La strategia di spostare dei partigiani in Trentino Alto Adige rispondeva essenzialmente ad alcune necessità

Trento – Fonte: Mapio.net

A Trento la prima riunione del Comitato di Liberazione Nazionale si tenne nella seconda metà di settembre 1943 in via Diaz, nello studio dell’ingegnere Guido de Unterrichter (DC), presenti Giannantonio Manci e Guido Pincheri per il PSI, Giuseppe Ottolini (PCI), Beppino Disertori, Egidio Bacchi, in rappresentanza dei partiti antifascisti. Nella seconda riunione, in via S. Trinità, si aggiunsero Giovanni Gozzer, Angelo Bettini, Giuseppe Ferrandi e, in seguito, altri ancora: ogni volta in un luogo diverso per ragioni di sicurezza. Tutta l’attività consistette nel preparare clandestinamente il terreno all’insurrezione, facendo lo “sbaglio di fondo”, come ammetterà poi de Unterrichter, di credere imminente il crollo della Germania. Quindi niente azioni di disturbo prima dell’arrivo del “momento buono”. <6 Stilato da Bacchi, Ferrandi, Battisti, Manci e Disertori, era uscito in quel periodo il primo Manifesto del Movimento Socialista Trentino. Questo gruppo politico, voluto da Manci, riuscì a unificare forze socialiste e repubblicane in un programma tuttora di attualità: repubblica, socializzazione delle fonti e dei mezzi di produzione, riforme sociali, libertà di religione e uguaglianza di razze, difesa della piccola proprietà, vasto decentramento amministrativo. Il secondo Manifesto, del febbraio 1944, parlava di “federazione europea, diritti civili, abolizione della proprietà che serve a sfruttare il lavoro altrui, autonomia della magistratura, scuola di popolo, sistema fiscale controllato dai cittadini, punizione dei responsabili del ventennio fascista”. <7 Si trattava ora di organizzare le forze disponibili alla lotta armata contro gli occupanti, ma, come si è visto, furono fatti degli errori di valutazione iniziale. Da aggiungere la limitata partecipazione dei cattolici trentini alla lotta armata, motivata dal fatto che essa “comportava ripensamenti d’ordine morale e religioso, per non tradire nei fatti la loro vocazione cristiana alla mansuetudine ed alla fratellanza”. <8 Una prima resistenza armata, se così la vogliamo considerare, c’era già stata nella notte dall’8 al 9 settembre nelle varie caserme di Trento: erano morti quarantanove fra soldati e ufficiali, alcuni combattendo, altri fucilati per non essersi arresi in tempo. Tra questi un giovane militare di Roncegno, Ferruccio Rensi, ucciso per rappresaglia dai tedeschi. Suo fratello Guglielmo era già morto in Cirenaica nel dicembre 1941 e l’altro fratello, Eugenio, fu dato per disperso in guerra nell’aprile 1943. Pochissimi furono i militari che riuscirono a sfuggire alla caccia spietata da parte degli invasori.
[NOTE]
6 G. COLANGELO, P. PEDRON, N. PONTALTI (a cura di), Ora, Fumo, Tempesta e gli altri, Trento, Museo del Risorgimento e della Lotta per la Libertà, 1994, p. 46.
7 Aspetti e problemi della Resistenza nel Trentino-Alto Adige. Il Lager di via Resia, Bolzano, Bolzano, Circolo culturale ANPI, 1983, pp. 11-12.
8 A. VADAGNINI, Il mondo cattolico trentino nella guerra e nella resistenza, in: Il Trentino degli anni 80. Verso una cultura della comunità (a cura del Centro di cultura “A. Rosmini”), Trento 1980, p. 91.
Giuseppe Sittoni, Uomini e fatti del Gherlenda. La Resistenza nella Valsugana orientale e nel Bellunese, Croxarie Associazione culturale, 2005

Bolzano – Fonte: Mapio.net

L’iniziale rinuncia di Hitler al controllo del Trentino Alto Adige era stata dettata dall’alleanza con il fascismo allo scopo di raggiungere fini comuni in politica interna ed internazionale. Tali remore cadranno definitivamente in seguito all’8 settembre 1943 seguendo così in Trentino la strada già perseguita in Austria, Cecoslovacchia, Polonia. Insomma, l’interesse di Hitler per il Trentino era stato sempre dissimulato, latente, ma mai sopito. L’ 8 settembre comportò dei cambiamenti anche da questo punto di vista: “Questa data fu come il disco verde per iniziare l’attuazione dei progetti annessionistici. Il Reich si sente più libero nei confronti dell’Italia che è uscita dall’alleanza militare…” <53
La creazione dell’Alpenvorland rese appunto chiara la politica di Hitler nei confronti di questa zona.
Il 10 settembre 1943 venne istituita la “Zona d’operazione delle Prealpi”, comprendente le province di Trento, Belluno e Bolzano, che venivano annesse di fatto alla Germania, sotto il controllo di Franz Hofer, Gauleiter di Innsbruck e del generale Joachim Witthöft. Il primo veniva nominato commissario supremo, il secondo comandante nella Zona d’operazione delle Prealpi.
Di fatto la Germania non tollerava l’ingerenza fascista in questi territori, avocando a sè la totale facoltà di amministrarli.
Tra il 25 luglio e l’8 settembre l’Alto Adige era già stato occupato da truppe tedesche, per lo più però di passaggio; l’occupazione militare era però un fatto compiuto anche prima dell’8 settembre.
“Fu il 17 settembre che giunse ufficialmente a Trento la nuova dell’avvenuto distacco politico amministrativo delle tre province italiane (Belluno, Trento e Bolzano appunto, nda) dal resto del Paese e della loro riunione, per ordine del Capo nazista in un organismo denominato Zona d’Operazione delle Prealpi (Alpen Vorland), direttamente controllato dalle autorità germaniche d’occupazione al cui vertice era stato messo, col titolo di Commissario Supermo, il Gauleiter del Tirolo e Vorarlberg, Franz Hofer, di Innsbruck.” <54
La creazione “ufficiale” dell’Alpenvorland (Zona d’operazione delle Prealpi, detta anche OZAV da Operationszone Alpenvorland appunto) e della Adriatisches Küstenland (zona di operazioni Litorale Adriatico, OZAK, affidata al Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer, comprendente le province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume) risale dunque al 10 settembre 1943.
Numerosi furono i provvedimenti e le azioni mirate che resero chiaro che la Germania intendeva di fatto esercitare poteri sovrani sull’Alpenvorland.
Hofer invitava i dipendenti delle pubbliche amministrazioni a non prestare giuramento alla Rsi, poiché “i diritti sovrani del Governo italiano nella zona di Operazioni delle Prealpi sono attualmente sospesi”55, si vietava a Mussolini di porre la sede della neonata Repubblica sociale in territorio trentino, si vietava nell’Alpenvorland la ricostruzione del Pfr, venne tolta alla Rsi la possibilità di nominare i prefetti (come ad esempio l’estromissione di Italo Foschi a Trento, poi “ripagato” con la carica a Belluno). L’arruolamento di nuovi soldati era di competenza del commissario supremo Hofer e le autorità militari italiane non potevano circolare liberamente, se non con il consenso delle truppe germaniche. Su questo ultimo punto è esemplificativo ciò che successe il 7 luglio 1944. In quella data circa 100 soldati della Guardia Nazionale Repubblicana si erano recati a Riva del Garda per arrestare Gastone Franchetti e Guido Gori, entrambi esponenti antifascisti e organizzatori di gruppi partigiani. La polizia tedesca, avvertita dagli stessi cittadini, intervenne, espellendo i soldati italiani che, senza permesso, erano entrati in una zona sottoposta alla giurisdizione tedesca. Si fece consegnare gli arrestati, che vennero comunque rilasciati dopo circa un mese.
Inoltre si crearono dei nuovi corpi militari, come in Alto Adige il Sod (Südtiroler Ordnungsdienst), in provincia di Trento il Cst (Corpo di Sicurezza Trentino), di cui parlerò anche in seguito perché interessato al rastrellamento di Malga Zonta, in provincia di Belluno il Csb.
Venne imposta la necessità di dotarsi di un permesso a coloro i quali volevano soggiornare a lungo nell’Alpenvorland.
Infine i tedeschi procedettero con alcuni provvedimenti volti a reprimere il sentimento italiano in Trentino Alto Adige, soprattutto per quanto riguarda le testimonianze dell’irredentismo. Dal Museo Storico del Risorgimento di Trento, così come dal Museo della Guerra di Rovereto e dall’Archivio di Stato di Trento vennero sottratti molti documenti storici.
A Bolzano venne reintrodotta la lingua tedesca a livello ufficiale e venne proibita la stampa di giornali in lingua italiana e alcuni comuni appartenuti fino ad allora alle province di Trento e Belluno entrarono a far parte della provincia di Bolzano. In ambito giudiziario la Corte d’Appello di Trento venne resa autonoma e non più dipendente da quella di Venezia e fu istituito a Bolzano un Tribunale speciale per i reati commessi nella Zona d’operazione delle Prealpi.
“Hofer aveva dato molte garanzie ai trentini: aveva soppresso il partito fascista, chiuso le sedi, proibito di vestire la divisa e di portare i distintivi fascisti; misure accolte con favore a causa del naturale antifascismo dei trentini che avevano conosciuto l’Italia per la prima volta attraverso la dittatura fascista.” <56
In definitiva la politica di Hofer mirava a “eccitare nel Sudtirolo i moti irredentistici e unitari con Innsbruck; a favorire nel Trentino ogni moto di distacco dal fascismo italiano…verso una forma di indipendentismo tollerata al limite che non fosse di ostacolo all’azione politica e militare del Reich, ma senza nessun riguardo al governo repubblicano di Salò.” <57
[…] A Trento il 17 settembre 1943 Franz Hofer, commissario supremo dell’Alpenvorland, rivolse un discorso ai cittadini, in cui esponeva le sue intenzioni.
Affermò che “nella provincia di Trento dovesse regnare la calma, senza oziose recriminazioni, e che l’amministrazione degli enti pubblici venisse in mano di persone del luogo godenti la fiducia della popolazione. La scelta di tali persone dovrebbe avvenire senza riguardo al partito al quale appartenevano, purché diano affidamento di buon volere, capacità ed indiscussa onestà.” <58
Quale commissario prefettizio venne nominato l’avvocato Adolfo De Bertolini “amministratore intelligente e capace, sinceramente attento, in quanto trentino e in quanto non nazionalsocialista, a trovare un compromesso fra le direttive degli uffici tedeschi, da un lato, e i bisogni della popolazione italiana a lui affidata, dall’altro” <59, che nel suo primo discorso “prometteva da parte sua nel nome della popolazione la fedele collaborazione agli ordini del Commissario Supremo, nell’interesse della vittoria delle armi tedesche con che sarà raggiunto anche un migliore avvenire della provincia.”60 Discorso che suscitò la reazione critica di Giannantonio Manci; grande organizzatore della Resistenza trentina, morto nel luglio del 1944, Manci apprezzava che fosse stato eletto un trentino a Commissario Prefetto, ma criticava De Bertolini per non aver parlato della situazione italiana e per aver solamente invocato la vittoria delle armi tedesche senza evidenziare che la responsabilità morale e materiale della situazione provocata dall’occupazione tedesca era da imputare agli stessi tedeschi.
De Bertolini era un convinto antifascista, ma venne scelto per il suo seguito presso la popolazione, conscio Hofer che nella provincia di Trento la Germania non godeva di quella omogeneità di consensi che si poteva riscontrare a Bolzano.
A riguardo del commissario prefettizio De Bertolini si può dire che “I tedeschi, occupando militarmente la regione, o meglio i territori dell’Alpenvorland, trovarono nel De Bertolini un valido collaboratore (anche se passivo) – ma forse proprio per questo più “apprezzato”, ndapermettendo al Commissario Supremo F. Hofer la realizzazione di quel progetto che voleva il territorio delle province di Bolzano, Trento e Belluno, destinato a servire quale antemurale difensiva ai paesi germanici e contemporaneamente fascia di copertura per rifornimenti di armi, munizioni, viveri ecc; destinati ad alimentare il fronte tedesco in Italia…” <61
Dopo l’8 settembre ci si divideva tra desideri di autonomia, adesione passiva alla Rsi o consenso alla Germania nazista.
La Resistenza scelse di lottare sia contro la Rsi sia contro il Reich.
I primi segnali dell’antifascismo trentino <62 erano nati già nel 1924. L’Associazione Nazionale Combattenti, legata idealmente all’associazione “Italia Libera” sorta a Roma, promuoveva opere di propaganda verbale e organizzava il sostegno agli antifascisti, che aiutava a riparare in Svizzera. Giannantonio Manci e Gigino Battisti diffondevano il giornale clandestino di Firenze “Non Mollare”.
L’occupazione tedesca di Trento iniziò pochi giorni dopo il 25 luglio 1943; “nel giro di un mese, ben sei divisioni, formidabilmente armate, entrarono in Italia attraverso il Trentino, senza che i comandi italiani facessero il minimo passo presso quelli germanici, per conoscere i precisi scopi e la portata di tale operazione.” <63
Una delle figure più importanti, non solo per il territorio della provincia di Trento ma in grado di organizzare la Resistenza in tutta la regione, estendendo i suoi “contatti” anche al di fuori del Trentino Alto Adige fu Giannantonio Manci.
Tosi pubblica nel suo libro “Zum Todt A morte” copia di un “dossier” (che venne redatto a guerra finita, nel novembre 1945; l’originale è conservato presso l’Archivio Battisti), per indagare sui fatti del 28 giugno 1944, di cui parlerò in seguito.
Questi documenti delineano la figura di Giannantonio Manci, ma sono anche utili nell’offrire un quadro di insieme della Resistenza trentina. Manci fu uno degli esponenti più attivi e coraggiosi dell’antifascismo nel Trentino, avendo fondato il Cln di Trento e avendo dato il via all’ organizzazione della Resistenza in Trentino.
Fin dal 1925 militava nei gruppi “Italia Libera”, aderì poi ai gruppi di “Giustizia e Libertà” e nell’agosto del 1943 fu tra i fondatori del Movimento Socialista Trentino, che poi divenne nel maggio dell’ anno seguente Federazione Provinciale di Trento del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria.
“Nei primi mesi del 1944 si iniziò nella Provincia di Trento la formazione dei gruppi armati della resistenza e i principali si localizzarono in un primo tempo nel basso Sarca, nella valle di Fiemme e nella valle di Non. Il C.L.N Clandestino provvide ai servizi logistici ed all’inquadramento dei gruppi. Al centro di questa attività fu sempre Giannantonio Manci…” <64
Il documento continua con tutta una serie di nomi di persone vicine a Manci: Giuseppe Ferrandi, Egidio Bacchi, Guido Pincheri, Gigino Battisti (rifugiato in Svizzera), Oreste Ferrari, Gino Lubich, Danilo Paris, Guido Unterrichter, Beppino Disertori, Giovanni Gozzer, Domenico Bessi, Ugo Perini, Giovanni Lorenzi, Lodovico Andreatta, Giuseppe Ottolini.
“Il conte Giannantonio Manci <65 era in contatto col Generale Masini di Milano, allora capo dell’Organizzazione Militare del movimento di Resistenza in Alta Italia..era riuscito a dare notevole impulso al movimento di Resistenza, sia dal punto di vista politico (propaganda) che attivistico, iniziando l’organizzazione di gruppi di armati nella zona di Fiemme e nella zona di Riva”. <66
[…] Oltre alla zona di Riva del Garda una presenza partigiana organizzata, in provincia di Trento, si ebbe sull’altopiano di Folgaria. Enno Donà si dice sicuro che l’altopiano “fu la zona del Trentino dove la Resistenza ebbe il suo massimo sviluppo, dove dette il più largo contributo per la Lotta di Liberazione…Questa è una realtà che nessun’altra zona del Trentino può vantare.” <71
[…] A Bolzano invece di commissari prefettizi se ne susseguirono tre. Adelberto Berrutti, in carica per una settimana, Peter Hofer, morto durante un bombardamento, e Karl Tinzl.
In un documento conservato presso l’archivio dell’Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea di Padova, riguardo alla situazione della provincia di Bolzano si scrive: “La popolazione locale del gruppo etnico tedesco, compatta solidale e totalitaria, fece causa comune con i “camerati del grande Reich” dando libero sfogo al proprio livore ed odio contro l’ Italia e gli italiani. In tali condizioni di ambiente, l’azione partigiana in Alto Adige non poté, per forza di cose, avere quegli sviluppi conseguiti nelle altre regioni italiane.” <78
Bolzano delle tre province prese qui in esame fu quella in cui il movimento partigiano si sviluppò in misura minore.
La Resistenza bolzanina già alla nascita era divisa. “Se la Resistenza italiana voleva che fosse garantito il mantenimento dell’Alto Adige allo Stato italiano, quella tedesca chiedeva che al popolo sudtirolese venisse concesso il diritto all’autodeterminazione.” <79
La componente italiana a Bolzano era divisa al suo interno tra un ceto medio, giunto negli anni venti del novecento per lavorare nella pubblica amministrazione, nelle scuole, nel commercio, e una classe operaia immigrata qui negli anni trenta per ampliare la zona industriale di Bolzano, principalmente composta da ex contadini veneti, privi di coscienza politica, e da operai provenienti da grandi industrie lombarde e piemontesi. Questi ultimi daranno vita alla lotta a Bolzano.
Il comitato di liberazione nacque all’inizio del 1944, guidato da Manlio Longon, del Partito d’Azione. Longon cercò il dialogo con le componenti tedesche che si dimostravano opposte al nazismo, ma con scarsi risultati.
Il Cln di Bolzano venne smantellato nel dicembre del 1944 e lo stesso Longon ucciso il 31 dicembre.
Un secondo Cln venne organizzato pochi giorni prima della Liberazione da Bruno De Angelis, ma al suo interno affluirono componenti molto differenti, tra cui anche ex fascisti in cerca di una tardiva redenzione.
Differente la situazione per quanto riguarda la componente tedesca: “I fatti dell’8 settembre 1943, l’immediata occupazione nazista e l’avvento del “regno di Hofer” furono vissuti dalla maggioranza della popolazione tedesca come un momento di liberazione dopo vent’anni di dittatura fascista, la fine dell’inferiorità politica, sociale, amministrativa, culturale della minoranza sudtirolese, il preludio del distacco formale e definitivo dal giogo italiano.” <80
La componente tedesca era però divisa tra chi aveva optato favorevolmente per aderire alla Germania e chi invece si era opposto. Chi aveva deciso di rimanere fu vittima di persecuzioni e discriminazioni, ma fu tra di loro che si svilupparono alcune forme di Resistenza. Importante fu l’Andreas HoferBund, un movimento nato nel 1939 per radunare le forze contrarie all’annessione alla Germania, in nome di un forte patriottismo tirolese. Sotto la guida di Hans Egarter il movimento fu attivo durante la guerra , stringendo rapporti con la Resistenza nel Tirolo del nord, con le missioni alleate in Svizzera e con i confinanti austriaci.
“Le due Resistenze dell’Alto Adige furono fragili, divise e interessarono una piccolissima minoranza della popolazione. La loro debolezza si spiega sia con la frattura che separava italiani e tedeschi, sia con le divisioni interne alle due comunità…” <81
Nell’Alpenvorland, come già visto, oltre a non esserci una così forte presenza partigiana, l’occupazione tedesca condizionava ovviamente la quotidianità.
L’azione di Hofer mirava dunque a dare un senso di “calma” apparente alla popolazione (in tal senso anche la nomina di De Bertolini).
Pur presentando l’occupazione come una operazione militare, di immediata necessità, la costituzione della Zona d’operazione delle Prealpi era una fase transitoria perché il fine ultimo era l’annessione del territorio alla Germania.
Le “Garemi” nell’Alpenvorland
Tenendo presente il fatto che i partigiani morti a Malga Zonta facevano parte delle “Garemi”, penso sia utile definire il ruolo che ebbe questa divisione garibaldina nel Trentino Alto Adige; proprio per le condizioni descritte prima, il contributo di partigiani che venivano “dall’esterno” fu molto prezioso in questa regione.
Le ”Garemi” agirono in tutta la regione e diedero un contributo molto importante. La strategia di “spostare” dei partigiani in Trentino Alto Adige rispondeva essenzialmente ad alcune “necessità”. Innanzitutto l’estate del 1944 segna un momento di grossa crescita per tutte le formazioni partigiane. Nuovi combattenti si aggregano ai partigiani e le formazioni crescono notevolmente di dimensioni. C’era quindi il bisogno (ed ora anche la possibilità) di dislocare al meglio le forze.
Si riteneva corretto estendere il più possibile la propria influenza e il proprio controllo.
[…] Lo spostamento delle “Garemi” in Trentino iniziò già nell’estate del 1944 ma fu nell’autunno inverno che si dette una maggiore organizzazione.
“Sergio” nell’ottobre del ’44 aveva mandato “Rado” (Walter Pianegonda) a Trento, per capire meglio la situazione in vista dei probabili spostamenti di forze. Scriveva in seguito “Rado”: “Come già sapete sono venuto a Trento appositamente per vedere come andassero le cose in seno a codesto Cln. Purtroppo con mio grande rincrescimento ed avvilimento ho dovuto constatare che siete ancora in alto mare, pur dopo un anno di tempo a disposizione…vogliamo anche qui un organismo efficiente che aiuti nel limite del possibile (non c’entra il denaro) la nostra opera e faccia leva sulla popolazione”. Ricordava poi ai compagni trentini: “Noi non lottiamo per il Trentino, ma per l’Italia” e concludeva ancora dicendo: ”Cercate di essere non solo Trentini, ma italiani” <83
Le “Garemi” in Trentino Alto Adige operarono principalmente nella provincia di Trento, nella zona della Valsugana, naturale collegamento tra la zona veneta in cui combattevano i garibaldini e il Trentino.
Fu sopratutto la “Pasubiana” ad estendere i suoi collegamenti con il Trentino Alto Adige, entrando ad esempio in contatto con il Cln di Folgaria fin dal giugno 1944. Nella “Relazione sull’attività clandestina del Cln di Folgaria” si legge: “riuscimmo a far spostare un distaccamento armato sulle nostre montagne, comandato dall’intrepido e valoroso Turco e dal commissario Braccio.” <84
Folgaria divenne un centro molto importante di organizzazione della Resistenza, insieme ai non molto distanti paesi di Pomarolo, Nomi, Besenello.
Il “Turco” arriva alla fine di giugno nella zona dei Fiorentini e di Folgaria. ”L’aggancio con il Cln avvenne in modo rapido ed inaspettato. Grazie all’opera di Lino Cappelletti, allora guardaboschi di Folgaria, e già cellula comunista. Questi, avendo notato la presenza sospetta di 1214 individui, avvisò il Rella…dopo due giorni di ricerche, tre uomini dell’altipiano presero contatto con il distaccamento, innescando un processo che si rivelerà fondamentale non solo per la zona di Folgaria, ma anche per i pochi antifascisti rimasti a piede libero dopo i fatti del 28 giugno 1944.” <85
Nell’ottobre del 1944 si costituiscono due distaccamenti autonomi, il “Panarotta” e il “Pasubio”.
Il “Panarotta”, che comandato da Libardi Bruno raggiunse le dimensioni di battaglione, era costituito da persone nate a Folgaria, Roncegno e Levico. Dalla relazione redatta nel dopoguerra dal “Panarotta”: “il gruppo autonomo di Levico, trasformatosi nel Btg. Panarotta, alle dipendenze dirette della Brig. Pasubiana Div. A. Garemi, si trovava dislocato nel territorio del comune di Levico, ed ha svolto la sua attività combattiva nel territorio dello stesso comune e dei comuni viciniori (Pergine, Borgo, Caldonazzo).” <86
Con il “Pasubio” invece le Garemi” si spinsero fino a Bolzano, nella Val Sarentina. Secondo Giuseppe Costa “Ivan” lo spostamento di una dozzina uomini delle Garemi” a Bolzano, nell’ottobre-novembre del 1944, veniva deciso solamente per snellire le altre formazioni in vista dell’inverno. Il “Pasubio” era comandato da Gaetano Rappo Ruggero”. Ancora tre battaglioni operanti in Trentino e inquadrati nella “Pasubiana” furono il “Cirillo Bressan”, il “Cesare Battisti” e il “Trentino”; quest’ultimo vedeva la presenza di Lamberto Ravagni, “Libero”, e di molti partigiani folgaretani.
É questo un quadro generale della presenza delle “Garemi” nell’Alpenvorland. Su tale argomento credo si potrebbero compiere ulteriori studi in grado di delineare meglio l’apporto delle formazioni garibaldine nella Resistenza del Trentino-Alto Adige.

Fonte: Archivi della Resistenza, Fondazione Gamsci
Fonte: Archivi della Resistenza, Fondazione Gamsci

[NOTE]
53 Umberto Corsini, op. cit., pag. 31
54 Antonino Radice, La Resistenza nel Trentino. 19431945, Collana del museo trentino del Risorgimento, Rovereto, 1960, pag. 57
55 Umberto Corsini, op. cit., pag. 41
56 Giorgio Tosi, Zum Tode A Morte, (Collana di pubblicazione del) Museo storico in Trento, Trento, 1997, pag. 29
57 Umberto Corsini, La politica tedesca nell’Alpenvorland e l’atteggiamento delle popolazioni nelle tre provincie di Bolzano Trento Belluno, in AA.VV, Fascismo Antifascismo e Resistenza. Seminario di studi storici. Trentodicembre 1975 aprile 1976, Comitato Provinciale per il 30° Anniversario della Resistenza e della Liberazione, Trento, 1978, pag. 86
58 Il Trentino, n.223, 18 settembre 1943
59 Margareth Lun, Le strutture amministrative e militari, in Andrea Di Michele, Rodolfo Taiani (a cura di), op. cit., pag. 99
60 Il Trentino, n.223, 18 settembre 1943
61 Antonio Guerzoni, Antifascismo e Resistenza sull’Altipiano di Folgaria, tesi di laurea, Università degli studi di Padova, sede di Verona, anno accademico 1978/79, relatore prof. Emilio Franzina, pag. 90
62 Qui come altrove intendo con trentino la parte sud del TrentinoAlto Adige, ovvero la provincia di Trento
63 Antonino Radice, op. cit., pag. 30
64 Carte Manci in Giorgio Tosi, op. cit., pag. 115
65 Per una critica all’organizzazione di Manci si veda: Renzo Francescotti, Antifascismo e Resistenza nel Trentino 1920-1945, Editori Riuniti, Roma, 1975, pag. 41
66 Carte Manci in Giorgio Tosi, op. cit., pag. 116
71 Enno Donà, Tra il Pasubio e gli altipiani. Ricordi della Resistenza, Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto, 1995, pag. 33-34
78 Diario storico “Corpo volontario della libertà, divisione “Alto Adigegruppo Condanni”Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, Padova, busta 12
79 Andrea di Michele, Le due Resistenze in Alto Adige, in Andrea Di Michele, Rodolfo Taiani (a cura di), op. cit., pag. 284
80 ivi pag. 291
81 Andrea di Michele, Le due Resistenze in Alto Adige, in Andrea Di Michele, Rodolfo Taiani (a cura di), op. cit., pag. 284
82 Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, Padova, busta 56
83 Ezio Maria Simini, Quaderni Garemi, Le Garemi nell’Alpenvorland (La penetrazione garibaldina nel Trentino-Alto Adige), volume 3, Odeon Libri-Ismos, Schio, 1990, pag. 104-106
84 Archivio Museo storico di Trento, Relazione sull’attività clandestina del cln di Folgaria, A.C 3.2,n 70, busta 9
85 Antonio Guerzoni, op. cit.,pag. 162
86 Ezio Maria Simini, op. cit., pag. 114
Francesco Corniani, Un marinaio in montagna. Storia di Bruno Viola e dell’eccidio di Malga Zonta, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, Anno accademico 2009-2010