Il Comitato italiano dei Partigiani della pace tenne il suo primo Congresso generale nel 1954

Uno spoglio attento del materiale prodotto dalla Sezione stampa e propaganda del PCI aiuta a comprendere pienamente il ruolo di assoluta centralità che l’organizzazione di partito rivestiva nella creazione e nella diffusione del messaggio veicolato dalle organizzazioni di raccolta dei simpatizzanti, e che nel linguaggio politico italiano dell’epoca furono definite “fiancheggiatrici”. Alla guida di esse, almeno fino a tutti gli anni Cinquanta, si trovavano militanti comunisti che si preparavano sulle pubblicazioni della Sezione stampa e propaganda, e che seguivano le linee direttrici in esse esposte per preparare le loro campagne; anche le associazioni destinate a muoversi in una sfera non immediatamente connessa con la lotta di partito, insomma, costituivano una parte del sistema attraverso cui il PCI diffondeva i messaggi e le linee interpretative destinate a caratterizzare la militanza <48. Per lo meno fino a tutto il 1956, parteciparono all’organizzazione di queste associazioni i militanti del PSI, nel quale si stava cercando di imitare alcuni aspetti organizzativi dell’alleato comunista, anche nel tentativo di affinare gli strumenti per un’azione più autonoma <49. I socialisti, ad esempio, organizzarono una propria Sezione centrale stampa e propaganda, che nel corso della campagna elettorale del 1953 si impegnò a diffondere, sotto forma di opuscoli, i discorsi parlamentari dei leader contro la “legge truffa”, e organizzò le dispense per un Breve corso per propagandisti sull’“alternativa socialista” al governo della DC. L’attività della Sezione socialista fu però assai meno intensa di quella del PCI, ed in questo periodo i socialisti non riuscirono ad elaborare un discorso propagandistico che risultasse originale rispetto a quello comunista; gli attivisti del PCI non trovarono quindi forti opposizioni nel loro tentativo di dare un orientamento ai movimenti a cui partecipavano.
Un esempio riguarda un’associazione che nei primi anni Cinquanta mostrò avere una importanza decisiva: il Comitato italiano dei Partigiani della pace. Esso costituiva l’articolazione italiana del Movimento mondiale dei Partigiani della pace, nato a Parigi nell’aprile del 1949 in diretta opposizione al Patto atlantico; insieme al suo omologo francese, fu l’unico comitato nazionale del mondo occidentale, che riuscì ad ottenere un reale successo di massa in tutte le grandi campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica organizzate a livello mondiale tra 1950 e 1952 <50.
All’indubbio successo nelle iniziative patrocinate dal movimento non corrispondeva l’autonomia nell’organizzazione delle campagne e nella veicolazione dei messaggi; dal punto di vista specifico della comunicazione politica, è significativo che non esistesse un organo di stampa periodico con il quale i Partigiani potessero rivolgersi direttamente al pubblico. I militanti, e soprattutto i quadri dirigenti, avevano a disposizione buoni strumenti d’informazione interna per trovare aggiornamenti sulle campagne in corso, documenti ufficiali del Movimento ed altro materiale su cui costruire una comunicazione capillare: il Comitato mondiale pubblicava un Bulletin d’Information (dalla fine del 1950, dopo il Congresso di Varsavia, assunse il nome di Bulletin du Conseil Mondial de la Paix), mentre in Italia, la base informativa su cui impostare le campagne di massa era arricchita da un Bolletino di Collegamento, utile soprattutto per le attività di livello locale <51. Ogni azione di comunicazione verso l’esterno, dall’editoriale ai testi delle petizioni che dovevano essere diffusi, era svolta attraverso i quotidiani e i periodici di orientamento comunista e socialista; persino le tipografie che realizzavano volantini ed opuscoli con il marchio del Comitato italiano dei Partigiani della pace erano le stesse di cui si servivano il PSI e soprattutto il PCI.
Alle scarse possibilità del movimento di avere un contatto con il pubblico al di fuori di canali controllati dai partiti, si accompagnava la pressoché totale mancanza di autonomia organizzativa. Il Comitato italiano, nato nel 1949, tenne il suo primo Congresso generale nel 1954, quando ormai si era del tutto esaurita la spinta propulsiva delle campagne internazionali promosse dai Partigiani, e dovette sempre fare riferimento, nell‘organizzazione delle proprie iniziative, a uomini e strutture del PCI; mostrando una dipendenza lamentata dagli stessi dirigenti comunisti del movimento, come Emilio Sereni <52. La Sezione stampa e propaganda del Partito comunista costituiva un punto di riferimento per le direttive sulle campagne per la pace <53. Tra gli strumenti per la formazione dei quadri organizzativi degli sforzi di mobilitazione promossi dai Partigiani occupavano un posto di rilievo i suoi periodici, come dimostrano tra l’altro i numeri speciali di Propaganda, curati da Sereni, del 27 gennaio 1950, “La sesta potenza mondiale: i Partigiani della pace”, e del luglio dello stesso anno, “Il plebiscito mondiale della pace contro le armi atomiche” <54; si può anzi affermare che quando il Comitato italiano dei Partigiani della pace mosse i primi passi, in occasione delle proteste contro la ratifica del Patto atlantico, la produzione di sussidi per la gestione della comunicazione politica comunista si intensificò sensibilmente, come a voler sfruttare quell’occasione per recuperare un dialogo con la società italiana dopo il 18 aprile <55.
Altra associazione molto attiva in questo periodo nel mondo dei simpatizzanti di sinistra è l’Unione Donne Italiane (UDI). L’associazione nacque a Roma nell’ottobre del 1944, ad opera di alcune attiviste di sinistra, generalmente mogli o familiari di leader di partito, come Rita Montagnana, Giuliana Nenni, Marisa Cinciari Rodano; il suo scopo era quello di contribuire al «riconoscimento delle capacità femminili nella sfera pubblica», anche di fronte al contributo offerto dalle donne nella lotta di liberazione <56. Per quanto l’Unione si presentasse come una associazione femminile senza distinzioni politiche i posti direttivi furono sempre in mano a militanti dei partiti di sinistra accuratamente preparate, e le militanti provenivano dall’alveo delle simpatizzanti di PCI e PSI. Almeno fino a tutti gli anni Cinquanta, le militanti dell’UDI si mostrarono assai attive nelle campagne promosse da PCI e PSI, soprattutto nella sensibilizzazione delle donne italiane sui temi del pericolo di guerra; esse organizzarono un settimanale, Noi Donne, e soprattutto a partire dal 1950 diedero inizio ad una massiccia produzione di manifesti. Ma sia Noi Donne che il resto del materiale destinato alla comunicazione politica trovavano diffusione attraverso la rete distributiva del PCI, e la stessa Unione trovava gran parte dei mezzi necessari al proprio sostentamento nei finanziamenti ricevuti dal partito <57.
[NOTE]
48 Per ulteriori informazioni, cfr. La presenza sociale cit., pp. 177-180.
49 Cfr. F. Taddei, “La Costituente nella politica del PSI”, in R. Ruffilli (a cura di), Cultura politica e partiti nell’età della Costituente, tomo II, L’area socialista. Il Partito Comunista italiano, Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 17-67, e G. Galli, Ma l’idea non muore. Storia orgogliosa del Socialismo italiano, Milano, M. Tropea, 1996, pp. 172-188.
50 Per molto tempo, gli studi sul movimento dei Partigiani della pace non hanno avuto uno sviluppo pari all’importanza che esso ebbe in Italia. Dopo il capitolo “Il movimento italiano dei Partigiani della pace”, probabilmente scritto da G. Galli, in La presenza sociale cit., pp. 193-211, il primo lavoro monografico si ebbe con R. Giacomini, I partigiani della pace. Il movimento pacifista in Italia e nel mondo negli anni della prima guerra fredda, lavoro ricco di informazioni ma influenzato da un periodo di recrudescenza dei conflitti internazionali. Più imparziali le impostazioni di alcuni studi stranieri, come quelli contenuti in Communisme, 18-19, 1988, n. spec. Les communistes et la lutte pour la paix, e in M. Vaïsse (dir.), Le pacifisme en Europe des années 1920 aux années 1950, Paris, Bruylant, 1993, e G. Vecchio, Pacifisti e obiettori cit. In questi ultimi anni, alcuni studi stanno reimpostando l’analisi critica di tale fenomeno, come G. Pietrangeli, “I Partigiani della pace in Italia. 1948-1953”, Italia Contemporanea, 217, Dicembre 1999, pp. 667-692, e gli scritti di A. Guiso (cfr. spec. “L’Europa e l’Alleanza atlantica…” cit., e “Antiamericanismo e azione di massa. Il PCI negli anni della guerra fredda”, in G. Quagliariello, P. Craveri (a cura di), L’antiamericanismo in Italia e in Europa nel secondo dopoguerra, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 149-193). Per avere un’idea delle reazioni delle forze di pubblica sicurezza alle manifestazioni dei partigiani, cfr. il quadro offerto in P. Soddu, L’Italia del dopoguerra cit., pp. 213 e ss.
51 In Italia, la più ricca raccolta di pubblicazioni redatte dai Partigiani della pace, a livello nazionale e internazionale, è quella conservata tra le Carte Ada Alessandrini, presso l’Archivio storico della Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco, Roma.
52 Cfr. la critica di Sereni sull’incapacità del «Comitato Nazionale […] a sviluppare un effettivo stimolo ed orientamento della direzione di questa lotta», pubblicata sull’Unità del 4/X/1949, in occasione della Giornata internazionale della pace, e cit. in G. Pietrangeli, “I Partigiani della pace in Italia” cit., pp. 680-681.
53 Cfr., ad es., l’analisi della campagna unitaria per la pace nell’estratto del rapporto di G.C. Pajetta all’Ufficio nazionale di stampa e propaganda, 12-13/XII/1951, in APC, 0332 0925.
54 Su queste pubblicazioni cfr. ancora G. Pietrangeli, op. cit., pp. 683-685.
55 Il progetto di fare della raccolta di firme contro la ratifica del Patto atlantico un contraltare ai risultati del 18 aprile è espressa nel verbale della Direzione del PCI, 12/IV/1949, cit. in A. Guiso, “Antiamericanismo e azione di massa…” cit., pp. 158-159.
56 Cfr. A. Ventrone, La cittadinanza repubblicana cit., p. 126.
57 Cfr. La presenza sociale cit., pp. 231-239, ma anche L.C. Birnbaum, Liberazione della donna. Feminism in Italy, Middletown, Wesleyan University Press, 1986, pp. 51 e ss.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore – Pisa, 2006