All’indomani della Liberazione, come all’indomani di ogni guerra, si constatava nell’opinione pubblica francese un’aspirazione considerevole al rinnovamento inerente tutti gli aspetti della vita nazionale e che, come ovvio, non risparmiava la cultura politica e il modello istituzionale. La Francia liberata voleva dunque evitare di impantanarsi nuovamente nelle miserie del passato e dare longevità all’entusiasmo che aveva marcato l’esperienza resistenziale sfuggendo così ai sentimenti di crisi e di decadenza che avevano contraddistinto le ultime fasi della Terza Repubblica e che apparivano in quel momento come prodromici all’inglorioso crollo del 1940. Eppure tanti buoni intenti non servirono a far nascere un regime efficiente e condiviso in grado di formare attorno a sé un ampio consenso popolare. La Quarta Repubblica, come si vedrà, fu dunque un regime violentemente contestato sin dai suoi albori la cui esistenza si riassunse in una lunga crisi durante la quale riemersero le stesse critiche che in precedenza erano state rivolte alla Terza.
Come spiegare allora quello che appare come un paradossale fallimento, che avrebbe contribuito a prolungare fino al 1958 quella crisi del «modello repubblicano» che aveva fatto sentire i suoi effetti sin dalla Prima guerra mondiale?
Dopo una prima analisi delle vicende che portarono alla nascita della Quarta Repubblica, ciò che risulta immediatamente evidente è che essa, più che definirsi in maniera autonoma si definisce in antitesi ai modelli politici che l’avevano preceduta: la Terza Repubblica e Vichy. Il rifiuto del modello nato con le Leggi Costituzionali del 1875 era infatti fortissimo tra i movimenti della Resistenza interna che gli imputavano la debolezza della Francia durante il periodo fra le due guerre attribuendogli la responsabilità della sconfitta militare <18. Questa opinione era così largamente diffusa che Léon Blum, uno dei grandi leader parlamentari del periodo tra le due guerre, nel suo libro “À l’échelle humaine” <19, in una sorta di mea culpa, condannava l’onnipotenza del Parlamento. Analoga era stata la condanna che era giunta da Londra da parte di de Gaulle e del suo entourage. Per i gollisti il regime aveva fatto fallimento, le istituzioni avevano dimostrato la propria inefficienza, la classe dirigente era screditata e aveva fatto il suo tempo. Presso costoro era forte l’idea che la Resistenza avrebbe dovuto essere la fucina di una Francia nuova, il vivaio di una nuova elite politica destinata a rigenerare il paese <20.
Il rigetto del regime di Vichy fu immediato da parte di “France Libre” che fondava la sua legittimità sulla condanna dell’armistizio concluso da Pétain. Nella visione gollista il maresciallo era dunque un impostore a capo di un regime «nullo e inesistente» i cui atti erano totalmente incostituzionali; la rappresentanza della Repubblica era invece garantita dalla stessa “France Libre” che, da movimento di opposizione militare, si trasformò progressivamente in una sorta di governo in esilio <21. Da parte della Resistenza interna, il rigetto di Vichy fu più tardivo e sfumato. Molti movimenti, tra cui il più importante, “Combat”, vedevano in Pétain, in virtù forse del suo blasone di eroe militare acquisito durante la Grande Guerra, un avversario irriducibile della Germania e facevano ricadere sul suo entourage le velleità di collaborazione coi tedeschi. <22
Solo a partire dal 1942 Resistenza esterna ed interna furono accomunate dalla netta condanna nei confronti della dittatura di Pétain, il potere personale del maresciallo e la sua prassi di governo. Ne risultò tanto a Londra e poi ad Algeri, quanto nei movimenti di Resistenza, una critica sempre più decisa al regime autoritario di Vichy e una parallela affermazione dei principi democratici che coincise con un’attenuazione della critica alla Terza Repubblica <23.
Al fine di accreditare la sua rappresentatività di fronte agli alleati, de Gaulle sentì infatti, a partire dal 1943, l’urgente bisogno del sostegno degli uomini della Terza Repubblica, eletti a suffragio universale, prima vilipesi <24. Fu proprio Jean Moulin <25, delegato del Generale in patria, ad attivarsi al fine di sollecitare la ricostituzione dei moribondi partiti politici francesi in modo tale che i loro rappresentanti potessero sedere in seno al Conseil national de la Résistance. Dalla stessa necessità scaturirono la creazione ad Algeri dell’Assemblée Consultative, dove i rappresentanti dei partiti sedevano vicino a quelli dei movimenti di Resistenza, e l’allargamento del Comitato francese di liberazione nazionale, allo scopo di farvi entrare dei delegati delle grandi forze politiche e dei notabili repubblicani (su tutti Henri Queuille) <26. Paradossalmente, la logica del rigetto di Vichy portò così a un parziale ritorno della Resistenza verso il modello repubblicano denigrato nel 1940.
Le idee costituzionali della Resistenza
Le forze protagoniste della Resistenza si proponevano di realizzare all’indomani della Liberazione, un profondo rinnovamento della vita nazionale <27. Sul piano economico si puntava a orientare la ricostruzione postbellica nella direzione di un ampio ammodernamento delle strutture produttive che consentisse di superare la fase di stagnazione patita negli anni Trenta. Sul piano sociale si mirava ad introdurre un avanzato sistema di garanzie. E sul piano politico si intendeva attuare una nuova organizzazione dei poteri pubblici che garantisse coerenza ed efficacia all’azione di governo. L’asse attorno a cui doveva ruotare il rinnovamento delle strutture economiche e sociali era costituito, nel pensiero della Resistenza, dall’attribuzione allo Stato di ampi compiti di intervento. L’organizzazione della crescita economica e il soddisfacimento dei diritti sociali andavano assicurati tramite l’instaurazione di un’economia mista, caratterizzata da un vasto settore pubblico e dall’utilizzazione dello strumento della pianificazione. Su tale principio vi era un sostanziale accordo tra le varie anime della Resistenza. Lo stesso Charles de Gaulle, in un discorso pronunciato il 18 marzo 1944 ad Algeri di fronte all’Assemblea consultiva provvisoria, affermò che quella francese avrebbe dovuto essere una «democrazia sociale» in cui a ciascuno fossero assicurati «il diritto e la libertà di lavorare» e venisse garantite «la dignità e la sicurezza di tutti». Ciò richiedeva l’avvento di un sistema economico in cui «le fonti della ricchezza comune» appartenessero alla nazione <28.
Questa volontà di rinnovare le strutture economiche e sociali aveva importanti effetti sulla riflessione relativa alla nuova Costituzione che il paese avrebbe dovuto darsi al termine della guerra. In primo luogo perché le diverse componenti della Resistenza avvertivano la necessità di fornire allo Stato sociale da costruire dopo la Liberazione un fondamento costituzionale, e proponevano quindi l’elaborazione di una nuova dichiarazione dei diritti che aggiornasse la «Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino» del 1789 <29. In secondo luogo perché l’attribuzione allo Stato di nuovi compiti di intervento in campo economico e sociale stimolava la ricerca di correttivi adeguati che consentissero di superare le disfunzioni manifestatesi nel sistema politico della III Repubblica.
Non fu dunque un caso che il duplice rigetto della Terza Repubblica e del regime di Vichy trasparisse nei progetti esaminati durante la guerra all’interno della Resistenza, allo scopo di definire le istituzioni del dopoguerra. Fu il Comité général d’Etudes, creato dal movimento “Combat” per studiare le strutture politiche della Francia del dopoguerra, incaricato dal Consiglio nazionale della Resistenza, a chiedere ai movimenti il loro parere sulle future istituzioni. Se la maggioranza dei movimenti respinse l’onnipotenza parlamentare, tutti ammisero, tuttavia, che la Repubblica era l’unico regime possibile nella Francia liberata. Essendo il ricordo delle inefficienze della Terza Repubblica ancora piuttosto vivo, furono in molti ad augurarsi un esecutivo forte. Al di là, tuttavia di questi due vaghi punti d’accordo, la Resistenza espresse idee costituzionali molto diversificate tra loro.
I progetti più significativi furono quelli dell’”Organisation civile et militare”, dominata da tecnocrati e uomini di destra, da “Défense de la France”, dal “Comité général d’Etudes”, dal giurista André Hauriou, dal movimento “Combat”, da Michel Debré e Edouard Monick (che furono estensori del progetto Jacquier-Bruère, i loro pseudonimi da resistenti). Fra tutti questi progetti il più timido fu quello del “Comité général d’Etudes” <30, che volle essere una sintesi delle opinioni interne alla Resistenza e che proponeva limitate modifiche alle Leggi costituzionali del 1875. Alcuni progetti, più radicali, criticarono la dualità delle Camere, considerata come uno strappo alla democrazia del suffragio universale (Progetto Hauriou) <31. Infine alcuni, e in primo luogo, i progetti dell’Ocm <32, di “Défense de la France” <33 e di Jacquier-Bruère <34, intendevano attribuire, ispirandosi alla costituzione americana, il ruolo di capo dell’esecutivo al presidente della Repubblica. Su questo punto fu il progetto Jacquier-Bruère il più significativo. Esso definiva il presidente della Repubblica come una sorta di monarca elettivo, nominato per dodici anni da un collegio che avrebbe incluso, oltre ai parlamentari, rappresentanti del mondo delle autonomie locali, del sindacato, dell’università e della magistratura. In questo stesso spirito, il progetto segnava una grande volontà di limitare rigidamente il ruolo del Parlamento al voto delle leggi e del bilancio, riducendo il suo controllo sul potere esecutivo alla possibilità di richiedere la fiducia una volta l’anno, mentre il governo deteneva il diritto di scioglierlo.
Appare dunque acclarato che la Liberazione era segnata da una volontà intensa di rinnovamento, basata sul doppio rigetto dell’impotenza della Terza Repubblica e del regime di Vichy; tuttavia, sotto il peso delle necessità contingenti, i due rifiuti non avrebbero più avuto la stessa forza che nel 1944. La Repubblica parlamentare, nella misura in cui sembrò indissociabile dalla democrazia, conobbe infatti un ritorno di fiamma. Questo dato sarebbe stato decisivo nell’ambito della creazione del nuovo Stato <35.
[NOTE]
18 Si veda a tal proposito H. Michel, Les courants de la pensée de la résistance, Paris, Puf, 1962
19 Gallimard, Paris, 1945. Su Blum la recente biografia di S. Berstein, Léon Blum, Paris, Fayard, 2006 e quella più datata, ma sempre validissima, di J. Lacouture, Léon Blum, Paris, Seuil, 1977.
20 Per il pensiero gollista sulla Repubblica si veda O. Rudelle, De Gaulle et la République, in Rudelle, Berstein, Le modèle républicain, cit., pp. 383-407.
21 Su questa complessa trasformazione del movimento fondato dal generale a Londra si veda G. Quagliariello, De Gaulle e il gollismo, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 78-107. I passaggi di questo mutamento sono spiegati con grande chiarezza anche nel volume di R. Brizzi, M. Marchi, Charles de Gaulle, Bologna, il Mulino, 2008, pp. 17-61.
22 Su Combat si veda M. Granet, H. Michel, Combat. Histoire d’un mouvement de résistance, Paris, Puf, 1957. Su Philippe Pétain esiste una bibliografia sterminata; risulta particolarmente utile per comprendere la complessità di questa figura l’opera di M. Ferro, Pétain, Paris, Fayard, 1987.
23 Su come anche Vichy si legittimi in antitesi alla Terza Repubblica si veda J.-P. Azéma, Vichy face au modèle républicain, in Rudelle, Berstein, Le modèle républicain, cit., pp. 337-356. A tal proposito si veda anche O. Wormser, Les origines doctrinales de la Révolution nationale. Vichy: 10 Juillet 1940-31 Mars 1941, Paris, Plon, 1971. Molto ampia la letteraratura sulla Repubblica di Vichy. Si vedano, tra i tanti, M. Curtis, La Francia ambigua : 1940-1944: il governo di Vichy, Milano, Corbaccio, 2004; R. Paxton, La France de Vichy : 1940-44, Paris, Seuil, 1973.
24 Si veda a tal proposito, S. Berstein, La IV République: république nouvelle ou réstauration du modèle de la III République?, in Rudelle, Berstein, Le modèle républicain, cit., pp. 360-361. Su questo aspetto si veda anche Marchi, Brizzi, Charles de Gaulle, cit., pp. 52-61e E. Duhamel, La ricostruzione politica in Francia dopo la seconda guerra mondiale, in «Ricerche di Storia Politica», VI, 1991, p. 101.
25 Sull’importante figura di Jean Moulin si rinvia a A. Clinton, Jean Moulin, 1899-1943: the French Resistance and the Republic, New York, Palgrave, 2002.
26 Sui complessi rapporti tra De Gaulle e la resistenza francese si rinvia a A. Werth, Storia della Quarta Repubblica, Torino, Einaudi, 1958, pp. 208-295. A tal proposito si veda anche O. Wieviorka, Un’eccezione francese? La Resistenza in Francia durante gli anni bui (1940-1944), in «Ricerche di Storia Politica», 1, 1998, pp. 61-76.
27 Si vedano a tal proposito R.F. Kuisel, Le capitalisme et l’Etat en France. Modernisation et dirigisme au XX siècle, Paris, Gallimard, 1984, pp. 271 ss ; A. Shennan, Rethinking France. Plans for Renewal 1940-1946, Oxford, Clarendon Press, 1989. Si veda anche C. Andrieu, Le programme commun de la Résistance. Des idées dans la guerre, Paris, Erudit, 1984.
28 C. De Gaulle, Discours et messages, vol. I, Pendant la guerre (Juin 1940-Janvier 1946), Paris, Plon, 1970, p. 389.
29 Circa il dibattito sul preambolo che si svolse tra le varie anime della Resistenza si rinvia a Guerrieri, Due costituenti, cit, pp. 29-35.
30 A tal proposito si veda Le projet de Constitutions du Comité général d’études, in «Les Cahiers politiques», n. 14, ottobre 1945, p. 2.
31 A. Hariou, Vers une doctrine de la Résistance. Le socialisme humaniste, Alger, Fontaine, 1944, pp. 156 ss.
32 A tal proposito si veda Ocm, La réforme constitutionnelle, in «Les cahiers. Etudes pour une révolution française», primo fascicolo, giugno 1942, pp. 66-69. Sull’Ocm si rinvia a A. Calmette, L’«Ocm», Organisation civile et militare. Histoire d’un mouvement de Résistance de 1940 à 1946, Paris, Puf, 1961, p. 49.
33 A tal proposito si veda Défense de la France, Projet de Constitution, riportato in appendice al volume di M. Granet, Défense de la France. Histoire d’un mouvement de Résistance (1940-44), Paris, Puf, 1960, pp. 227-260. Su questa organizzazione resistenziale si veda anche O. Wieviorka, Une certaine idée de la Résistance: Défense de la France, 1940-49, Paris, Seuil, 1995.
34 Jacquier-Bruère, Refaire la France, l’effort d’une génération, Paris, Plon, 1945.
35 Per una sintetica rassegna delle proposte di riforma dell’assetto istituzionale francese avanzate dai movimenti di Resistenza si rinvia a U. de Siervo, Le idee e le vicende costituzionali in Francia nel 1945 e 1946 e la loro influenza sul dibattito in Italia, in Id. (a cura di), Scelte della costituente e cultura giuridica, I, Costituzione italiana e modelli stranieri, Bologna, il Mulino, 1980, pp. 298-307.
Gabriele Galli, Politica della memoria e gestione del consenso nei due dopoguerra in Italia e Francia: due dibattiti parlamentari a confronto, Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2009