Quanto realizzarono gli antifascisti e i combattenti friulani nelle zone libere costituì un esperimento politico-amministrativo assolutamente originale e avanzato

Il 26 settembre del 1944 si riunì per la prima volta ad Ampezzo [n.d.r.: comune in provincia di Udine] la Giunta provvisoria di Governo della Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli <10. Ufficialmente la Repubblica durò soltanto dal 15 settembre al 10 ottobre, a causa dell’inizio delle grandi operazioni di rastrellamento tedesche. Tuttavia, anche se di breve durata, l’esperienza democratica rimase per sempre forte nell’immaginario resistenziale sino alla fine della guerra. Nelle due settimane di esercizio delle sue funzioni la Giunta operò con criteri originali. Purtroppo a causa della scarsità di tempo, i provvedimenti che si desideravano realizzare restarono perlopiù sulla carta, ma furono sufficienti per dimostrare la volontà democratica, riformatrice e progressista della nuova classe politica che si andava affermando. A questo spirito furono improntati i decreti in materia scolastica e annonaria, i provvedimenti tributari che varavano un’imposta patrimoniale progressiva, i decreti che istituivano i Tribunali del Popolo, la completa gratuità della giustizia e l’abolizione della pena di morte. Quanto realizzarono gli antifascisti e i combattenti friulani nella «Zona Libera della Carnia e del Friuli» costituì un esperimento politico-amministrativo assolutamente originale e avanzato rispetto a tutte le altre Zone Libere italiane <11.
Anche nella zona libera orientale i comandi partigiani diedero avvio ad un processo di democratizzazione politica ed amministrativa di non trascurabile significato. A differenza della Carnia non fu nominata una giunta di Governo centrale in grado di legiferare in forma omogenea su tutti i principali problemi della vita pubblica e di unificare le esperienze politiche ed amministrative dei vari CLN. In seno al comando unificato della divisione Garibaldi-Osoppo fu costituito un CLN formato da rappresentanti del Partito d’Azione, DC, PSI, PCI, con l’incarico di organizzare le elezioni per le Giunte comunali in accordo con i vari CLN locali <12. Così a Nimis [n.d.r.: in provincia di Udine] furono eletti, con voto diretto e segreto, il sindaco e la giunta comunale; ad Attimis partigiani e CLN convocarono un’assemblea di 120 capifamiglia che elessero il sindaco; a Faedis gli amministratori vennero nominati dal CLN locale previa consultazione coi capifamiglia; negli altri tre comuni della zona libera, Taipana, Torreano e Lusevera le funzioni di governo furono esercitate direttamente dai CLN.
La collaborazione politica e amministrativa delle zone libere risulta molto indicativa per capire quanto si fossero avvicinate la Garibaldi e la Osoppo, nell’estate del 1944, anche a livello strategico-militare. Sia in Carnia che nella zona orientale le unità combatterono insieme, prima per la liberazione del territorio, poi per la sua difesa. In entrambe le zone libere, infatti, si arrivò ad una stretta collaborazione tra i comandi, che nel settore orientale portò alla creazione di un comando unificato che coordinasse la Garibaldi-Osoppo <13.
Nella «Zona Libera della Carnia e del Friuli» la cooperazione fu molto più difficile da realizzare. Il 2 ottobre del 1944 si creò un Comando di Coordinamento Unificato come «premessa per arrivare al più presto alla creazione di un Comando Unico vero e proprio» come realizzato nella zona orientale <14.
Per i comandi tedeschi la situazione nelle zone libere stava ad indicare che la tanto temuta collaborazione tra le unità partigiane comuniste e non comuniste (la Garibaldi e la Osoppo) si era realizzata. Inoltre, il forte legame creatosi tra la popolazione locale e il movimento di liberazione rappresentò per i tedeschi il pericolo di una sollevazione generale. Se la Carnia rappresentava in un certo senso un territorio meno accessibile, marginale e isolato rispetto all’insieme del territorio dell’OZAK, la Zona libera orientale si trovava invece nel cuore del territorio controllato dalle forze di occupazione. La «rivolta popolare» era arrivata sino alle porte di un centro importante come Udine, non molto lontano dal centro politico-amministrativo di Trieste. Queste realtà rappresentavano un vero e proprio «contropotere partigiano»: la guerriglia non solo era riuscita a costruire un rapporto organico con la popolazione, ma si ergeva ora a potenziale organo di governo. Questa alternativa politica e sociale così concreta si contrappose alla realtà dell’occupazione tedesca.
Le zone libere costituirono così la risposta politica alla forte propaganda tedesca. Per Rainer rappresentarono il fallimento del proprio progetto politico: il mancato appoggio della popolazione, e ciò influì sulla pianificazione della controffensiva dell’autunno del 1944. I criteri di rastrellamento si rovesciarono: non più operazioni chirurgiche alla ricerca di sospettati o collaborazionisti mirate a punire «alcuni», ma bonifica in modo permanente dei territori, per liberare definitivamente le principali vie di comunicazione da ogni attacco partigiano e servire da esempio a tutte la popolazione dell’OZAK. L’azione di rastrellamento assunse un valore fortemente «punitivo», non tanto nei confronti di un particolare gruppo, ma verso un territorio intero che veniva ora riconosciuto colpevole. In queste zone la popolazione finì per essere considerata di fatto alla stregua dei partigiani o perlomeno potenzialmente nemica e quindi punibile allo stesso modo. Per le autorità tedesche era chiaro che il movimento partigiano aveva ricevuto dai civili una collaborazione senza la quale non sarebbe stato in grado di sostenere uno scontro che si protraeva da alcuni mesi. Si trattava inoltre di un appoggio non puramente «assistenziale» (attraverso aiuti alimentari o finanziari), ma politico e ideologico. In realtà manca ancora una analisi storica e soprattutto sociale approfondita che vada oltre la propaganda partigiana del dopoguerra, che possa individuare il livello di partecipazione raggiunto in queste zone. Non è ancora chiaro quanto la popolazione civile locale prese parte al processo politico avviato dai partigiani o quanto il tentativo di allargare la base democratica del CLN inserendovi i rappresentanti degli organismi di massa (Fronte della gioventù, Gruppi di Difesa della Donna, Comitati operai e contadini) riuscì a coinvolgere una società molto particolare come quella del Friuli settentrionale. Ci si mosse nell’ambito di una società in larga prevalenza contadina, economicamente e culturalmente emarginata, debilitata dall’emigrazione, ignorata dai governi tranne che come serbatoio di reclutamento alpino per la guerra. Una società giustamente diffidente, che aveva dato molto e ricevuto poco, solitamente restia alle novità politiche. Dall’altra parte i comandi tedeschi non si chiesero quale grado di collaborazione si fosse raggiunto nelle zone libere. La popolazione in ogni caso non si era opposta, e dal punto di vista politico era stata fortemente contaminata dalla propaganda nemica. Le valutazioni dei comandi tedeschi parlano di una popolazione che assiste e appoggia il movimento di liberazione. La discriminazione nei confronti dei civili si accentuò là dove agirono le forze cosacco-caucasiche, unità queste che sino ad allora avevano combattuto le bande partigiane sul fronte orientale e che ora venivano chiamate a «bonificare» i territori del Friuli. Fuori da ogni logica politica e sociale locale, catapultati in un territorio nemico, finirono per riversare tensioni e paure sulla popolazione civile. Durante le operazione di rastrellamento prima e le fasi dell’occupazione del territorio poi, la forte diffidenza nei confronti di tutta la popolazione civile locale (con la quale dovette entrare in concorrenza per la stessa sopravvivenza) si tradusse in violenze e rappresaglia. Nella lettura dei diari parrocchiali emerge con forza tale visione: il parroco di Invillino [n.d.r.: Frazione di Villa Santina, in provincia di Udine] scrisse che per i cosacchi «siam tutti partigiani»; il 6 ottobre scrisse invece il parroco di Buia che «una volta bevuti diventano violenti e minacciano con bombe a mano o con il fucile, perché vedono in ognuno dei partigiani dei quali hanno paura» <15.
La reazione delle forze di occupazione tuttavia non fu improvvisata, i comandi tedeschi pianificarono ogni singolo passaggio applicando tutte le possibilità loro offerte: inizialmente isolarono i territori occupati dai partigiani e dal resto dell’OZAK, a partire dal luglio del 1944, venne sospesa per ordine dello stesso Rainer la distribuzione di ogni tipo di generi alimentari <16. Seguì poi l’operazione di rastrellamento vera e propria con profonde penetrazioni nelle zone interessante, acquisendo il controllo delle vie di comunicazione ed infine il presidio dei territori venne affidato alle forze collaborazioniste cosacco-caucasiche. La violenza sulla popolazione delle zone coinvolte non si concentrò quindi unicamente nei pochi giorni delle operazioni antipartigiane, per i quali i dati raccolti parlano di poco più di 50 persone uccise, fu il sommarsi delle varie fasi dell’«azione punitiva» tedesca – l’isolamento, il rastrellamento e infine l’occupazione ‘cosacca’ – a determinare il grado di sofferenza complessiva subita dai civili.
Il primo sforzo dei comandi tedeschi fu quello di rinforzare la presenza di forze in tutto l’OZAK, un rafforzamento che riguardò sia le forze della Wehrmacht che quelle di Polizia <17. Nel mese di ottobre per la prima volta furono dislocate nella zona d’operazioni quattro divisioni mentre nella zona del pordenonese giunsero unità militari della Luftwaffe. Dal fronte orientale giunse a Udine una unità cinofila delle SS, ma il rafforzamento più consistente fu quello delle forze di Polizia con lo stanziamento fino alla fine della guerra, delle unità cosacco-caucasiche.
[NOTE]
10 Tale giunta comprendeva 5 rappresentanti dei partiti (DC-PCI-PSIUP-PdA-PLI), 4 rappresentanti delle organizzazioni di massa (Fronte della gioventù-Gruppi di Difesa della Donna-Comitato dei contadini-Comitato degli operai) e i 2 rappresentanti delle forze partigiane, uno per la Osoppo e uno per la Garibaldi. Per approfondire le vicende della Repubblica partigiana della Carnia cfr.: P. De Lazzari, Aspetti politici e sociali dell’autogoverno della Zona libera partigiana della Carnia e del Friuli, Udine, 1984; A. Buvoli, La Zona libera della Carnia e del Friuli, Udine, 1994; Giannino Angeli – Natalino Candotti, Carnia libera. La repubblica partigiana del Friuli (estate autunno 1944), Udine, 1971.
11 Una realtà paragonabile a quella della Carnia potrebbe essere la zona libera della Val d’Ossola. Su tali temi cfr.: AA. VV., Le zone libere nella resistenza italiana ed europea, Atti del Convegno internazionale di Domodossola, Novara, 1974; H. Bergwitz, Una libera Repubblica nell’Ossola partigiana, Milano, 1979; E. Gorrieri, La Repubblica di Montefiorino, Bologna, 1966; M. Legnani, Territori partigiani zone libere “repubbliche partigiane”, in «Asti Contemporanea», n. 5, 1997 e dello stesso autore Politica e amministrazione nella repubblica partigiana. Studio e documenti Insili, in Quaderni de «Il Movimento di Liberazione», n. 2, Milano, 1967.
12 Il Comando militare, cui facevano capo tutte le decisioni, era un comando unitario, perciò i due partiti più influenti, PCI e DC, erano associati anche nel reggere la vita civile. Ciò favorì i buoni rapporti con la popolazione contadina che non vedeva stravolta la società paesana da provvedimenti rivoluzionari e con il clero che aveva tanto peso qui, come in tutto Friuli, sull’opinione pubblica ed era in grado di condizionare i rapporti di questa col movimento partigiano: cfr.: G. Gallo, La Resistenza in Friuli 1943-1945, Udine, 1988, pp. 163-174.
13 Il Comando unificato si costituì il 19 agosto del 1944 tra la 1. Brigata “Osoppo” e la Divisione “Garibaldi Natisone”. In Carnia si arrivò molto tardi ad un compromesso tra le diverse unità. Nei primi giorni dell’ottobre del 1944 venne istituito un Comando di coordinamento operativo. Questo comando però a causa del rastrellamento tedesco non divenne mai operativo. Cfr.: A. Buvoli, Le formazioni Osoppo Friuli. Documenti 1944-45, Udine, 2003, pp. 20-25. Interessante in questo volume la parte dei documenti dove si riproducono alcune relazioni sulla costituzione dei due comandi. Si veda anche G. Gallo, La Resistenza cit; M. Pacor, Confine Orientale cit., pp. 244-256. 14 AORF, N, doc. 8, Verbale della seduta del 2.10.44 sulla «Costituzione del Comando di coordinamento G.O.F». Si arrivò alla realizzazione del comando dopo diversi tentativi e trattative tra il CLN di Udine e i comandi della Osoppo e della Garibaldi. Alla fine si giunse a questa soluzione intermedia tra l’esistenza autonoma di due formazioni separate una dall’altra e un Comando unico che avrebbe rappresentato la loro totale fusione. Il Comando di Coordinamento Unificato lasciando le unità autonome e distinte, fondeva i Comandi solo a livello di Divisione e Brigate, coordinandone l’attività sul piano organizzativo, logistico e militare. La spinta a trovare la soluzione giunse in parte dalla consapevolezza che per respingere la controffensiva tedesca occorreva una direzione unitaria di tutte le forze in parte dalle continue pressioni delle Missioni Alleate che vedevano in questa unione l’unico mezzo per contrastare i tedeschi nel territorio. Su tali questioni cfr.: G. Gallo, La Resistenza cit; M. Pacor, Confine Orientale cit., pp. 244-256.
15 Le citazioni sono prese da F. Fabbroni, L’occupazione cosacca della Carnia e dell’alto Friuli, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 5, 1989, p. 99 e p. 96.
16 La disposizione fu più grave per la Carnia in quanto i prodotti agricoli raccolti in questa zona bastavano appena per alimentare tre mesi la sua popolazione e per il resto dell’anno tutto doveva essere importato. La sospensione dei rifornimenti alimentari in questa zona durò sino ai primi di gennaio del 1945. Vennero bloccate tutte le strade che conducevano alla Carnia con il divieto di transito per viveri, medicinali, materiale sanitario, indumenti e qualsiasi altro tipo di merce.
17 Per analizzare a fondo tale rafforzamento cfr.: S. Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland cit., pp. 454-507.
Giorgio Liuzzi, La politica di repressione tedesca nel Litorale Adriatico (1943-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2004

Fonte: Giuliano Fogar, La Zona Libera del Friuli Orientale – 1944, Quaderni della Resistenza n. 3 a cura del Comitato Regionale dell’A.N.P.I. del Friuli Venezia Giulia
Fonte: Giuliano Fogar, La Zona Libera del Friuli Orientale – 1944, Quaderni della Resistenza n. 3 a cura del Comitato Regionale dell’A.N.P.I. del Friuli Venezia Giulia
La Feldgendarmerie nazista controlla le strade di accesso alla Zona Libera. Fonte: Giuliano Fogar, La Zona Libera del Friuli Orientale – 1944, Quaderni della Resistenza n. 3 a cura del Comitato Regionale dell’A.N.P.I. del Friuli Venezia Giulia