaborazione quadripartita <642. Gronchi decise di rinviare in Senato il voto di fiducia al governo Tambroni, ove fu approvato grazie al sostegno di Dc e Msi. Contemporaneamente, il clima di tensione politica fu esasperato dal dilagare di manifestazioni organizzate da militanti di sinistra, che accusavano Tambroni di guidare un gabinetto di centro-destra dalle tendenze neofasciste. Gli scontri, che vennero repressi con durezza dal governo in carica, erano la manifestazione dell’insoddisfazione generale del Pci nei confronti della sua esclusione dal governo. Essi erano inoltre la risultante di un clima internazionale che, con l’abbattimento dell’U2 americano sul territorio sovietico e il fallimento della conferenza di Parigi delle potenze vincitrici, dimostravano i costi sociali legati all’abbandono della distensione internazionale <643. A Genova, medaglia d’oro della resistenza contro i nazifascisti, il governo autorizzò il Msi a tenere un congresso. Questa decisione fu percepita dalle sinistre come una vera e propria provocazione, e generò una dura protesta popolare culminata in scontri di piazza tra manifestanti e polizia e in repressioni che costarono una decina di morti e centinaia di feriti. L’ondata di indignazione provocò le dimissioni di Tambroni e la fine della breve esperienza centrista <644. Seguì la formazione di un gabinetto monocolore guidato da Fanfani, chiamato il governo delle “convergenze parallele” poiché era basato sull’astensione del Psi. Il governo Fanfani durò in carica fino all’inizio del 1962.
[NOTE]
642 Frus, 1958-60, vol. VII, p. 2, Telegram from the Embassy in Italy to the Department of State, Rome, 24 aprile 1960, pp. 593-97, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1958-60v07p2/pg_593.
643 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit. p. 295.
644 Sul ruolo giocato dagli Stati Uniti nella crisi del 1960 e sui fatti di Genova, Robbe ha scritto: “Gran parte della corrispondenza e dei memoranda proveniva dall’ambasciata che, pur prendendo le distanze da Tambroni, non vedeva concreti rischi di slittamento non democratico. Meno coinvolto negli eventi italiani era il dipartimento di Stato, le cui posizioni ricalcavano quelle di Zellerbach e dei funzionari di via Veneto. Le analisi più timorose di una deriva autoritaria di destra giungevano dalla sezione analitica – più liberal di quella operativa – della Central Intelligence Agency che paventava la formazione di un blocco conservatore pronto a far saltare la fragile democrazia italiana”. F. Robbe, Gli Stati Uniti e la crisi del governo Tambroni, in “Nuova Storia Contemporanea”, 2 (2010): pp. 87-112.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

Nel febbraio ’60 i rapporti tra Dc e liberali si fecero tesi. Diverse le ragioni delle sempre più frequenti divergenze: il viaggio di Gronchi in Urss, la proposta di Segni di attuare il regionalismo e, soprattutto, la prospettiva dell’alleanza con il partito socialista <70. Il consiglio nazionale del partito liberale decise di ritirare l’appoggio a Segni e aprì la strada alla più grave crisi governativa dell’Italia del dopoguerra <71.
Il 21 marzo fu designato Tambroni, che, senza una maggioranza precostituita, si apprestava ad intercettare i voti sufficienti a ottenere la fiducia.
Una figura chiave per capire le ragioni della nomina di Tambroni è Giovanni Gronchi. In una rara intervista rilasciata sull’argomento nel 1977, l’ex presidente della Repubblica ammetteva che il conferimento dell’incarico rispondeva alla volontà di «“forzare la mano alla Dc”, partito rivelatosi incapace di liberarsi dal condizionamento dei settori più conservatori del mondo cattolico» <72.
L’uomo più adatto per la delicata operazione di aggancio ai socialisti era un amico di lunga data: Fernando Tambroni <73. Il nome del deputato marchigiano appariva già nel 1955 in un colloquio tra Malagodi e il funzionario dell’ambasciata [n.d.r. degli Stati Uniti in Italia] Stabler. Il leader del partito liberale disse che l’ex ministro dell’Interno stava promuovendo se stesso come prossimo presidente del Consiglio con l’appoggio della destra. E affermava, tra lo sconsolato e il profetico, che «l’interesse di Tambroni verso la destra potrebbe essere una copertura per una manovra in direzione opposta, visto che nella politica italiana si fa una cosa per ottenere il suo contrario» <74.
Negli anni successivi il nome di Tambroni sarebbe circolato soprattutto negli ambienti della destra monarchica e neofascista. Alla fine del ’58, l’avvocato Paolo Ricci del Riccio, consigliere di Michelini tra i più attenti nel coltivare legami con l’ambasciata, vedeva con favore un monocolore Dc sostenuto dai missini. Candidato ideale sarebbe stato proprio Tambroni, «la cui identificazione con le politiche della sinistra Dc rassicurerebbe la corrente progressista» <75.
Qualche settimana dopo, il segretario del Pli a colloquio con l’ambasciatore [n.d.r. degli Stati Uniti in Italia] Zellerbach non dava molto credito al tentativo gronchiano. Nel contempo, confessava le proprie perplessità su un governo di centro-destra, considerato un «palliativo» più che una soluzione di lungo periodo. La sua posizione, quindi, era emblematica della situazione di stallo ma anche – come si diceva – della difficoltà di approntare una strategia alternativa da parte dei liberali <76.
Nella componente “laurina” del Pdi èn.d.r.: partito monarchico] , era ancora fresco il ricordo dello scioglimento del consiglio comunale napoletano da parte dell’allora ministro dell’Interno. Covelli dichiarò, invece, di non voler appoggiare un governo «amministrativo» o «di necessità» costruito su misura per tranquillizzare i partiti di centrosinistra e le correnti della sinistra Dc <77.
L’unico partito che aveva espressamente dichiarato la volontà di sostenerlo era il Msi. Non è secondario, tuttavia, sottolineare che l’apertura dei missini è stata giustamente definita «prudente» e non certo incondizionata. In sostanza ogni decisione veniva rinviata al momento in cui Tambroni avesse precisato «limiti e obiettivi» del suo incarico <78.
Alla luce delle posizioni assunte sia da Tambroni – incline a formare un monocolore “socchiuso” a destra e a sinistra – che dai suoi ipotetici sostenitori, sempre più perplessi, iniziava a perdere colpi il progetto di transizione al centro-sinistra. Da segnalare poi la posizione assolutamente contraria all’apertura delle gerarchie ecclesiastiche <79.
Unico possibile rimedio sembrava essere la presentazione di un programma in parte favorevole ai socialisti, o comunque in grado di ottenerne l’astensione. Andava in questa direzione lo schema per il discorso del neopresidente intitolato “Spunti per un programma”. Redatto da Francesco Cosentino, consigliere giuridico del presidente della Repubblica, lo schema non venne seguito in maniera pedissequa. Anzi, proprio sui punti nevralgici che avrebbero potuto edulcorare la posizione socialista, come la nazionalizzazione delle industrie elettriche e il problema della scuola, Tambroni non tenne conto dei consigli della coppia Gronchi-Cosentino <80. Così, il politico marchigiano incassò la fiducia della Dc e del Msi, che riuscì a portare a compimento la propria strategia legalitaria.
La storiografia sul tema è ancora piuttosto scarsa, ed è stata spesso ostaggio di letture politico-partitiche, peraltro suffragate da una non soddisfacente base documentaria. I primi studi <81 – dal 1960 al 1968 – hanno insistito sulla mobilitazione antifascista di massa e sullo scontro frontale contro il “clerico-fascismo”. Tali lavori, in larga misura, hanno mitizzato la spontaneità dei giovani, riducendo la loro irrequietezza ad una battaglia squisitamente politica. Questa prima tornata di ricerche influenzò la produzione storiografica degli anni ’70 e ’80. Con una certa continuità è emerso il sospetto delle tentazioni golpiste di Tambroni <82. Tra gli studi di questo periodo, Baget Bozzo si è distinto per una posizione critica verso la guida comunista delle manifestazioni <83. A trent’anni dai fatti, ha cominciato a farsi largo una lettura non più solamente politica, ma in grado di allargare l’orizzonte ai cambiamenti sociali e ad altri aspetti a lungo trascurati, come la violenza dei dimostranti e le testimonianze di diversa origine <84.
Il rapporto Italia-Stati Uniti sulla crisi del ’60 è stato in gran parte trascurato dalla storiografia <85, tuttavia il comportamento di Tambroni, che tentò di rilanciare il condizionamento del conflitto bipolare sulla politica italiana, <86 impone un’attenzione ben maggiore.
L’incarico, come ha ricordato Nuti, non fu accolto dall’ambasciata con particolare soddisfazione, soprattutto per la vicinanza di Tambroni a Gronchi <87. «Nel breve periodo – ha scritto Zellerbach – non c’era motivo di preoccuparsi, visto che la cooperazione con gli Usa e con la Nato non sarà molto diversa da quella di Segni». Addirittura le prospettive sulla politica estera italiana venivano definite «eccellenti». Tuttavia la scelta non era giudicata «una soluzione felice».
Tra i maggiori pericoli legati al nuovo esecutivo c’erano la possibilità di altre «scorribande» neutraliste in politica estera e l’opportunismo del nuovo capo del Governo. Nello stesso tempo la solidarietà di Gronchi, a cui erano legati il futuro e la stabilità del governo, era tutt’altro che assicurata. <88
A fronte della nuova maggioranza, furono immediate le dimissioni dei ministri della sinistra democristiana Bo, Sullo e Pastore. Poi seguì un tentativo – fallito – di Fanfani, che rispecchiava lo stato di confusione in cui versava la Dc, più volte rilevata dagli osservatori statunitensi. Alla fine di aprile Gronchi invitò Tambroni a completare la procedura e presentarsi al Senato. La direzione Dc approvava e l’ampia maggioranza democristiana confermava il nuovo, tormentato governo.
Commentando l’investitura, i funzionari di via Veneto non erano in grado di stimare le probabilità che l’esecutivo arrivasse all’estate. Il presidente del Consiglio, in una formula efficace e sintetica, veniva descritto come un uomo «temuto da molti, ma di cui nessuno si fidava» <89.
Tambroni, da par suo, considerava il plauso americano un fattore non secondario per la durata del suo governo. Fu Francesco Cosentino – segretario generale della Camera e consigliere legale di Gronchi – a “sponsorizzare” il governo, ma dall’ambasciata capirono subito l’intento di «far sentire agli Usa qualche parola buona su Tambroni». Pur giudicando Cosentino un contatto utile, rimanevano perplessità sui suoi commenti che talvolta «sapevano di autoritarismo» <90.
Ad accrescere le perplessità americane contribuiva la posizione, assai più allarmista, del ramo analitico della Central Intelligence Agency. Un rapporto parla di un «ritorno dei fascisti praticamente in tutti i campi». Lo stato «anarchico» della politica italiana offriva ai neofascisti due possibilità di intervento: un colpo di stato per prevenire l’apertura ai socialisti, o il tentativo di influenzare la Dc da posizioni democratiche. «Sebbene la ricerca della rispettabilità – si legge – li renda all’inizio alleati poco costosi, potrebbero poi domandare un quid pro quo, per esempio il coinvolgimento nell’occupazione di certe posizioni-chiave del governo e una politica estera più nazionalistica». In questo caso, ammonivano gli analisti dell’Intelligence, era probabile uno spostamento dell’opinione pubblica italiana verso l’estrema sinistra <91.
Tra le preoccupazioni dei servizi segreti, a differenza di quanto scrivevano da Roma, prevaleva il timore di derive autoritarie. Un governo orientato a destra, con ogni probabilità, non sarebbe riuscito a rimanere in carica se non ricorrendo a mezzi illegali. Nonostante mancasse prove di attività golpiste, Tambroni veniva etichettato «il più grande e abile opportunista d’Italia». E l’estrema destra preoccupava per «l’irrequietezza e la crescente capacità di farsi valere».
Comunque, qualsiasi presa del potere a destra richiedeva «l’eliminazione o la neutralizzazione del presidente Gronchi» <92. Inoltre il grosso della Dc e altri elementi di centro si sarebbero spostati all’opposizione con la sinistra.
Non era escluso, infine, il coinvolgimento di un presunto “Gruppo per la difesa della Repubblica”, che includeva Pacciardi, Giannini, Pella, Romualdi e Gedda, a sostegno di Tambroni <93. Il rapporto si riferiva al convegno organizzato il 26 maggio dal Centro Luigi Sturzo sul tema “La liberazione dal socialcomunismo”.
In questo senso, la preoccupazione nei confronti di Tambroni – a nostro avviso eccessiva – induceva a pensare ad un’attiva rete di contatti per salvaguardare il governo, al punto da considerare un convegno come il punto di partenza per una prova di forza autoritaria. Peraltro, all’incontro promosso dal Centro Sturzo, partecipò anche una figura di sicura fede democratica e antifascista come Enzo Giacchero, già vice-comandante partigiano in Piemonte e prefetto della Liberazione <94.
Forze conservatrici di varia estrazione, pur schierandosi contro l’apertura a sinistra, erano ben lontane dall’elaborare un piano organico in difesa del governo. L’Italia del 1960, in altri termini, era ben più complessa e articolata di come poteva apparire.
[NOTE]
70 G. Cavera, Un conflitto istituzionale dietro la «crisi Tambroni». Carteggio Giovanni Gronchi – Cesare Merzagora (luglio 1960), «Nuova Storia Contemporanea», a. II, n. 5, settembre-ottobre 1998, pp. 105-109. In merito al regionalismo, nel 1957 Malagodi aveva espresso le proprie riserve al personale dell’ambasciata, paventando la creazione di «repubbliche rosse in Toscana, Umbria ed Emilia Romagna». Altre zone sarebbero diventati feudi della Dc, danneggiando così i partiti più piccoli come il Pli, si veda Memorandum of conversation, G. Malagodi, J. Jernegan (Minister Counselor), N. Bond (Counselor of Embassy), J. Getz (Second Secretary of Embassy), May 29, 1957, NARA,
RG 59, CDF, Box 3607.
71 A. Ungari, Il rifiuto della “grande destra”, cit., p. 65.
72 Si veda l’intervista rilasciata da Gronchi a Giovanni Di Capua: G. Di Capua, Perché Tambroni, in «Appunti», n. 9-12, marzo-dicembre 1977, pp. 71-75, citato in G. Cavera, Il Ministero Tambroni, primo «governo del Presidente», cit., p. 91.
73 Cavera ha sritto di un «sodalizio umano e politico» che risaliva ai primi anni del secondo dopoguerra, G. Cavera, Il Ministero Tambroni, primo «governo del Presidente», cit., pp. 88-91. Roberti, invece, ha definito Tambroni «uno dei “contrappesi” escogitati da Moro per riprendere – dopo l’intermezzo Segni di centro destra – il percorso verso sinistra», G. Roberti, L’opposizione di destra in Italia, cit., p. 135. Nella raccolta di testimonianze sulla crisi (Accame, Barbi, Cattani, De Meo, Falaschi, Macaluso, Tommasini), pubblicate da «Ricerche di storia politica», emerge che la scelta di Tambroni fosse legata al suo essere un tecnico e uomo della sinistra Dc, ma anche alla profonda crisi che attraversava lo Scudo Crociato. Fondamentale era il clima di incertezza che attraversava il Paese dopo il governo regionale di Milazzo in Sicilia. Si veda G. Formigoni, A. Guiso (a cura di), Tambroni e la crisi del 1960, cit., pp. 369-373. Andreotti ha scritto invece che «nessun “esperto” lo aveva mai indicato come candidato a reggere il governo», G. Andreotti, Governare con la crisi, Rizzoli, Milano, p. 106.
74 Memorandum of conversation, G. Malagodi (Pli Secretary General), W. Stabler (Second Secretary of Embassy), September 19, 1955, NARA, RG 59, CDF, Box 3604, 765.00/9-2255.
75 Memorandum of conversation, Avv. P. Ricci del Riccio (Confidant of Arturo Michelini), A. Velletri (Second Secretary of Embassy), December 4, 1958, NARA, RG 59, CDF, Box 3609, 765.00/12-1058.
76 Memorandum of conversation, G. Malagodi, J. Zellerbach, December 22, 1958, NARA, RG 59, CDF, Box 3609, 765.00/12-3158.
77 L. Radi, Tambroni trent’anni dopo. Il luglio 1960 e la nascita del centrosinistra, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 92. Sulle posizioni dei vari partiti si veda P. Di Loreto, La difficile transizione, cit., pp. 331-345.
78 Ha scritto Zellerbach che «il Msi ha mostrato segni di raffreddamento con Tambroni», si veda Telegram 3428, J. Zellerbach to the Department of State, March 23, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1916, 765.00/3-2460; Il comunicato stampa dei missini – che giustifica l’aggettivo «prudente» – è parzialmente riportato in G. Cavera, Il Ministero Tambroni, primo «governo del Presidente», cit., p. 93 e n.
79 P. Di Loreto, La stagione del centrismo, cit., pp. 355-360; P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p. 360. Si veda anche Italian political scene (Memorandum of conversation with Cardinal Siri, Archbishop of Genoa), R. Joyce (Consul General, Genoa) to the Department of State, May 11, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/5-2360. 80 La vicenda è stata ricostruita da G. Cavera, Il Ministero Tambroni, primo «governo del Presidente», cit. In appendice l’autore riporta lo schema di Cosentino. Si vedano i discorsi alla Camera del 4 e dell’8 aprile 1960, AP, CdD, III legislatura, Discussioni, Seduta del 4 aprile 1960, pp. 13423-13431 e Seduta dell’8 aprile 1960, pp. 13648-13651. Si veda P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p. 364.
81 A. Parodi, Le giornate di Genova, Editori Riuniti, Roma, 1960; F. Gandolfi, A Genova non si passa, Avanti!, Milano, 1960; R. Nicolai, Reggio Emilia 7 luglio 1960, Editori Riuniti, Roma, 1960; G. Bigi, I fatti del 7 luglio, Tecnostampa, Reggio Emilia, 1960; P.G. Murgia, Il luglio 1960, Sugar, Milano, 1968.
82 G. Mammarella, L’Italia dopo il fascismo, 1943-1968, Il Mulino, Bologna, 1970; N. Kogan, L’Italia del dopoguerra. Storia politica dal 1945 al 1966, Laterza, Roma-Bari, 1974; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 1989.
83 G. Baget Bozzo, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra, cit.
84 L. Radi, Tambroni trent’anni dopo. Il luglio 1960 e la nascita del centrosinistra, Il Mulino, Bologna, 1990; E. Santarelli, Il governo Tambroni e il luglio 1960, «Italia contemporanea», marzo 1991, n. 182; G. Crainz, Storia del
miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni Cinquanta e Sessanta, Donzelli, Roma, 1996. C. Bermani, L’antifascismo del luglio ’60, in Il nemico interno. Guerra civile e lotte di classe in Italia (1943-1976), Odradek, Roma, 1997, pp. 141-263; P. Cooke, Luglio 1960: Tambroni e la repressione fallita, Teti, Milano, 2000; G. Formigoni, A. Guiso (a cura di), Tambroni e la crisi del 1960, cit.; A. Baldoni, Due volte Genova. Luglio 1960 – luglio 2001: fatti, misfatti, verità nascoste, Vallecchi, Firenze, 2004. Si veda anche A. Carioti, De Lorenzo e Moro, la strana coppia contro Tambroni, «Corriere della Sera», 26 marzo 2004.
85 Se ne sono in parte occupati solo Nuti e Gentiloni Silveri, si vedano L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., pp. 285-299; U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera. Stati Uniti e centro-sinistra 1958-1965, Il Mulino, Bologna, 1998, pp. 49-58.
86 Si veda G. Formigoni, A. Guiso (a cura di), Tambroni e la crisi del 1960, cit., p. 368. Significativo è il fatto che Murgia, citando un editoriale del «New York Times», scrive che «sembra uscito dall’ufficio stampa di Tambroni», si veda P.G. Murgia, Il luglio 1960, cit., p. 139. Sfogliando «L’Unità» e «Il Secolo d’Italia» del luglio 1960 si trova una selezione degli editoriali di molti quotidiani stranieri. Naturalmente la stampa internazionale veniva usata per avvalorare la tesi dell’aggressione da parte delle forze dell’ordine o della provocazione di piazza. Era comunque indicativo dell’attenzione rivolta a quanto scrivevano all’estero per comprovare le proprie idee.
87 L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 288
88 Si veda L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., pp. 288-289.
89 Telegram 3999, J. Zellerbach to the Secretary of State, May 6, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/5-660.
90 Memo of conversation with Francesco Cosentino, Secretary General of the Chamber and Gronchi’s legal adviser, G. Lister (First Secretary of Embassy) to the Department of State, May 11, 1960, NARA, RG 59, CDF, Box 1917, 765.00/5-1660. Si veda U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera, cit., pp. 53-54; L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, cit., p. 292. Documento parzialmente pubblicato in Così parlò Cosentino, «L’Espresso», 28 luglio 1995, pp. 68-69.
91 Neo-fascists in postwar Italy, CIA, Current Intelligence Weekly Summary, May 12, 1960, www.foia.cia.gov
92 The Italian Political Crisis, A. Smith (Acting Chairman, Office of National Estimates) to the Director of Central Intelligence, May 17, 1960, DDEL, WHO, Office of the Special Assistant for National Security Affairs, Records 1952-1961, NSC Series, Briefing notes Subseries, Box 11, f. Italian political situation and U.S. Policy toward Italy, 1953-60. Il riassunto è pubblicato in FRUS, 1958-1960, vol. VII, pt. 2, p. 598.
93 Il leader Gedda avrebbe annunciato «oggi siamo uniti nel pensiero, domani lo saremo nell’azione», Erosion of italian democracy, CIA, Current Intelligence Weekly Review, June 23, 1960, www.foia.cia.gov
94 Si veda D. D’Urso, Enzo Giacchero, storia di un uomo, «Asti contemporanea», n. 11, p. 239, http://www.israt.it/asticontemporanea/asticontemporanea11/urso.pdf
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009/2010

Il giudizio era dunque complessivamente severo e, nonostante i tentativi di Tambroni di guadagnarsi la fiducia, l’ostilità americana sarebbe durata fino alla sua caduta nel mese di luglio.
L’apertura a sinistra non entusiasmava i diplomatici statunitensi, ma i rischi ad essa connessi erano ritenuti inferiori a quelli temuti da larghi settori della destra italiana.
Ad ogni modo, che la crisi italiana fosse profonda e non riguardasse solo la sfera dei partiti, per gli USA era chiaro ben prima della caduta del Governo Segni. Tra il gennaio e il febbraio 1960, infatti, il Planning Board del National Security Council aveva cominciato ad elaborare un documento sulla politica americana in Italia che doveva sostituire il precedente «NSC 5411/2» (redatto nell’aprile 1954). Era un aggiornamento di tale politica in funzione delle profonde trasformazioni economiche, sociali e politiche avvenute nel Paese negli ultimi anni.
Fabrizio Loreto, La rivolta democratica del 1960: origini, sviluppi, esiti in (a cura di) Edmondo Montali, L’insurrezione legale. Italia, giugno-luglio 1960. La rivolta democratica contro il Governo Tambroni, Storia e memoria, Fondazione Giuseppe Di Vittorio, Ediesse, Roma, 2010