Una ragazza croata nella Resistenza tra Bologna e Modena

Vinka Kitarovic. Fonte: Resistenze in Cirenaica art. cit. infra
28 settembre 1947. Cerimonia solenne in Piazza Maggiore a Bologna. Nella foto sul
sagrato della Basilica di San Petronio il comandante del CUMER (Comando Unico
Militare Emilia-Romagna) “Dario” Ilio Barontini conferisce una decorazione a Vinka
Kitarovic. Fonte: Resistenza art. cit. infra

Studentessa ginnasiale, durante l’occupazione militare italiana, iniziata nella primavera del 1941, Vinka Kitarovic entrò a far parte dell’Unione della gioventù comunista, operante nella clandestinità. Arrestata con un gruppo di compagne e tradotta dalla polizia fascista a Bologna è stata rinchiusa in un istituto di via della Viola nel quartiere Santa Viola. Fuggita durante un bombardamento aereo nel 1944 con l’aiuto di militanti della Resistenza bolognese, è divenuta staffetta partigiana coi nomi di battaglia “Lina” a Bologna e “Vera” a Modena. Il fratello Ivo è scomparso nella Guerra di Liberazione in Jugoslavia.
Redazione
“Essendo stata un’internata politica – sono di nazionalità jugoslava – nell’autunno del 1943, dopo il 25 settembre, ebbi occasione di incontrarmi con due militanti comunisti della Resistenza bolognese, Giorgio Scarabelli e Linceo Graziosi, tramite una conoscente di quest’ultimo che fungeva da sorvegliante nel luogo della mia detenzione. Quale fatto, dunque, e quale momento politico mi sembrasse più significativo – riferendoci alla situazione politica, italiana mi riesce difficile dire, appunto perché la realtà italiana di allora io la conobbi dietro le “sbarre”. Personalmente aderii alla Resistenza italiana, in quanto nella stessa ritrovavo sia il pensiero, sia il fine che erano alla radice del movimento di Resistenza del mio Paese. Gli italiani insorgevano contro il nazifascismo, che opprimeva anche il mio popolo, e mi sembrò quindi la cosa più logica e più naturale unirmi ad essi nella lotta contro il nemico comune. Appunto perché ero una straniera, e per di più giovanissima, sinceramente credo che, se volessi analizzare i miei sentimenti di allora e forse anche di oggi, il fatto di maggior interesse politico per me fu, e rimane tutt’ora l’unità e la crescente partecipazione delle genti italiane al movimento di liberazione. Il fattore politico per me si affianca al risveglio della dignità umana del popolo e al riscatto dei valori che differenziano l’uomo da altri esseri viventi e quindi il movimento di liberazione e la Resistenza al nazifascismo sono parti non solo materiali, ma innanzitutto ideologiche ed etiche. Che lo stesso poi scaturisca in una serie di momenti più significativi o più decisamente circoscritti, rimane per me una conseguenza logica del pensiero che creò il movimento partigiano non solo italiano, ma anche internazionale. Non so se ho risposto pienamente alle domande che mi sono rivolte ma, onestamente, se voglio essere la partigiana della verità, così come allora cercai di essere degna della fiducia dei miei compagni di lotta, non posso rispondere in modo differente. Forse è dovuto anche al fatto che io facevo parte della schiera delle “staffette partigiane” operanti in pianura e in città. Dove il fattore più importante era il contatto sociale. Queste ritengo siano state le cause che mi hanno portato a militare nelle fila della Resistenza italiana e sono le stesse che spiegano a me il perché trovai tanto naturale unirmi ai compagni italiani e a lottare insieme a loro. Essere una staffetta partigiana non implicava la partecipazione diretta ad una determinata azione, bensì determinava un’attività di affiancamento, di collegamento, di sostegno. Sono stata una staffetta della Brigata 7ª GAP qui a Bologna nel periodo febbraio-giugno 1944 e in seguito staffetta del Comando della 65ª Brigata “Walter Tabacchi” di Modena e nell’ufficio di collegamento del CUMER (Comando Unico Militare Emilia Romagna), sempre a Modena. Per l’attività da me svolta i ricordi e le emozioni non si possono scindere in quelle “bolognesi” e in quelle “modenesi”, ma sono ricordi e sentimenti di un’epopea partigiana che non conosce confini territoriali. Ho già ricordato che l’attività di una staffetta si differenzia da quella normale attribuita ad un partigiano combattente: è un’attività che non scaturisce (almeno per me) in determinate azioni di guerra (anche perché ho sempre lavorato presso i comandi e nelle città), ma s’intreccia e procede con queste, non coincidendo mai totalmente con il momento dell’azione partigiana. Questo non vuole dire che i ricordi e le emozioni siano mancate, erano invece differenti da quelle di un episodio particolare di guerra combattuto con le armi. Le emozioni di diretta partecipazione che provai nell’esplicare il lavoro affidatomi, si riferiscono a momenti particolari di pericoli, di ansie puramente personali e non credo quindi giusto identificarle con un determinato episodio di guerriglia partigiana. Se ai fini di un’“epopea partigiana” possono servire non solo le date ed i fatti, ma anche l’intensità delle emozioni e di sentimenti che accompagnarono quel periodo, allora forse, la “staffetta partigiana” ne possiede in buona misura. Ma è inutile chiederle di precisare il momento più intensamente emozionante, il ricordo più vivo, perché ogni momento nel suo ricordo vive con una intensità che non ha misura. Sono ricordi di uomini e di donne, di compagni di lotta con i quali ci si rallegrò delle vittorie riportate e ci si rattristò sulla durezza della guerra e dell’oppressione. Sono ricordi insomma di sogni comuni per un mondo libero da guerre e da oppressioni. E spesse volte questi uomini e donne mancarono all’appuntamento seguente e, magari, la staffetta fu testimone diretta e muta del loro arresto, quando non capitò di rivedere i compagni freddi e immobili nella morte. Quali di questi ricordi è più o meno intenso? Io non posso misurarli. Ogni uomo, ogni donna, nel mio ricordo occupano lo stesso spazio: non c’è differenza.”
Vinka Kitarovic
Redazione, Perché io studentessa croata divenni staffetta qui con voi, Resistenza, Organo dell’ANPI Provinciale di Bologna – Anno X – Numero 1 – Marzo 2013


Illustrazione di Luigi Bevilacqua. Fonte: Resistenze in Cirenaica art. cit. infra

Vinka Kitarovic era nata a Šibenik, Sebenico in italiano, sulla costa della Dalmazia, in Croazia. Aveva 15 anni, era nata nel 1926, quando, mentre insieme ad altri studenti, era l’aprile del 1941, insieme ad altri studenti assisteva alla messa nella cattedrale di Sebenico, il vescovo, che stava voltato di spalle all’assemblea, si voltò per dare l’annuncio che gli Stukas, cioè gli aerei militari tedeschi, stavano bombardando Belgrado. Era l’inizio dell’ occupazione nazista e fascista, tedesca e italiana, della Jugoslavia. Lo stato si disgrega, l’esercito jugoslavo è allo sbando, si cominciano a formare le prime brigate partigiane jugoslave e nelle città cominciano ad arrivare nazisti e fascisti. In particolare a Sebenico, un bel giorno, un brutto giorno, sbarcano dai camion i soldati italiani, prendono il comando della città e pochi giorni dopo sbarcano anche al porto di Sebenico, le camicie nere. Quella è la prima volta che Vinka Kitarovic vede i fascisti. C’è una prima volta per tutti, ciascuno di voi ha una prima volta nella quale ha visto i fascisti e ha capito chi erano, quella è la prima volta per Vinka. Li vede girare per le strade della sua città, armati di randello e bottiglia, nella bottiglia c’è il famigerato olio di ricino, e a tutti coloro che non salutano romanamente vengono somministrate botte e contenuto della bottiglia. I giovani riescono a darsela a gambe, i vecchi le prendono. Poi le camicie nere arrivano anche a scuola, nella scuola di Vinka che faceva il ginnasio e che aspettava soltanto l’estate per andare al mare, andare in barca tra le isole dell’Adriatico e che, invece, in quell’aprile vede arrivare le camicie nere che bruciano i libri scritti in croato e impongono che tutte le materie vengano insegnate in lingua italiana e impongono che i libri di testo siano italiani e botte, olio di ricino e manganello per chi viene sorpreso a parlare in croato. Poche settimane di tempo per cambiare le insegne dei negozi e di nuovo vetrine spaccate, botte e manganello per chi non le cambia in tempo.
Vinka, che veniva da una famiglia naturalmente antifascista, il padre, tra l’altro, aveva combattuto contro gli italiani per le strade di Sebenico proprio quando D’Annunzio era andato a prendersi Fiume, in alcune delle altre città come Sebenico e Spalato gli italiani, sperando che D’Annunzio arrivasse anche li, avevano cominciato a tentare di prendersi le città e c’erano stati scontri con la maggioranza della popolazione che era, invece, croata e quindi, diciamo, in qualche modo il padre di Vinka Kitarovic era stato sull’altra barricata rispetto a Massenzio Masia che abbiamo incontrato prima. Queste sono, diciamo, anche le contraddizioni dell’antifascismo. Il fratello di Vinka entra nei partigiani jugoslavi, Vinka entra nella Gioventù Comunista Jugoslava, si chiamava SKOJ, e cominciano ad organizzare delle azioni. Prima cominciano a rifiutarsi di parlare in italiano, fanno scritte sui muri. Una sera dell’ottobre di quell’anno un gruppo di camicie nere e poliziotti bussa alla porta di casa Kitarovic e vengono a prendere Vinka. I genitori sono increduli, la ragazzina ha soltanto 15 anni, eppure hanno trovato una lista in casa di una sua compagna di classe, hanno trovato dei nomi su un’agenda e la considerano una pericolosa militante comunista antifascista. Quindi viene portata in caserma, viene interrogata, viene sbattuta in prigione per una settimana, rivede i suoi genitori solo il giorno prima di partire da Sebenico con una nave diretta a Trieste per essere deportata in Italia, insieme ad altre dieci ragazze come lei, che vengono poi smistate tra Torino, Roma, Milano e Bologna. Vinka viene destinata a Bologna, arriva a Bologna e viene portata in un istituto per la rieducazione delle minorenni traviate. Non c’erano poi soltanto minorenni traviate, c’erano persone considerate allora con disturbi psichici, c’erano ragazzine che erano state trovate per la strada a prostituirsi, c’era un po’ una umanità molto varia, diciamo, in questo istituto che era gestito da una famiglia nel quartiere Borgo Panigale in via della Viola.
Vinka, però, scopre che una delle guardiane non è come le altre. Nella sua testimonianza che leggerò questa sera nel reading Vinka dice: “Scoprii che un italiano non è per forza un fascista”. Non è semplicissimo scoprirlo però è così e Vinka scopre che c’è una guardiana che non è fascista, è antifascista e promette che se riusciranno a scappare lei e altre sue due compagne anzi, a quel momento ne era rimasta solo una perchè la terza veniva da una famiglia alto borghese e quindi era stata rimpatriata, erano soltanto in due, “se riuscite a scappare vi metto in contatto con degli altri antifascisti che possono trovare il modo per farvi tornare in Jugoslavia”.
Nell’ottobre del ’43 c’è un bombardamento, viene colpita una centrale elettrica di fianco all’istituto dove era rinchiusa Vinka Kitarovic. Approfittano del casino, fumo, polvere, per scappare. Scappano, vengono messe in contatto con un primo nucleo di partigiani che cercava di costituirsi nella zona di Monte San Pietro, sopra Zola Predosa, diciamo. Poi però questo nucleo viene rapidamente bruciato da degli infiltrati, da delle spie, e quindi Vinka viene diretta verso Bologna. C’è da dire che il progetto iniziale di tornare in Jugoslavia in realtà era stato abbandonato e sempre Vinka dice: “A un certo punto mi resi conto che tornare in Jugoslavia era troppo complicato. Era forse tutto sommato inutile, in fondo in Jugoslavia che cosa avrei fatto? Avrei combattuto contro fascisti e nazisti, la stessa cosa mi si offriva in Italia e tanto valeva farla subito senza affrontare un lungo e difficile viaggio”.
Arriva a Bologna. A Bologna inizialmente risiede nella casa dei Masi, era in via Crociali 4, è una traversa di via Massarenti, li c’era la casa dei fratelli Masi, in particolare uno che si chiamava Giacomo Masi, detto Giacomino che era un comunista che era stato anche in prigione in quanto sovversivo. Gli avevano fatto un processo nel ’36, lui aveva 18 anni, e promettendogli di non metterlo in prigione se dichiarava di non essere un comunista. Avevano cominciato ad insistere dicendogli : “dai, come si fa a essere comunista a 18 anni? Non si può essere comunisti a 18 anni. Tu basta che dici che non sei comunista, che è tutta una fola, che rinneghi quegli ideali e noi ti lasciamo andare”. E lui disse: “Sì, avete ragione in effetti a 18 anni non si può essere proprio comunisti, ma negli anni di prigione che mi darete cercherò di diventarlo davvero”. Gli diedero 8 anni, ne scontò 3 in prigione poi altri 3 come sorvegliato politico.
Vinka Kitarovic va a stare a casa loro e diventa una staffetta della settima GAP. Impara a andare in bicicletta, impara un po’ di italiano, comincia a trasportare armi, munizioni, ordini, bombe per atti di sabotaggio in giro per la città. A un certo punto, e qui c’è un’altra delle motivazioni forti per dare il nome Vinka Kitarovic a una via della Cirenaica, Vinka viene ad abitare in quella che oggi si chiama via Bentivogli. C’era una casa in via Bentivogli, che lei descrive con un’inferriata dove i vetri stavano sempre aperti, e da quell’inferriata si pescavano le bombe a mano oppure si nascondevano le armi dopo aver fatto un’azione e lei era quella che, il più delle volte, era incaricata di portare queste armi, depositarle o andarle a prendere perchè, non dimentichiamoci che, comunque, Vinka aveva 17 anni in quel momento e quindi era più difficile che la sospettassero di essere una staffetta. In realtà, a un certo punto, viene informata dagli altri gappisti che i fascisti sono sulle sue tracce, che la stanno cercando e quindi deve cambiare aria. Per cui Vinka, che qui a Bologna si faceva chiamare Lina, aveva questo soprannome, viene accompagnata dai partigiani di casa in casa, passando di nuovo dalle parti di Zola Predosa, nel modenese. E qui entra in contatto con un’altra formazione di partigiani, la Walter Tabacchi e cambia nome, da Lina diventa Vera, e però fa le stesse cose di prima, trasporta armi, trasporta munizioni, bombe a mano, ordini. Finchè non diventa addirittura una collaboratrice del CUMER, del comando unificato militare dell’Emilia Romagna, e quindi comincia ad avere rapporti anche con i partigiani che venivano a prendere ordini dal comando unificato militare, quindi li va a prendere, li accompagna, gli fa vedere la strada. Lei dice di tutti ne ricordo uno in particolare, che ho conosciuto e incontrato più volte ed è ricordato anche nella toponomastica del quartiere, Sante Vincenzi. Prima lo abbiamo visto anche nelle foto ucciso il giorno prima della liberazione di Bologna. Vinka Kitarovic si ritrovò così a Modena e non a Bologna, quando la città venne liberata il 22 aprile del 1945 e in tutto questo Vinka Kitarovic aveva 19 anni il giorno in cui liberarono Modena. Poi è vissuta nelle nostre zone fino alla morte, è morta pochi anni fa, spesso girava qualcuno avrà anche avuto la fortuna di conoscerla, io no, di incontrarla, di sentirle raccontare della sua vita a voce. […]
Wu Ming2, Vinka Kitarović, storia di una partigiana croata, Resistenze in Cirenaica, 11 luglio 2019