Un giudice di Savona, martire della Resistenza

All’indomani dei grandi rastrellamenti subiti dalle formazioni partigiane della Seconda zona ligure la situazione appariva grave ma non del tutto compromessa, soprattutto grazie alla brillante vittoria difensiva ottenuta dalla Quarta Brigata. Tuttavia, a conti fatti, degli oltre 1700 partigiani che operavano nel settore a metà novembre, tre settimane dopo non ne rimanevano forse più di cinquecento, di cui 400 circa appartenenti alle unità garibaldine <1. Il bilancio complessivo degli eventi occorsi in novembre [1944] non necessita di particolari commenti. La Quinta e la Sesta Brigata semidistrutte e cacciate dalla provincia, la Terza indebolita seriamente; in campo autonomo, l’autoscioglimento della Brigata Savona “Adriano Voarino”. Tra gli azionisti, il tracollo dello schieramento GL nell’acquese a causa dell’attacco tedesco del mese precedente aveva innescato una cronica crisi d’identità nella Brigata “Cristoforo Astengo”, attiva lungo la strada Sassello-Acqui con isolati attacchi agli automezzi nemici, che dapprima manovrò per fondersi con ciò che restava della “Bonaria” in una divisione GL, poi, travolta dagli arresti che ne decapitarono i collegamenti con Savona e Genova, finì per sciogliersi in dicembre confluendo in parte nella brigata democristiana “Emilio Vecchia” inquadrata nella divisione garibaldina “Mingo” <2. In tutto il mese di novembre erano rimasti uccisi, contando anche i sapisti, cinquanta garibaldini e sette autonomi <3, a riprova della violenza dei rastrellamenti; la notevole differenza nel numero dei caduti è da attribuirsi da un lato alla preponderanza numerica dei garibaldini, dall’altro alla temporanea dissoluzione della Brigata Savona.
La netta diminuzione dell’attività partigiana registrata dopo i rastrellamenti consentì a tedeschi e fascisti una maggiore libertà d’azione, che si tradusse, come già avvenuto in situazioni analoghe, in vaste operazioni di polizia e “cambi della guardia” al vertice che non risolsero nulla. In verità, il valzer delle poltrone era ricominciato fin dai primi di novembre, quando il Capo della provincia Mirabelli aveva nominato podestà di Savona Alberto Rebella, una singolare figura di squadrista operaio, in passato segretario provinciale del sindacato fascista dei lavoratori del vetro nonché fiduciario di fabbrica <4. Tale nomina, molto strombazzata dai quotidiani di regime, lasciò fredda la cittadinanza del capoluogo. Infatti, se da un lato la borghesia non vedeva di buon occhio la presenza di un simile arrampicatore sociale a capo dell’amministrazione comunale, dall’altro la classe operaia savonese considerava Rebella e i pochissimi lavoratori fascisti dell’industria nulla più che pendagli da forca. E quanto a pretese tendenze “di sinistra” del nuovo podestà, basti citare uno dei suoi primi proclami, datato 10 novembre: “Cittadini, quando il nemico ha calpestato il sacro suolo della Patria e fa scempio delle sue belle città ogni esitazione e viltà è tradimento. Onore e tradizione impongono alla nazione di essere solamente un esercito e non è italiano chi non combatte per la santa causa della liberazione. Giovani savonesi il giorno del nefasto tradimento è lontano, è passato ormai il tempo del conseguente smarrimento. Chiunque abbia obblighi militari si presenti al suo comando, regolarizzi la sua posizione, ora che il termine ultimo sta per spirare e ciò molto più che per i rigori della legge, per il pensiero di sé medesimi e dei familiari, per i riacquistati beni del senso del dovere, dell’amor patrio e della fede. Vinceremo!” <5.
Parlare questo linguaggio e tentare contemporaneamente di abbindolare gli operai con il miraggio della socializzazione significava aver perso i contatti con la realtà.
Sempre nel tentativo di rilanciare il mito della socializzazione, consistente alla fine nel passaggio di una quota minoritaria del potere gestionale delle aziende a lavoratori designati dai sindacati fascisti, lo stesso vicesegretario del PFR Pino Romualdi si recò a fine dicembre a Savona per tenere un rapporto alle commissioni interne fasciste delle fabbriche, rivendicando alla RSI il merito di aver “affidato al popolo la direzione delle aziende” <6. In verità i fascisti cercavano di farsi coraggio, perché nessuna delle loro iniziative sembrava avere successo, e quando le cose, dal loro punto di vista, marciavano per il verso giusto, il merito era immancabilmente dei tedeschi. Nemmeno i rastrellamenti si rivelarono il successo sperato, giacché alcune unità partigiane vi avevano resistito senza disperdersi; ciononostante le autorità tentarono di sfruttare a fini propagandistici ed intimidatori la grande impressione suscitata dalle perdite inflitte in tutta l’Italia occupata ai ribelli, arrivando a proiettare nei cinema di Savona un documentario sull’argomento <7. Alla fine, dopo tanto clamore, i fascisti finirono per darsi la zappa sui piedi, come si rileva da queste frasi apparse sulla “Gazzetta di Savona” del 16 dicembre 1944: “Partigiano che porti sul tuo petto la stella rossa, oggi ti parlo con cuore di amico. Ti ammiro e ti stimo per l’amore e la passione con la quale servi il tuo ideale. E’ appunto per questo che ti voglio togliere dalla via su cui una insana propaganda ti ha trascinato (…). (…) Un paese fiorente di una nostra vallata è ormai da più mesi sotto il controllo delle Brigate Garibaldine e (…), militarmente – o partigiano – puoi contare delle vittorie. E’ vero che alcuni non le vogliono riconoscere: non è infatti molto eroico attaccare alle spalle un nemico più debole: ma questa è la tua guerra e io riconosco le tue vittorie (…)” <8. Frasi che si commentano da sole: la confusione ideologica che regnava in campo fascista poteva portare anche a queste prese di posizione ambigue e spiazzanti.
Un altro cambio al vertice si ebbe in gennaio [1945] con le nomina di Paolo Pini, vicefederale di Genova, a federale di Savona in sostituzione di Quinzio Aicardi e, soprattutto, con la sostituzione del Capo della provincia Filippo Mirabelli, cui doveva subentrare l’ex federale di Gimma (Abissinia) Pietro Bologna, che prima ancora di insediarsi si vide preferire lo squadrista frusinate Paolo De Maria <9. L’unico elemento positivo per i nazifascisti, nel periodo invernale, fu l’efficienza delle varie polizie, che furono in grado di scoprire e smantellare parte della rete cospirativa antifascista, in particolare quella azionista.
La genesi dell’organizzazione politico-militare del Partito d’Azione nel Ponente fu abbastanza complessa: per quanto riguarda l’argomento della presente tesi, possiamo dire che dopo alcuni tentativi di insediamento di bande e gruppi politicizzati, gli azionisti, considerando Imperia zona “rossa” ed impraticabile, avevano puntato le loro carte su uno stretto legame tra Savona e Genova. Gli uomini destinati a tessere i contatti e ad aiutare le bande GL erano i già citati Botta, Panevino e Drago, coadiuvati dal pietrese Gherardi, dal dottor Goso di Bardineto e da quattro militari di carriera, il tenente colonnello di Stato Maggiore Gustavo Capitò con il suo aiutante di battaglia Luigi Ottonelli e il colonnello di Stato Maggiore degli alpini Vigliero con l’attendente maresciallo Accinelli (gli ultimi due operavano nella zona di Ceva) <10. Si noti la presenza degli ufficiali, generalmente malvisti nelle formazioni GL piemontesi, a dimostrazione del fatto che l’azionismo del Ponente ligure mostrava chiare connotazioni moderate. Per l’autunno la rete cospirativa azionista poteva contare su Capitò all’Ufficio Informazioni del Comando Regionale di Genova. Nello stesso periodo Goso, impiegato della “Petrolea”, ex capitano dell’esercito a suo tempo compagno di corso di Vigliero e commilitone di Capitò, dava notizie politico-militari su Savona e provincia, mentre Ottonelli, ex membro del SIM fascista, girava in bicicletta fingendosi merciaio, raccoglieva informazioni e stringeva cordiali rapporti con il giudice Panevino. Quest’ultimo, ritenendosi forse al di sopra di ogni sospetto, correva rischi enormi trasportando in Tribunale gli esplosivi destinati alla Resistenza. In quest’opera gli furono utili amici fidati come il cancelliere Pollano. Inoltre, Panevino continuava a viaggiare per quanto gli era possibile, tenendo i contatti con Botta e “Bacchetta” a Cairo, a Dego, a Sassello. Fallito il tentativo di ricreare la brigata “Astengo” su nuove basi, come abbiamo visto, Panevino (il cui nome cospirativo era “Silva”) fu avvertito che i servizi di sicurezza repubblicani lo pedinavano, ma fece finta di nulla per non destare ulteriori sospetti. A questo punto (si era nel pieno dei rastrellamenti antipartigiani) Goso entrò in contatto con il ventunenne sottocapo di Marina Carlo Revelli, sedicente antifascista, che ne ottenne la piena fiducia e riuscì a farsi raccontare tutto su Panevino e Capitò. In realtà Revelli era forse il migliore agente investigativo della sezione Ic della “San Marco”, e riferì puntualmente al suo superiore Mazzanti. Il 13 dicembre Goso fu arrestato e, picchiato a sangue, confermò tutto agli inquirenti. Il giorno dopo Panevino, ignaro dell’accaduto, rincasando si dimenticò del segnale di pericolo concordato con i familiari (una copertina della figlia appesa alla finestra) e venne a sua volta catturato. Nonostante i frenetici tentativi di mettere al sicuro i superstiti, Capitò fu arrestato il 16 in casa del suocero, e il giorno successivo fu la volta di Ottonelli, al quale trovarono una cartina con i piani per il sabotaggio della galleria di Ceriale. Sulle prime, nel carcere di Sant’Agostino, Panevino fu trattato correttamente. Quando vi entrò, i detenuti attoniti si misero sull’attenti. Il 10 gennaio 1945 fu trasferito con Goso, Capitò, Ottonelli ed il cancelliere Muti (altro arrestato dell’operazione, poi liberato il mese seguente) alla Terza sezione del carcere genovese di Marassi, dove, nonostante la durezza della detenzione, l’umanità di alcuni carcerieri permetteva di mantenere contatti con i familiari. Il 15 febbraio Panevino fu inutilmente condotto alla temutissima “Casa dello Studente”, ma, mentre lo riportavano a Marassi, una donna, spia infiltrata dai fascisti tra i detenuti, lo sentì parlare con una prigioniera che conosceva il suo nome di battaglia. A questo punto gli inquirenti si resero conto che l’inafferrabile “Silva” era il giudice Nicola Panevino, e lo riportarono alla “Casa dello Studente”. Questa volta il magistrato subì torture mostruose: per cinque ore lo psicopatico SS Siemsen lo “interrogò” con botte, frustate, scosse elettriche, ustioni, annegamenti, insomma tutto il campionario di tormenti che con malvagio e compiaciuto sadismo venivano abitualmente praticati dalle SS, dalla Gestapo e dai peggiori elementi delle polizie repubblicane. Panevino non resistette all’abominevole trattamento ed ammise tutte le proprie responsabilità. Gettato in una celletta angusta, fu torturato per altri quattro giorni e fece i nomi di Ciccio Drago (che sapeva già morto il 30 dicembre a Melazzo, vicino ad Acqui Terme <11), di Botta (messosi al sicuro in montagna) e di un altro collaboratore, Girello (che, avvisato, si salvò). Dopo lunghe settimane di detenzione il 23 marzo 1945, al cimitero di Cravasco, sulla strada del passo della Bocchetta, Panevino venne fucilato dalle SS insieme ad altri 16 compagni di prigionia, tra cui Goso, Capitò e Oscar Antibo “Lauri” <12.
[NOTE] 1-Mie stime basate su dati tratti da M. Calvo, Eventi di libertà. Azioni e combattenti della Resistenza savonese, Savona, ISREC Savona, 1995, e su non facili ipotesi e considerazioni sull’attendibilità e la completezza dei dati stessi, l’ubicazione dei reparti nel periodo considerato, la provenienza dei volontari, ecc. 2-Cfr. Nicola Panevino, in M. Zino, Più duri del carcere, Genova, E. Degli Orfini, 1946, pp. 25 segg., e G. Pansa, Guerra partigiana…cit., pp. 295 e 338. 3-M. Calvo, op. cit., pp. 398 – 400. 4-G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 218. 5-Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 218. 6-Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 218. La citazione è tratta dal “Lavoro” del 1° gennaio 1945. 7-G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 215. 8-R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 197. 9-G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 332. 10-Nicola Panevino, in M. Zino, op. cit., pp. 25 segg. 11-M. Calvo, op. cit., p. 402. 12-Nicola Panevino, in M. Zino, op. cit., pp. 25 segg.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000