Se nel 1948 Giannini si era schierato contro la Dc, ora la supportava

Un’analisi diacronica può darci un’idea di questo evolversi dell’atteggiamento di Giannini nei confronti della Democrazia cristiana e allo stesso tempo farci meglio comprendere perché il qualunquismo perse la sua carica protestaria per diventare un movimento, e un giornale, filo-governativo.
Prima della svolta del maggio 1947, Giannini, forte dei risultati delle amministrative del precedente autunno, portava avanti a suon di editoriali e vespe una virulenta battaglia contro la Dc, accusata perfino di incombere «come un tumore sull’Italia assai più pericolosa e malvagia di altri e pericolosi raggruppamenti politici, i quali hanno almeno il pregio d’essere brutalmente sinceri» <1145. Escluse le sinistre dalla compagine governativa poteva però salutare nel nuovo governo monocolore con l’apporto dei tecnici un tentativo di fare chiarezza <1146. In giugno, infatti, motivava un voto favorevole alla Dc del gruppo qualunquista alla Costituente sostenendo che «votando oggi per questo Governo della Democrazia Cristiana, noi votiamo a favore di un esperimento che abbiamo auspicato e che si deve fare, e contro un esperimento che si è fatto e che secondo noi è fallito. Noi votiamo contro il socialismo» <1147.
I fatti dell’autunno 1947 e il conseguente scioglimento del gruppo qualunquista a Montecitorio sancì di fatto la fine del qualunquismo come movimento politico e, seppure gli attacchi – sopratutto alla luce della scoperta della macchinazione che aveva portato a quella fine – nei confronti della Dc proseguissero, la contestazione andava via via mitigandosi. Infatti, a dicembre in una seduta della Costituente, Giannini arrivava ad affermare che «a me questo Governo piace straordinariamente, ma quando dico straordinariamente non dico abbastanza per esprimere tutto e completamente il mio vero e vivo piacere» <1148.
Accettata la pesante sconfitta elettorale del 18 aprile 1948, la scelta a favore del governo diventava chiara, come già sottolineato dagli articoli citati in precedenza su De Gasperi e il suo partito, anche se inciampando talvolta su qualche richiamo al programma più estremo de «La Folla», come l’introduzione dell’elezione a sorte <1149. Il qualunquismo o meglio, i «qualunquisti arrabbiati», usando la definizione di Lupo, entravano a far parte di quel variegato «fronte nazionale cementato dall’anticomunismo» che insieme a loro comprendeva, la Confindustria, le Acli, la Cisl e la Uil, l’Ac e la Coldiretti, e così operai, contadini, tecnici, economisti, il clero, impiegati e funzionari statali, agrari, industriali, casalinghe e nostalgici del regime <1150.
Della politica democristiana lamentava i rimpasti di governo senza nuove elezioni, perché è «al Paese che spetta di scegliere il Governo in regime democratico» e non a «un mezzo centinaio di deputati desiderosi di fare il salto della quaglia per tanti motivi, fra i quali anche quello, abbastanza futile, di voler andare a sedere su poltrone ministeriali anziché su stalli parlamentari» e anche le posizioni economiche più di sinistra come la nazionalizzazioni, per le quali faceva l’esempio della nazionalizzazione delle società telefoniche, utile «soltanto a far aumentare i canoni e a rendere il servizio più difficoltoso» <1151. Il Piano Fanfani, per esempio, veniva giudicato come di «chiara e provata» origine di sinistra, che «si concreta in un vero e proprio prestito forzoso di carattere bolscevico, in una “mobilitazione sociale”, la cui apparenza e la cui sostanza comunistica sono indiscutibili» <1152.
La posizione di fondo restava però quella di «di non dar inutili fastidi al Governo democristiano e d’accontentarcene come del “minor male”, in perfetta armonia con le premesse della campagna elettorale chiusasi al 18 aprile 1948, in rispettoso ossequio a quello che fu il responso delle urne di quel fatidico giorno» <1153, e in base a ciò accentuava la carica anticomunista e antisocialista della sua propaganda.
Un posto di rilievo trovava allora la «Celere» del ministro Scelba, cioè lo «squadrismo di stato» che aveva costretto «lo squadrismo di sinistra» a «ripiegare in fretta e furia e sparire nei suoi covi, e nessun cittadino è più obbligato ad andare attorno con un manganello in mano e un paio di bombe a mano addosso» <1154.
Ulteriore prova di quanto profondo fosse l’appoggio alla Dc è data dall’incondizionato supporto alla cosiddetta legge-truffa e contro il sistema proporzionale. Nel campo della pubblicistica, rispetto alla propaganda relativa alla precedente tornata di elezioni politiche era un rovesciamento nel campo apota: se nel 1948 Giannini si era schierato contro la Dc, ora la supportava; allo stesso tempo, Giovannino Guareschi e il suo «Candido», che avevano avuto un importante ruolo nello spostare i voti moderato-conservatori verso la Dc nel 1948, nel 1953 portavano avanti una delle più violente campagne contro la proposta democristiana di riforma elettorale. In quelle elezioni, d’altronde, il fondatore del qualunquismo fu candidato come indipendente nelle liste democristiane e motivava una tale adesione proprio per il «preciso proposito e la chiara ragione d’impedire che una mia lotta politica isolata potesse indebolire i partiti di centro i quali debbono trionfare anche se hanno qualche torto, i quali debbono avere il successo perché è il successo che spetta alla democrazia di tipo occidentale, i quali debbono vincere e vinceranno con un margine ben superiore al famoso 50.01 per cento» <1155.
La scelta democristiana, fosse a livello pubblicistico o politico, nel 1949 come nel 1953, rientrava in quel più generico contesto del voto anticomunista nel quale un elettorato variegato, moderato-conservatore, esprimeva una scelta ideologica nel mondo bipolare, più che un’appartenenza partitica o l’approvazione di un preciso programma politico. Giannini era (dal 1945, aggiungeremmo) l’emblema di questo mondo e infatti invitava a non credere alla «storia che il comunismo non fa più paura» e a stare attenti a tutti i piccoli partiti che avrebbero finito per danneggiare «la grande formazione che ha invece il diritto, come ha il dovere, di governare secondo una linea programmatica che deve corrispondere a quella della parte mondiale nella quale è inserita, chi fa questa storia o è un pazzo o è un delinquente» <1156. Questa avversione non era indirizzata solo alle altre formazioni del pentapartito, ma anche e soprattutto al Msi, responsabile di «avvelenare la nostra gioventù, di farle credere tutte le panzane che inventa allo scopo di ritornare non al potere, perché non lo potrebbe, perché per andare al potere bisogna essere innanzi tutto potenti, ma per sgraffignare una qualche sediolina, senza un uomo, senza un programma, senz’altro che il peso di un passato che se fossero stati intelligenti avrebbero buttato via» <1157.
Non eletto, Giannini salutava nella formazione del governo Pella la realizzazione dello Stato amministrativo qualunquista <1158, in ragione del fatto che il suo ministero fosse, come il IV gabinetto De Gasperi, un monocolore con la partecipazione di tecnici. «Molti su quel versante [moderato-conservatore] sperarono in effetti che la Repubblica dei partiti fosse ormai al tramonto». Salvatore Lupo, da cui abbiamo tratto questo passaggio, cita emblematicamente uno degli ideologi del laurismo, Antonio Pugliese, che raccontava le impressioni di un suo amico, «un uomo della media», e quindi, l’uomo qualunque, per il quale «questo Ministero di tecnici [può] corrispondere alle immediate esigenze del Paese, sempre che la tecnicità non sia sopraffatta dalla politicità del partiti» <1159.
Seppure, come approfondiremo nello studio del partito qualunquista, per un breve lasso di tempo Giannini avrebbe paventato una linea di centro sinistra, annunciando in comizi pubblici, sul finire del 1949, la sua intenzione di un’intesa con i socialdemocratici, nella sua visione la Dc doveva essere un partito moderato, vicino alle destre più che alle sinistre e infatti, quando cominciava a paventarsi l’ipotesi del centro sinistra sosteneva che se «la Democrazia Cristiana dovesse e volesse davvero piegare a sinistra, è chiaro che dovremmo rivedere il nostro atteggiamento [nei suoi confronti]» <1160. Soltanto con la destra, infatti, la Dc poteva convivere: «se vuole difendere i suoi ideali non può che associarsi con i partiti di destra. La DC e le destre hanno da difendere la stessa casa: lo Stato democratico liberale, ossia lo Stato borghese» <1161. D’altronde, come già anticipato, la vocazione destrorsa del qualunquismo diventava esplicita con il passare degli anni e l’allontanarsi del fascismo. Filippo Muzj, che abbiamo già visto schierato sull’ala destra del qualunquismo, denunciava le ipotesi di apertura a sinistra come una «clamorosa sconfessione di tutta la politica del dopo guerra e [che] segnerebbe il tracollo non solo della democrazia cristiana ma di tutti i partiti che dalla destra hanno tratto e traggono ispirazione e luce». L’unica manovra di questo tipo che si accettava era quella in senso paternalistico di aiuto e riposta ai «bisogni delle classi disagiate» con le riforme in campo sociale già applicate dalla Dc <1162.
Nel 1954, difendendo l’idea per cui «la formula del quadripartito è ancora la migliore di tutte», ancora Muzj negava la necessità di aperture «né a destra né a sinistra». Quest’ultima si poteva invece concretizzare nella collaborazione con il Psdi per la «realizzazione di una politica sociale sempre più favorevole alla massa dei lavoratori e dei bisognosi [che] non potrà non esercitare una forte attrattiva sulla massa degli illusi e degli ingenui che attualmente credono ancora alle facezie e fandonie del duo Nenni-Togliatti» <1163.
Giannini rincarava la dose l’anno successivo, quando presentava quale imperativo categorico il fatto che «il governo che c’è è il solo governo che ci può essere, e il quadripartito, con tutti i suoi difetti e con tutti i suoi squilibri, reggerà fino alla fine della legislatura perché all’infuori del quadripartito non v’è alternativa» <1164. Era quindi coerente con quanto finora detto la proposta di Giannini di candidare come unici nomi papabili per la nomina del secondo Presidente della repubblica De Nicola o De Gasperi <1165.
[NOTE]
1145 G. Giannini, Le Vespe, in UQ, IV, 6, 5 febbraio 1947.
1146 Id., Essi stanno inguaiando la Repubblica, in UQ, IV, 23, 4 giugno 1947.
1147 Punti fermi di Giannini sui problemi politici ed economici, in UQ, IV, 26, 25 giugno 1947.
1148 Un grande discorso di GIANNINI alla Costituente, in UQ, IV, 52, 24 dicembre 1947.
1149 G. Giannini, Se aveste vinto voi!, in UQ, V, 25, 30 giugno 1948.
1150 Cfr. S. Lupo, Partito e antipartito cit.
1151 G. Giannini, Del cambiare camicia, in UQ, XVII, 6, 10 febbraio 1960.
1152 Id., Difesa ipotetica del Piano Fanfani, in UQ, V, 27, 14 luglio 1948.
1153 Id., Governo ladro cit.
1154 Id., Colpi di spada e colpi di spillo, in UQ, VI, 31, 3 agosto 1949.
1155 Un comizio dei vecchi tempi cit.
1156 A Bari un comizio come nel 1946, in UQ, X, 21, 27 maggio 1953.
1157 Ibidem.
1158 Un articolo di “24 ore” e una replica di Giannini, in UQ, X, 30, 16 settembre 1953.
1159 Cfr. S. Lupo, Partito e antipartito cit., p. 104.
1160 G. Giannini, L’assurdo di cui si parla, in UQ, XIV, 30, 24 luglio 1947.
1161 F. Muzj, Soltanto con la destra la D.C. può convivere, in UQ, XV, 7, 12 febbraio 1958.
1162 Id., Che barba questa apertura a sinistra!, in UQ, X, 32, 30 settembre 1953.
1163 Id., Il congresso del P.S.D.I. e il quadripartito, in UQ, XI, 24, 16 giugno 1954.
1164 G. Giannini, Le Vespe, in UQ, XII, 12, 23 marzo 1955.
1165 Id., Le Vespe, in UQ, XI, 26, 30 giugno 1954.
Maurizio Cocco, Il Qualunquismo Storico. Le idee, l’organizzazione di partito, il personale politico, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari, 2014