Il 1944 fu anche l’anno di maggiore sviluppo delle formazioni partigiane e della dirigenza politica del movimento resistenziale: dal gennaio del 1944 la giunta del Comitato centrale di liberazione nazionale riconobbe ai partigiani la stessa legittimità dell’Esercito cobelligerante del Regno del Sud e il 9 giugno venne creato il comando generale del Corpo volontari della libertà, ovvero il comando congiunto di tutte le formazioni, con sede a Milano <365.
Il movimento resistenziale pone però le proprie radici nel periodo compreso tra l’autunno del 1943 e i primi mesi del 1944. In questa prima fase non era ancora certo se la guerra per bande si sarebbe sviluppata o se le piccole formazioni erano destinate a scomparire. La lotta armata non è una scelta naturale per le forze di sinistra italiane e la violenza esercitata, soprattutto senza prima essere aggrediti, non rientra nella cultura e nelle tradizioni della classe operaia <366. In più, le considerazioni etiche scaturite dalla scelta di esercitare la violenza contro altri esseri umani, cioè scegliere di uccidere, non è trascurabile. Santo Peli scrive: “Per il partigiano, come per il gappista, il nodo di implicazioni etiche che comporta la scelta di uccidere, volontariamente e deliberatamente, non è eliminabile una volta per tutte, ed è un nodo che deve essere ogni volta affrontato nell’intimo della propria individualità” <367.
Proprio i gappisti, coloro appartenenti alle Squadre di Azione Patriottica (GAP), furono i primi a agire sistematiche contro i tedeschi e i fascisti. Le considerazioni appena fatte sull’uso della violenza risultano particolarmente calzanti per i gappisti. Durante le loro azioni, essi si ritrovarono ad assassinare a bruciapelo le proprie vittime, faccia a faccia: questa condizione, profondamente diversa da un campo di battaglia dove tutto avviene “a caldo”, rese straziante portare a termine gli attentati, facendo vacillare e talvolta fallire gli uomini meno esperti <368. Organizzate prevalentemente dal Partito Comunista, lo scopo delle loro azioni, di caratteri prettamente terroristici (come l’assassinio di ufficiali nemici a passeggio per una città) e non di guerra, era quello di fare da detonatore per la Resistenza, dimostrare che perfino nelle città, il centro di potere dei nazifascisti, la lotta armata era possibile. Questa strategia, attuata quando le formazioni in montagna erano ancora allo stato embrionale e con scarsi collegamenti con i CLN, comportava l’accettazione delle rappresaglie nemiche sulla popolazione civile. Rinunciare a fare azioni a causa di questo ricatto significava rinunciare a combattere, mentre l’agire avrebbe dimostrato anche agli indecisi il vero volto dell’occupazione nazifascista <369. Il 1944 fu l’anno dello sviluppo del movimento resistenziale italiano: da circa ventimila effettivi a fine 1943, già per il luglio del 1944 la storiografia conta un aumento dei partigiani a cinquantamila, saliti a settantamila nel mese di agosto <370. Come il movimento di liberazione jugoslavo, quello italiano adottò la tattica della guerriglia, contrapponendo la propria capacità di colpire e ritrarsi evitando scontri in campo aperto alla pesantezza degli eserciti regolari avversari, attaccando vie e mezzi di comunicazione, fornendo intelligence agli Alleati e talvolta controllando interi territori imponendosi come un potere alternativo rispetto a quello nazifascista. Di fronte a questa situazione la Wehrmacht e le forze di polizia di Salò tentarono di organizzarsi per affrontare la guerra partigiana. Inizialmente i compiti di repressione furono affidati alla GNR, ma in seguito del suo crollo politico e militare di inizio estate, Alessandro Pavolini, Segretario del Partito Fascista Repubblicano, ricevette da Mussolini via libera per la formazione di squadre militari dipendenti dal partito stesso che avrebbero ereditato dalla GNR i compiti di polizia e della lotta all’antifascismo e alla Resistenza. Un decreto del 30 giugno sancì la formazione delle Brigate nere, una per provincia guidate dai locali Segretari federali del partito e composta dalle Camicie nere, ovvero ogni uomo iscritto al partito dai diciotto ai sessant’anni di età. L’idea di Pavolini era quella di disporre di una forza militare politicizzata e, quindi, fedele alle istituzioni repubblichine <371.
Il 22 giugno 1944 a Lucca venne costituita da Brigata nera “B. Mussolini”, capitanata dal Federale Idreno Utimpergher, che in poco tempo si impose sulle rimanenti forze della GNR, sugli agenti di polizia, ai quali sottrasse le armi e sui poteri politici locali della provincia <372. Tra le forze di polizia della RSI spiccarono per crudeltà e sprezzo per la dignità umana le bande autonome autonominatesi di polizia, tra cui la banda Koch, la Ettore Muti e la X Mas. Lutz Klinkhammer scrive di loro: “Queste bande che si arrogavano compiti di polizia per lo più erano composte da personaggi assolutamente ambigui, che compivano azioni di terrorismo, rapine, ricatti e torture e mantenevano la popolazione in uno stato di ansia e di terrore. […] Queste unità, che ancora verso la fine della guerra comprendevano in complesso 54.000 uomini, furono quelle che insieme con unità tedesche collaborarono al brutale sterminio dei partigiani e ai massacri perpetrati nei confronti delle popolazioni contadine nei piccoli villaggi di montagna delle regioni appenniniche e alpine” <373.
Anche la Brigata nera di Utimpergher agì violenza su civili inermi: ad esempio, il 3 agosto 1944 un piccolo gruppo di partigiani della XXIII^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Nevilio Casarosa” condusse nei pressi del paese di San. Lorenzo a Vaccoli (situato poco a sud rispetto a Lucca) un agguato contro due motociclisti delle Camicie nere di Utimpergher.
Quest’ultimo, ricevuta notizia di quanto successo, radunò più militi possibile e con loro partì per San. Lorenzo a Vaccoli dove, non trovando i partigiani, rastrellarono la popolazione locale, incendiarono le case, distrussero i raccolti e gli strumenti per il lavoro nei campi e infine arrestarono almeno quattro contadini, estranei ai fatti, che successivamente vennero deportati in Germania per servire come lavoratori coatti <374. Le forze tedesche si mostrarono sempre più preoccupate di fronte allo sviluppo del movimento resistenziale, che già in primavera era diventato una spina nel fianco. Infatti, il 7 aprile Kesselring, analogamente a come fece Roatta nel marzo del 1942, emanò delle misure per fronteggiare gli attacchi partigiani, ordinando ai soldati dislocati in Italia di essere sempre pronti a sparare, senza curarsi di eventuali passanti, chiedendo loro “azione vigorosa, decisa e rapida” (come Roatta che chiese “grinta dura”), specificando anche che “un intervento troppo deciso non sarà mai causa di punizione” <375. Esattamente come avvenne nella Jugoslavia occupata dal Regio Esercito, le truppe tedesche in Italia furono istruite di punire i civili, arrestandoli in caso di vicinanza a un attacco, talvolta bruciando le loro case, perché “la punizione immediata è più importante di un rapporto immediato”, chiedendo ai comandanti la massima asprezza durante queste azioni. La duplice idea di fondo a questo tipo di dottrina fu quella, in primis, di colpire direttamente i partigiani, perché molte volte essi operavano nelle zone vicine alle proprie comunità di origine dalle quali spesso ricevevano il sostentamento, in secundis, di alienare il favore della popolazione dai partigiani <376.
In una sua celebre opera Claudio Pavone vede la guerra combattuta dalla Resistenza come una triplice lotta: la prima è “La guerra patriottica” contro i tedeschi, i tradizionali nemici, al fianco dei tradizionali alleati con cui venne combattuta la Prima guerra mondiale, la seconda è “La guerra civile” contro i fascisti sostenuti dalla Germania e, infine, “La guerra di classe”, condotta dalle forze socialiste e comuniste nell’ottica di creare, attraverso la lotta armata, un tipo di società con nuovi rapporti di produzione a stampo socialista <377.
Ai primi di giugno il Comandante militare tedesco a Lucca lamentò ai suoi superiori che nei territori da lui controllati i “ribelli” stava prendendo il sopravvento sulle forze adibite alla repressione, aggiungendo che i partigiani sulla Alpi Apuane, in Garfagnana e sull’Appennino in generale erano in grado di sbarrare le linee di comunicazione e i passi montani a loro piacimento. La zona appenninica era di particolare importanza per le forze tedesche in ritirata, perché essa rappresentava un baluardo naturale prima della Pianura padana. Qui avevano infatti deciso di costruire la Linea Gotica. In questa fase anche lo stesso comando della Wehrmacht dovette ormai riconoscere di non avere di fronte sparuti gruppi di ribelli o banditi, ma un vero e proprio nemico che combatteva secondo i principi della guerriglia <378.
Le zone della Garfagnana e della Val di Lima, in Provincia di Lucca, videro lo sviluppo di alcune formazioni partigiane: in Garfagnana, dopo il tentativo di organizzare la banda di Del Bianco, operarono il Gruppo Valanga, capitanato dallo studente universitario Leandro Puccetti, e la Divisione Garibaldi Lunense, comandata dall’ex-prigioniero di guerra Anthony J. Oldham, Maggiore delle Forze Armate inglesi.
Fondato ufficialmente nel febbraio del 1944 con il nome di “Formazione Valanga”, nel corso della propria esistenza il gruppo partigiano non riuscì, nonostante la propria attività, a svilupparsi in grandezza e organizzazione come altri gruppi simili. Esso, il 29 agosto 1944 fu attaccato da ingenti forze tedesche sul Monte Rovaio, dove subì una pesante sconfitta militare dopo una battaglia lunga otto ore, dove lo stesso Puccetti, di ventuno anni, perse la vita a causa delle ferite riportate <379.
La Divisione Garibaldi Lunense, fondata l’8 agosto, raccoglieva formazioni di diversi indirizzi politici. Fu molto attiva nel sabotaggio delle infrastrutture e delle opere di fortificazione costruite dalla Todt. Secondo le stime di Renzo Bertolini, in ottobre essa raggiunse la grandezza di circa duemilaseicento effettivi, che operavano sia in Garfagnana, sia in Alta Versilia <380.
In Val di Lima operò invece il Comando XI Zona Patrioti “Pippo”, comandata da Manrico Ducceschi (che agiva sotto lo pseudonimo di “Pippo”, per l’appunto), anche questa dichiaratasi apolitica. Fondata nel mese di marzo essa fu in collegamento con il CLN di Firenze e, grazie a collegamenti radio con gli Alleati essa riuscì a ricevere, fin da subito, aviolanci che le permisero di organizzarsi ed essere militarmente efficiente <381. Tra le azioni della formazione spicca tra le altre la Battaglia di Casabasciana, durata dall’11 al 13 giugno. L’obiettivo dell’XI Zona, che nel corso degli scontri ricevette supporto aereo da parte degli Alleati, fu quello di bloccare la Strada Statale dell’Abetone e del Brennero, tagliando le vie di fuga dei tedeschi in ritirata dopo lo sfondamento da parte degli Alleati della Linea Gustav. Il 13 giugno, vista la lentezza degli Alleati nel risalire la penisola e non riuscendo più a reggere i contrattacchi tedeschi guidati dalla divisione d’élite di paracadutisti “Hermann Goring”, i partigiani decisero di sganciarsi per ritirarsi nei boschi. L’azione, anche se sul piano militare non produsse effetti concreti, sicuramente contribuì a legittimare le formazioni partigiane cambiando la concezione che i tedeschi avevano di esse <382.
[NOTE]
365 S. Peli, “La Resistenza in Italia”, pp. 80, 81. Bisogna specificare, come d’altronde fa Peli, che il coordinamento delle formazioni partigiane non è semplice: fra di esse sussisterono soprattutto differenze ideologiche e mancanza di collegamenti dovuta dalle caratteristiche proprie della Resistenza (prima fra tutte la clandestinità).
366 Santo Peli, “Storie di Gap. Terrorismo Urbano e Resistenza”, Einaudi, Torino, 2017, p. 71.
367 Ivi, pp. 31, 51.
368 Ivi, pp. da 69 a 79, In queste pagine Peli, presentando alcune memorie di gappisti, pone l’attenzione della sua ricerca su cosa volesse dire attuare violenza “a freddo”, contro una vittima considerata sì nemica, ma in quel momento incapace di difendersi: una serie di considerazioni morali sorgono negli attentatori, tra cui la difficoltà nell’uccidere una persona in cui, dato il contesto di guerra, non è difficile identificarsi, la paura di essere catturati e quindi uccisi dopo le torture, considerazioni morali che fanno vedere il soldato nemico come una vittima del sistema.
369 Ivi, pp. 18, 19, 28, 29. Santo Peli riporta anche degli esempi di attentati, come l’uccisione di due ufficiali tedeschi a colpi di martello e lima in Piazza Argentina a Milano, oppure l’uccisione del Federale di Milano Aldo Resega, il 18 dicembre 1943, prevalentemente fatti dai GAP di Milano, i primi che il Partito Comunista riuscì a organizzare efficientemente (ivi, p. 55). Al tema delle rappresaglie, che anche all’epoca fu un nodo nevralgico delle discussioni interne al CLN sul modo di agire del movimento resistenziale, è sviluppato da Peli in un apposito capitolo, il n. VIII.
370 S. Peli, “La Resistenza in Italia”, p. 74. Peli riporta anche che lo stesso Stato maggiore dell’esercito della RSI stimava le forze partigiane a poco meno di ottantamila unità. Nelle pagine successive l’autore affronta il tema delle difficoltà da parte dei comandi delle singole formazioni di armare la massa dei nuovi arrivati e di riuscire a capire chi riuscirà a resistere alla prova del fuoco.
371 L. Klinkhammer, “L’Occupazione Tedesca in Italia”, pp. 308, 309. La formazione delle Brigate nere non fu però priva di opposizioni: la GNR stessa tentò, nonostante la propria debolezza, di non cedere i propri militi alle Brigate nere, creando una situazione conflittuale tra forze di polizia.
372 G. Pardini, “La Repubblica Sociale Italiana”, pp. 320, 322, 344.
373 L. Klinkhammer, “L’Occupazione Tedesca in Italia”, p. 313, 317. Nel conteggio dell’autore sono comprese pure le camicie nere.
374 Gianluca Fulvetti, Giulia Gemignani, Carlo Giuntoli, “Fascismo, Guerra, Violenza. Lucca 1943-1944”, Lucca, 2010, capitolo “San. Lorenzo a Vaccoli, 3 agosto 1944”. La vicenda è raccontata anche dalle stesse Camicie nere che presero parte all’azione nelle testimonianze che diedero, a guerra finita, ai Carabinieri durante le indagini condotte per fare chiarezza sui fatti di San. Lorenzo a Vaccoli. La testimonianza rilasciata il 28 maggio 1945 da Luigi Giorgetti, il quale dichiara di non aver preso parte all’azione rimanendo a guardare, indica l’arresto di quattro contadini: Gino Neri, Giuseppe Sani, Adolfo Farnesi, Giuseppe Del Bianco. Questa, e interrogatori simili ad altri militi della XXXVI^ Brigata nera “B. Mussolini” di Idreno Utimpergher, in ASlu, fondo “Inventario delle Carte della Commissione Provinciale di Epurazione di Lucca”, busta 12, serie II. Le dichiarazioni di Giorgetti sono allegate al rapporto n. 111 del 17 giugno 1945 della stazione di Lucca dei Carabinieri, inviato alla Procura di Lucca e alla Delegazione Provinciale dell’Alto Commissariato per l’Applicazione delle Sanzioni contro il Fascismo.
375 L. Klinkhammer, “L’Occupazione Tedesca in Italia”, p. 333.
376 Ivi, pp. 33, 334, 335. In queste pagine Klinkhammer riporta anche alcuni esempi della violenta repressione nazifascista in Italia, come la strage avvenuta il 13 agosto 1944 a Sant’Anna di Stazzema o quella avvenuta a Monte Sole vicino Marzabotto, a cavallo tra il settembre e l’ottobre.
377 Claudio Pavone, “Una Guerra Civile. Saggio Storico sulla Moralità della Resistenza”, Bollati Boringhieri, Torino, 2021. L’opera di Pavone, un imprescindibile per lo studio della Resistenza, è celebre anche per lo studio condotto sul “di più” di violenza (riprendendo una frase di Primo Levi) esercitato nel corso del conflitto.
378 L. Klinkhammer, “L’Occupazione Tedesca in Italia”, pp. 347, 351.
379 R. Bertolini, “La Resistenza in Garfagnana”, pp. 29, 78, 79.
380 Ivi, pp. 42, 43, 56. Lo stesso autore riporta che la stima può essere aumentata fino a più di quattromila unità, se si considerano formazioni non propriamente inquadrate sotto il comando di Oldham, ma dipendenti dalla sua “Divisione”.
381 Giorgio Petracchi, “Al Tempo che Berta Filava. Alleati e Patrioti sulla Linea Gotica (1943.1945)”, Mursia, Milano, 1995, pp. 80, 84,
382 Ivi, pp. da 114 a 118.
Emanuele Venchi, Ingranaggio del controllo: la censura postale in Italia e a Lucca nella Seconda guerra mondiale (1940-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2022-2023