Tutta l’opera di Elsa Morante allora come un unico grande romanzo possibile

Ogni vero scrittore è costretto a riflettere sulle parole, a creare un lessico proprio.
Puntellare la trama meditativa di ogni opera significa gettare solide fondamenta con alcune parole che esprimono temi o motivi ricorrenti capaci di penetrare ciò che di più importante esiste, la realtà, per rendere la pagina cannocchiale sulla vita. Il cammino è impervio, si torna sui propri passi, si lavora di cesello, per cercare di definire e poi rifinire una necessità esistenziale; per dire in un determinato momento qualcosa che preme più d’altre; inseguire perciò alcune definizioni sfuggenti; creare un romanzo che non avrà mai fine se non con la fine di chi scrive.
Tutta l’opera di Elsa Morante allora come un unico grande romanzo possibile. <1
Pur se non esplicitato o non chiaro al livello della coscienza, ogni scrittore possiede un lessico personale, dove una fitta congrega di parole o si nasconde quanto più possibile per passare inosservata o s’apposta per tendere agguati al lettore ma, può capitare, anche a chi scrive, <2 i cui pensieri costanti talvolta al limite dell’ossessione, sottoposti col trascorrere del tempo a variazioni di senso più o meno leggere, a metamorfosi, sono capaci di partire attraversare e arrivare diversi dal momento iniziale eppur sempre presenti.
[…] Nel saggio “Sul romanzo” Elsa Morante scrive: “L’arte narrativa (al pari di quella del teatro, o della poesia lirica), è una delle forme necessarie di cui si vale l’uomo per suscitare, col mezzo della parola, una sempre nuova verità poetica dagli oggetti reali (secondo il fine di tutte le arti: che è il perenne rinnovamento della realtà). <3 Col sentimento avventuroso e quasi eroico di chi cerca un tesoro sotterraneo, egli [lo scrittore] dovrà ora cercare quell’unica parola, e nessun’altra, che rappresenta l’oggetto preciso della sua percezione, nella sua realtà. Appunto quella parola è la verità, voluta dal romanziere. E appunto qui, nell’atto stesso di scrivere, il romanziere andrà così inventando il proprio linguaggio. È l’esercizio della verità, che porta all’invenzione del linguaggio, e non viceversa. Col puro esercizio delle parole – dove queste parole non siano confidate dalle cose, e discusse attraverso il dialogo con le cose – si potrà magari combinare un artificio elegante; ma non si inventa nulla. Il problema del linguaggio – come ogni altro problema del romanziere – si identifica e si risolve, da ultimo, nella realtà psicologica del romanziere stesso, e cioè nella intima qualità del suo rapporto col mondo. <4 Neppure i motivi di carattere «strumentale», che oggi sembrano congiurare per una possibile crisi delle altre arti, non dovrebbero minacciare l’arte del romanzo, che si esprime e consiste nella parola. La parola si rinnova sempre nell’atto stesso della vita, e (a meno di una enorme frana della civiltà) non può scadere a oggetto pratico, spento e logoro. Ogni altro strumento può deperire o decadere, ma la parola rinasce naturalmente insieme alla vita, ogni giorno, fresca come una rosa. Così seppure i musicisti moderni vorranno ricorrere alla fisica elettronica, e i pittori sostituire al pennello la fiamma ossidrica, e gli scultori, al posto della materia plasmabile, usare degli spaghi ritorti, lo scrittore non potrà seriamente alienarsi dal proprio lavoro in simili esperimenti di fabbrica. Il suo mezzo, e la sua espressione, sono tutt’uno. Non si può trasferire o travisare il valore della parola, giacché le parole, essendo i nomi delle cose, sono le cose stesse. Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa”. <5
E in Aracoeli: «Nel secolo della degradazione, che noi viviamo, le parole sono ridotte a spoglie esanimi: restituire una parola alla sua vita primigenia si avvicina quasi, per l’atto miracoloso, alla risurrezione dei corpi.» <6
La filosofa Simone Weil, della cui influenza sul pensiero della Morante si parlerà nella sezione critica, scrive: «il sapore delle parole: che ogni parola abbia un sapore massimo. Il che implica un accordo tra il senso che le è dato e tutti gli altri suoi sensi, un accordo o un’opposizione con il suono delle sillabe, accordi e opposizioni con le parole che la precedono e la seguono.» <7
La ricerca della parola giusta, la necessità di coniugare contenuto e forma dominano il mondo creativo della Morante. <8 La scelta minuziosa di una parola, ‘quella parola’, operata tra tante con simile significato risulta dallo spoglio dei manoscritti: sono famose le sue liste di parole, che testimoniano di un continuo
lavorio per l’individuazione della più opportuna, che meglio si adatti ad un determinato contesto. <9 Le scelte lessicali, l’iterazione di specifici termini sono indicatori di uno stile che è tutt’uno col narrato, intreccio di una storia di parole che, composte in modo da richiamare costanti tematiche e archetipi dell’intera opera della scrittrice, descrivono plasmano suggeriscono luoghi immagini colori suoni odori suscitando idee e sentimenti con la stessa immediatezza ed intensità. Tutto questo produce una lingua ricca e composita dove sempre si conferma l’idea della forza della parola e della letteratura.
[…] Mi sono proposta uno scopo circoscritto a tre opere: Lettere ad Antonio, Alibi e Aracoeli. Tale selezione che nasce da un ragionato vaglio critico, volto ad approfondire l’universo creativo della scrittrice, è in grado di offrire un elevato numero di lemmi fondamentali per un Lessico futuribile, costruito sull’intera produzione della Morante.
Dunque lessicografia e lessicologia descrittiva di tre opere capaci di informare e formulare validi spunti di ricerca sulla complessiva creazione artistica, connesse ad un’indagine letteraria in cui lo studio del fenomeno lessicale e il ricorso alla registrazione lessicografica della lingua di Elsa Morante favoriscono formulazioni più certe sul suo lavoro, pensiero e linguaggio.
[…] Si intende quindi valorizzare tre testi che rispetto a Menzogna e sortilegio, L’isola di Arturo, Il Mondo salvato dai ragazzini e La Storia <10 sono stati trascurati e non sempre analizzati con la dovuta attenzione. Delle tre opere selezionate risultano importanti le date di composizione: Lettere ad Antonio è del 1938, Alibi e Aracoeli vengono pubblicate rispettivamente nel 1958 e 1982. Tra una composizione e l’altra passa all’incirca un ventennio e ciascuna appartiene ad un genere letterario diverso dalle altre. La prima si può ascrivere al genere diaristico per la sua struttura, la seconda è una raccolta poetica, la terza un romanzo. Fatta eccezione per i racconti usciti su varie riviste prima del ’38, questi tre testi coprono un arco temporale esteso a tutta la carriera artistica della scrittrice e presentano temi costanti proposti con identiche parole.
[NOTE]
1 La parola ‘romanzo’ non è qui chiamata a designare uno specifico genere letterario, bensì va intesa al modo di Elsa Morante saggista: «col nome di poema, o di romanzo, vengono definite le opere poetiche nelle quali si riconosce l’intenzione di rispecchiare l’uomo nella sua interezza.» Questo frammento è tratto dal saggio della Morante su Umberto Saba, Il poeta di tutta la vita, in «Notiziario Einaudi», VI, n. 1, aprile 1957, ristampato in occasione della morte del poeta nel settimanale «Il punto», 31 agosto 1957 e poi pubblicato nella raccolta di saggi di Elsa Morante Pro o contro la bomba atomica, Milano, Adelphi, 1987; ora anche in Elsa Morante, Opere, vol. II, Milano, Mondadori (collana I Meridiani), 1990, p. 1491. In questo saggio sono già accennati temi e individuate problematiche (cosa si deve intendere per romanzo, realtà e irrealtà, qual è la funzione del poeta, la necessità della simpatia ecc.) che saranno più ampiamente trattati nel saggio del ’59, Sul romanzo.
2 «In proposito, è certo che i romanzieri […] non sempre sono consapevoli di tutte le verità che scoprono; ma questo non importa, giacché le loro verità, piuttosto che per se stessi, essi le scoprono per gli altri. Quello che conta, in loro, non è la consapevolezza dei mezzi, o dei risultati; ma la fedeltà disinteressata a un unico impegno: interrogare sinceramente la vita reale, affinché essa ci renda, in risposta, la sua verità.» Elsa Morante, Sul romanzo, in Pro o contro la bomba atomica, in Opere, vol. II, cit., p. 1501. E ancora: «Tocca all’intelligenza, alla libertà di giudizio e all’attenzione dei contemporanei riconoscere le proprie verità – fino a quelle più occulte e inconfessate – nelle rappresentazioni dei loro poeti.» Ivi, p. 1511. Questo articolo nasce come risposta ad un’inchiesta sul romanzo avviata dalla rivista «Nuovi argomenti» nel 1959. Presente nella raccolta di saggi curata da Cesare Garboli dal titolo Pro o contro la bomba atomica, uscita postuma (1° ed. Adelphi, 1987) ma progettata dalla stessa scrittrice – come informa il critico nella prefazione alla prima edizione (poi anche in Cesare Garboli, Il gioco segreto. Nove immagini di Elsa Morante, Milano, Adelphi, pp. 201-220; in particolare, a tal riguardo, pp. 204-205) -, questo testo è ricco di enunciazioni artistiche, di dichiarazioni di poetica, contiene persino nelle ultime pagine alcune formule espressive che
anticipano quelle della seconda sezione della terza parte del libro del 1968 Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi. Considerando l’eccezionalità del saggio Sul romanzo, poiché la Morante non tornerà mai più a riassumere l’idea della letteratura in modo tanto esplicito e diffuso – eccettuate le interviste, comunque rare e brevi – senza il ricorso al filtro dei suoi alibi-personaggi, non mancheranno, soprattutto in questa Introduzione, volta a spiegare le motivazioni che hanno condotto al presente lavoro e i modi in cui è stato costruito, citazioni o riferimenti ad esso.
3 Elsa Morante, Sul romanzo, cit., p. 1499.
4 Ivi, pp. 1506 -1507.
5 Ivi, pp. 1516-1517. L’ultima frase è una chiara citazione da Gertrude Stein di un verso di Bee Time vine and other pieces (1913-1927): «Rose is a rose is a rose is a rose.» Cfr. l’antologia delle opere della Stein, La sacra Emilia e altre poesie, a cura di Luigi Ballerini, Venezia, Marsilio, 1998, p. 159.
6 Elsa Morante, Aracoeli, in Opere, vol. II, cit., pp. 1339-1340.
7 Simone Weil, Venezia salva [1968], a cura di Cristina Campo, Milano, Adelphi, 1994, p. 29.
8 «Elsa aveva una grande cura nello scegliere le parole. Considerava ogni parola impropria un tradimento del reale e della missione del poeta. […] Un’impercettibile sfumatura nella scelta di una parola e nel suo accostamento può capovolgere o stravolgere sentimenti, pensieri, emozioni. Spesso le parole siedono stanche alla ricerca del poeta. Non si erano mai stancate invece di cercare e trovare Elsa.» Fabrizia Ramondino, La più bella dichiarazione?, in «Fine secolo», inserto di «Reporter», 7-8 dicembre 1985, p. 20.
9 Nei manoscritti morantiani (Menzogna e sortilegio, L’isola di Arturo, Il mondo salvato dai ragazzini, La Storia, Aracoeli), donati nel 1989 dagli eredi dell’autrice alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele di Roma e ora conservati e custoditi presso il Dipartimento Manoscritti e Rari, si trovano elenchi di parole, la cui funzione è stata evidenziata da Giuliana Zagra che, a proposito di Menzogna e sortilegio, scrive: «Un discorso a parte meriterebbero gli elenchi di parole, che frequentissimi troviamo nelle ultime pagine e sui fogli sparsi: associazioni libere, assonanze e estrapolazioni del testo già scritto, quasi un’esercitazione, una sorta di riscaldamento linguistico forse per consentire la concentrazione, riempire i momenti di vuoto, individuare le parole chiave di un personaggio e di una situazione»; dell’Isola di Arturo: «Numerosissimi i fogli con gli elenchi di parole, alcune incolonnate in triplice fila, di cui molte asteriscate o sottolineate»; del Mondo salvato dai ragazzini: «I piatti di copertina sono come per Menzogna e sortilegio ricchi di citazioni, elenchi di parole, frammenti di testo, appunti e rappresentano spesso una fonte preziosa di informazioni e suggerimenti»; della Storia: «L’aspetto significativo che in qualche modo connota il manoscritto de La Storia e che ricorre nelle note a fronte, negli appunti, nelle correzioni, è certamente l’estremo rigore storiografico, l’intento scientifico, la tensione all’esattezza cronologica quasi ossessiva […] Anche gli elenchi di parole che ricorrono in questo manoscritto spesso si piegano all’intento documentaristico: “Sguscio – sgaro – pidocchietto (cinema di infimo ordine) // Rumba o Samba (1946)?” »; di Aracoeli: «gli elenchi di parole si fanno più rari: […] e sembrano nascere più che altro da una ricerca lessicale: “Rappresa/ stravolta/ deteriorata/ sconciata/ compressa/ pesante/ piatta/…”», Giuliana Zagra, I manoscritti di Elsa Morante alla Biblioteca Nazionale di Roma, in AA.VV., I manoscritti di Elsa Morante e altri studi, in «BVE Quaderni 3», Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, 1995, per le citazioni rispettivamente pp. 5, 7, 8, 10, 11. Si legge inoltre in Cesare Garboli e Carlo Cecchi (a cura di), Cronologia, in Elsa Morante, Opere, vol. I, Milano, Mondadori (collana I Meridiani), 1988, p. XXIX: «Un quadernetto dalle molte pagine strappate ci conserva una lista di parole dal titolo “Parole!!!!”» Il quaderno risale al 1937; da una foto di una pagina di questo quaderno si vedono tre colonne ciascuna delle quali con una fitta lista di parole; accanto ad alcune di
esse ci sono delle crocette forse ad indicare l’inserimento in un testo che la scrittrice andava allora redigendo. La foto classificata «Fig. 95: Sezione VII, Fondo Carlo Cecchi. Taccuino [1937]» è inserita nella sezione di illustrazioni in Giuliana Zagra, Simonetta Buttò (a cura di), Le stanze di Elsa. Dentro la scrittura di Elsa Morante, Roma, Editore Colombo, 2006. In questo libro classificata come “fig. 22” si trova una foto di una pagina manoscritta di La Storia con cinque fittissime colonne di parole. Si tratta di parole di media cercabilità, ma non d’alta frequenza nel parlato e nello scritto di un italofono. V’è perfino accanto a ‘stramane’ il sinonimo più frequente ‘fuorimano’. Appare evidente da parte della scrittrice una chiara ricerca lessicale volta ad impreziosire la sua lingua letteraria, ma soprattutto la non taciuta volontà di sfuggire ad uno schema lessicale proprio della lingua del documentarismo, della lingua media di molta letteratura contemporanea e in particolar modo di quella neorealista, poiché «supremi esempi di non-realismo, di non-impegno, e di evasione, a me sembrano certi prodotti del realismo socialista (così nominato), o del (così nominato) neorealismo contemporaneo» e «la moda contemporanea del documentarismo, […] per la sua falsa presunzione, dà sempre dei prodotti falsi», Elsa Morante, Sul romanzo, cit., pp. 1502, 1508. Ogni scelta linguistica certifica la tensione artistica della Morante volta a favorire l’equivalenza tra arte, verità e realtà.
10 Non si dimentichi l’ampio dibattito che scaturì all’indomani della pubblicazione de La Storia (1974) tanto aspro da far dire a Fortini: «Otto anni fa La Storia divise la critica ma soprattutto oppose la maggior parte dei critici al successo di pubblico. Non volli allora scriverne; anche perché c’erano amici che quasi ti toglievano il saluto se avevi dubbi sulla qualità del libro.» Franco Fortini, «Aracoeli» [1982], in Nuovi saggi italiani, Milano, Garzanti, 1987, p. 240. Dell’articolo di Marino Sinibaldi, si fornisce un frammento indicativo: «[…] l’acceso dibattito che quel libro suscitò sui giornali, le riviste e i circoli della allora nuova sinistra, e in particolare sulle pagine del quotidiano “Il Manifesto” dove apparvero, tra il 6 luglio e il 10 agosto 1974, nell’arco cioè di un mese circa, ben 14 tra interventi, lettere, documenti collettivi. […] bisogna ammettere che, accanto credo solo a Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez ma con un impatto più diretto, La Storia ha svolto quel ruolo di romanzo non solo da leggere ma su cui discutere, dividersi, formarsi.» Marino Sinibaldi, “La Storia” e la politica. Gli analfabeti degli anni Settanta, in AA.VV., Per Elsa Morante, Milano, Linea d’ombra, 1993, p. 205.
Laura Pacelli, Per un lessico intellettuale di Elsa Morante, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Anno Accademico 2009/2010