Qualche anno dopo il professore si imbatté per caso nei resti della base di Gravina e, osservandoli, comprese che doveva trattarsi di una postazione per missili

È sembrato opportuno vagliare quale fu localmente l’attività di protesta dell’opposizione verso il dispiegamento degli Jupiter, indagando sul PCI pugliese, il quale, come è noto, durante gli anni Cinquanta, fu molto impegnato nelle lotte per la divisione dei latifondi ai braccianti e a questo scopo cercò di coinvolgere quanto più possibile gli stessi contadini in manifestazioni di protesta anche molto eclatanti come l’occupazione delle terre. <29 Queste iniziative furono spesso accompagnate dal tema della pace, che nella propaganda del PCI aveva un’importanza centrale. Ritenendo infatti che l’Unione Sovietica anelasse al conseguimento di un clima politico più disteso per poter effettuare la propria ricostruzione dopo le distruzioni causate dalla guerra, i comunisti pugliesi sostenevano fortemente gli argomenti pacifisti, come risulta dal documento conclusivo di un loro congresso, svoltosi a Gravina in Puglia, ma è probabile che il riferimento ai missili fosse generico e non specifico, visto che la riunione avvenne prima che la notizia fosse conosciuta. <30
Sulla effettiva consapevolezza che i politici locali potevano avere delle intenzioni del governo di installare i missili in Puglia o, in seguito, della loro effettiva presenza nel territorio, i pareri raccolti attraverso le interviste rivolte ai politici dell’epoca, restano discordanti. Il senatore Calìa e il signor Scialpi, che è stato sindaco di Irsina dal 1960 al 1972, affermano che la realtà dei fatti fosse nota; invece il senatore Petrara sostiene che la mancanza di una reazione decisa da parte del PCI alla creazione delle basi missilistiche fu determinata anche dal fatto di non aver compreso appieno l’effettiva portata degli avvenimenti, in quanto neanche gli organi direttivi nazionali del loro partito li misero al corrente di quanto stava effettivamente accadendo. <31
Che la Puglia ospitasse missili con testate atomiche divenne noto a tutti soltanto dopo l’episodio del Mig spia bulgaro; questa presa di coscienza determinò un’ulteriore forte presa di posizione all’interno del PCI di Gravina, per cui nella relazione conclusiva del 13° congresso sezionale, del 1962, si affermò con più vigore l’importanza di lottare per la pace. <32
Un’interessante testimonianza riguardante la storia degli Jupiter viene dal senatore Giorgio Nebbia, che al tempo dei missili era docente di Merceologia presso l’Università di Bari. Egli ricorda infatti che proprio nel laboratorio di chimica della sua facoltà un giorno si presentò un militare americano che veniva dalla base di Gioia del Colle per chiedere che fossero effettuate delle analisi sull’efficacia di un solvente, per poterlo utilizzare come sgrassante per tubi metallici attraverso i quali doveva passare dell’ossigeno liquido, che, se avesse trovato materiale organico all’interno delle condutture, si sarebbe facilmente incendiato. Essendo il professor Nebbia particolarmente interessato agli studi sulla missilistica e sui lanci spaziali, collegò la specifica richiesta del militare con l’ipotesi che nelle vicinanze si stesse svolgendo proprio un’attività di tal genere di cui però egli non era a conoscenza; infatti sapeva bene che l’ossigeno liquido è uno dei carburanti utilizzati per i missili balistici. <33
Il militare americano non si fece più vivo e di conseguenza il professore non poté chiedergli ulteriori chiarimenti. Qualche anno dopo, durante un’escursione nei boschi della Murgia, il professor Nebbia si imbatté per caso nei resti della base di Gravina e osservandoli comprese che doveva trattarsi di una postazione per missili.
In seguito, durante la sua attività politica nelle file del PCI pugliese, cercò di indagare sulla questione fra i suoi compagni di partito, ma nessuno seppe offrirgli informazioni, tranne qualche notizia relativa al fatto che si era svolta una manifestazione contro la base di Altamura. Il signor Vasco, che all’epoca era un esponente molto impegnato della sezione del PCI di Gioia del Colle, ricorda che il partito riuscì a radunare circa un migliaio di persone, nei pressi del sito missilistico. Egli racconta tra l’altro che dal luogo dove i manifestanti si erano raccolti i missili erano ben visibili, per cui tutti i partecipanti si fermarono sulla strada statale e quando cercarono di avvicinarsi all’ingresso della base furono bloccati dai Carabinieri. <34
Da quello che rammenta il signor Scialpi, la manifestazione fu organizzata dal Partito Comunista con l’aiuto delle sezioni di Bari e di Roma per l’intermediazione di un attivista locale molto conosciuto e stimato, Tommaso Fiore. Gli intervistati considerano quella di Altamura la più significativa manifestazione pacifista di quegli anni. Riguardo ad altre iniziative, i militari intervistati attraverso il questionario ricordano un corteo a Gioia del Colle e uno a Spinazzola, ma anche per questi eventi non è stato possibile accertare una data; nella “Gazzetta del Mezzogiorno” si dà notizia di una manifestazione a Gioia, che dai particolari sembra la stessa che viene ricordata dal signor Vasco ma che egli colloca nel 1958.
In quell’occasione i pacifisti costruirono un missile di cartone e manifestarono per la pace, ma da ciò che racconta il signor Vasco la costruzione del missile di cartone aveva solo un significato simbolico e non si riferiva in modo specifico agli Jupiter; era un simbolo generico di protesta contro il continuo incremento degli armamenti americani, senza alcun riferimento specifico alle vicine basi. Quella protesta intendeva dunque invitare il governo italiano a non alimentare le spese militari ma a migliorare le condizioni di vita della gente più povera. Inoltre la manifestazione si svolse forse nel 1958, prima che le basi stesse fossero state installate. In sostanza datare con precisione le iniziative pacifiste è stato impossibile avendo a disposizione soltanto i ricordi personali dei testimoni e non fonti documentarie.
Per conoscere le reazioni dei civili alla presenza dei siti missilistici è stato sottoposto all’attenzione di 55 persone un questionario attraverso il quale si rileva che solo un numero esiguo ricorda qualche manifestazione pacifista. Questo dato, se collegato ai precedenti, dimostra ancora una volta che se ci fu una qualche opposizione verso la presenza delle basi, non fu comunque di rilievo.
Il fatto che ad essere custodite fossero armi atomiche e non convenzionali non era noto a tutti, e comunque anche chi, fra quanti sono stati intervistati personalmente, sostiene di esserne stato sempre a conoscenza afferma di non aver mai mostrato particolare apprensione per i pericoli che la situazione avrebbe potuto determinare. Il signor Vasco non ricorda che si conoscesse con esattezza quale attività svolgessero i militari nell’aeroporto di Gioia, per cui sottolinea la mancanza di una coscienza civile soprattutto in merito al pericolo che poteva venire agli abitanti del luogo, e accusa per questo di negligenza le autorità civili e militari, che a suo giudizio avrebbero dovuto mettere la popolazione al corrente di ciò che avveniva anche per permettere eventuali evacuazioni in caso di pericolo. <35
Il signor Scialpi, da parte sua, sostiene che anche allora si conosceva la verità sul fatto che i missili fossero armati con testate atomiche, ma che non furono prese iniziative concrete contro le basi perché la popolazione si aspettava di ricavare vantaggi economici dalla presenza dei militari.
Il senatore Petrara, infine, non solo sottolinea la sua mancanza di conoscenza approfondita riguardo alla questione, ma si rammarica di non aver agito con la determinazione necessaria al fine di allontanare un possibile pericolo dalla sua città. Egli ritiene infatti che se le notizie fossero state più precise il PCI di Gravina sarebbe stato in grado di disturbare l’attività della Brigata o di ottenerne perfino il trasferimento.
Riguardo ai risultati ottenuti attraverso il questionario, su 37 interpellati sulle sensazioni e i ricordi che la presenza di armi atomiche avesse determinato in loro, 14 hanno provato preoccupazione e 7 vera e propria paura, altre 7 indifferenza, 5 senso di protezione e solo 3 orgoglio. Alla domanda su cosa avesse fatto dopo essere venuto a conoscenza della presenza di armi nucleari vicino al luogo in cui viveva, la maggioranza ha dichiarato di essersi sentita turbata ma di non aver pensato di trasferirsi, 9 hanno mostrato indifferenza e solo 5 hanno dichiarato di aver beneficiato di un senso di protezione.
In conclusione si deduce che la presenza delle armi nucleari, provocò solo in qualche caso una certa apprensione, mentre in generale non suscitò alcuna reazione forte, socialmente condivisa e finalizzata alla loro rimozione: in questo l’atteggiamento fu comune da parte sia dei politici locali sia delle popolazioni civili.
Si può affermare che gli intervistati non hanno mostrato particolari contrarietà nell’aver vissuto in luoghi nei quali si stava svolgendo una attività militare intensa e finalizzata all’impiego di armi atomiche.
Difficile da spiegare rimane l’incoerenza nell’atteggiamento del PCI pugliese, che nell’insieme si è mostrato decisamente accondiscendente alla presenza delle armi nucleari. La discrepanza sta nel fatto che lo stesso partito e le stesse persone appena pochi anni prima avevano intrapreso una lotta serratissima contro il governo per l’assegnazione delle terre ai braccianti e che da Irsina, sperduto paesino della Basilicata, si era presa l’iniziativa di arrivare fino a Napoli per protestare contro la CED nel 1954.
Che cosa abbia determinato invece una certa acquiescenza politica rispetto alla presenza sul territorio di armi nucleari non è stato possibile stabilirlo con certezza; è probabile che a prevalere siano stati due elementi, e cioè sia i benefici finanziari determinati dalla presenza di numerosi militari sia la disinformazione sulla natura nucleare dei missili. Nel primo caso in particolare i comunisti non avrebbero trovato facilmente l’appoggio popolare perché la gente sperava di poter migliorare le proprie condizioni economiche, e quindi insistere per allontanare i militari avrebbe prodotto un irreparabile scollamento con gli interessi sociali più diffusi. Nel secondo caso non è stato possibile definire con esattezza quanto il PCI pugliese fosse effettivamente a conoscenza dell’attività dell’AB-IS, per cui non è stato possibile arrivare a conclusioni precise: la scarsa conoscenza dei fatti non può perciò considerarsi con certezza come la causa dell’immobilità politica del partito.
In ogni caso il governo riuscì a mantenere il riserbo sulla vicenda, limitandone le ripercussioni nelle sedi istituzionali, nella stampa ma anche, e soprattutto, a livello locale.
[NOTE]
29 Per avere maggiori informazioni sull’attività del PCI pugliese negli anni Cinquanta cfr. Tommaso Fiore, “Un popolo di formiche” Bari, Laterza, 1952 e sulla storia del PCI nella prima metà degli anni Cinquanta cfr. anche Giovanni Gozzini e Renato Martinelli, “Storia del Partito comunista italiano – Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso” – Torino, Einaudi 1998, Silvio Lanaro, “Storia dell’Italia repubblicana”, Marsilio, Venezia, 1992, Paul Gisborg, “Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e politica”, Torino, Einaudi, 1984 e L. Nuti, “Gli Stati Uniti…”, op. cit. pag. 292 e sgg..
30 Relazione conclusiva del congresso della sezione del PCI di Gravina in Puglia, 1958, cit. pag. 2.
31 Interviste personali con i senatori Michele Calìa e Onofrio Petrara, Gravina in Puglia, marzo 1999 e con il sig. Rocco Libero Scialpi, Bari, marzo 1999.
32 Relazione conclusiva del XIII congresso del PCI di Gravina in Puglia, 8/9 novembre 1962, cit. pag. 2.
33 Intervista personale con il professor Giorgio Nebbia, Roma, luglio 1998.
34 Non vi è traccia di questi fatti, né nella stampa locale, né negli archivi del comune di Altamura.
35 Intervista personale con il signor Peppino Vasco, Gioia del Colle, marzo 1999.
Deborah Sorrenti, L’Italia nella guerra fredda e i missili americani IRBM Jupiter, Altronovecento, Fondazione Luigi Micheletti, n. 5 marzo 2005

DAYTON, Ohio: Chrysler SM-78/PGM-19A Jupiter at the National Museum of the United States Air Force. (U.S. Air Force photo). Fonte: Wikipedia
Fonte: Wikipedia
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In Italia, intanto, le elezioni del maggio 1958 erano state vinte dalla Democrazia cristiana con il 42,4% dei voti <22. Tale esito elettorale rese possibile la formazione di un esecutivo moderato (costituito dal partito cattolico insieme ai socialdemocratici e con l’appoggio esterno dei repubblicani) guidato da Amintore Fanfani, il quale ambiva a realizzare, oltre a una serie di riforme sociali e economiche, anche una politica estera “neo-atlantica”, in conformità della quale l’Italia avrebbe dovuto svolgere un ruolo più attivo ed autonomo nelle relazioni internazionali. Uno dei principali obiettivi del nuovo corso di Fanfani era aumentare l’influenza diplomatica di Roma nel Medio Oriente, attribuendole un ruolo di mediazione nei rapporti fra quest’area e gli Stati Uniti, come del resto la crisi di Suez aveva fatto sperare con la disfatta di Francia e Gran Bretagna. Per muoversi in tale direzione, tuttavia, era necessario innanzitutto rafforzare i rapporti con l’alleato principale e quindi manifestare a Washington una fedeltà politica e un appoggio diplomatico indiscussi. <23
Se si accetta questa interpretazione, sembra plausibile ipotizzare che la disponibilità a ospitare i missili Jupiter con testate atomiche, non fosse quindi per l’Italia una scelta sostenuta semplicemente da motivi di sicurezza collettiva, ma bensì il risultato dell’applicazione di una politica che rispondeva soprattutto a una logica di tipo nazionale. Nell’accettare la proposta statunitense per il dispiegamento di quelle armi, l’Italia si metteva in una condizione di assoluto prestigio anche perché, essendo divenuta di conseguenza un bersaglio per eventuali attacchi sovietici, avrebbe potuto avere dalla Nato una più cospicua assistenza militare, senza così doversi sobbarcare un aumento delle spese riguardanti le armi convenzionali <24. Ciò si sposava perfettamente con la volontà statunitense di trovare alleati disponibili all’attuazione del programma. <25
Un altro punto da mettere a fuoco, per meglio comprendere il senso della decisione italiana, sono le caratteristiche del tipo di arma in discussione, che la rendeva di per sé poco interessante agli occhi degli alleati: i missili Jupiter erano in posizione fissa, facilmente individuabili e difficili da nascondere al nemico. La nazione destinata a ospitarli assumeva perciò il rischio di divenire il primo e immediato obiettivo di un attacco, al quale forse non avrebbe potuto rispondere in tempo utile <26. In sostanza si trattava di armi che «avevano […] un valore politico molto più alto di quello militare. Esse costituivano il simbolo di una reazione immediata a un eventuale attacco dei sovietici, della costante presenza di Washington a difesa degli europei, del prestigio che conferivano al paese che le deteneva». <27
Gli accordi fra i due governi furono conclusi attraverso uno scambio di note che, differentemente da un vero e proprio trattato, avrebbe permesso di aggirare le eventuali difficoltà politiche che la sinistra avrebbe potuto frapporre in Parlamento al momento della ratifica <28. Fu la necessità di evitare questa possibile reazione negativa a convincere Fanfani a procedere con la dovuta cautela, invitando gli Stati Uniti a condurre a termine la missione con il massimo riserbo, facendola apparire, non come un incremento dell’arsenale atomico già presente in Italia, ma come un’attività militare di normale attuazione. <29
Durante i negoziati, che si svolsero fra l’estate del 1958 e il marzo del 1959, il governo di Washington ebbe qualche esitazione a concedere a quello italiano margini decisionali sull’uso delle armi in questione. Preoccupazione americana era quella di evitare equivoci che avrebbero potuto consentire un’interpretazione allargata degli accordi anche riguardo l’utilizzo degli altri armamenti nucleari statunitensi, già presenti nel territorio italiano, ma sotto l’assoluta responsabilità della Casa Bianca. Come messo in luce da Leopoldo Nuti, “il dipartimento di Stato suggeriva di evitare che nelle proposte presentate formalmente agli italiani ci fosse qualche riferimento, da parte americana, alla formula sull’uso congiunto dei missili: una clausola del genere, infatti, poteva pregiudicare eventuali intese su altre armi nucleari che in quel momento si trovavano in Italia e che erano controllate dagli Stati Uniti; inoltre sarebbe stato desiderabile mantenere il più a lungo possibile il pieno controllo de facto degli Stati Uniti e del Saceur in merito all’impiego degli Irbm”. <30
Il problema venne comunque sollevato da parte italiana e si risolse con l’adozione di una formula di compromesso che prevedeva la possibilità di un uso congiunto dei missili, previo ordine del Saceur e in base agli impegni reciproci assunti. Per quanto concerneva invece il lancio vero e proprio, esso sarebbe stato effettuato da una squadra costituita da tecnici italiani comandati dal loro ufficiale, «il quale avrebbe tenuto sempre appesa al collo, per motivi di sicurezza e prontezza, la chiave che avrebbe permesso l’avvio del conto alla rovescia. Un’altra chiave sarebbe stata tenuta da un ufficiale americano e sarebbe servita invece per effettuare l’ultimo passaggio del count down» <31. Le testate nucleari, di cui tutti i missili erano forniti, sarebbero dovute rimanere in ogni caso sotto la custodia delle autorità statunitensi, collocate a parte e non montate stabilmente sui vettori. Il punto centrale degli accordi restava però per gli italiani la questione economica, poiché il governo precisò immediatamente che il proprio sostegno allo schieramento dei Jupiter non corrispondeva a un’analoga disponibilità ad assumersi l’intero costo dell’operazione <32. Roma chiese perciò che una quota degli investimenti fosse sostenuta da Washington e così avvenne, poiché le spese intraprese da parte italiana si limitarono sostanzialmente alla fornitura dei terreni e alla copertura dei costi per la realizzazione delle strutture <33. Il generale Lauris Norstad, comandante supremo delle forze Nato in Europa, in seguito a numerose consultazioni con i militari italiani, decise che il sito strategicamente migliore su cui collocare le rampe missilistiche fosse il sud della penisola, in particolare le zone della Puglia e della Basilicata. Fra queste due regioni vennero individuate dieci località <34, a bassa densità abitativa e abbastanza lontane dai centri più popolosi, nelle quali sarebbero sorte le postazioni di lancio, ognuna ospitante tre missili.
[NOTE]
22 Cfr. NUTI, Leopoldo, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra: importanza e limiti della presenza americana in Italia, Bari, Laterza, 1999, p. 128.
23 Cfr. Ibidem, pp. 130-155. A due mesi dalla nomina a capo del governo, il 27 luglio 1958, Fanfani rilasciò un’intervista al Washington Post nella quale dichiarò a chiare lettere la fedeltà italiana nei confronti della Casa Bianca. Lo statista aretino affermò: «La più completa e operante solidarietà atlantica è, oggi come ieri, la stella polare della politica estera italiana». WOLLEMBORG, Leo, Stelle, strisce e tricolore. Trent’anni di vicende politiche fra Roma e Washington, Milano, Mondadori, 1983, p. 65.
24 Cfr. NUTI, Leopoldo, «Dall’operazione Deep Rock all’operazione Pot Pie: una storia documentata dei missili SM 78 Jupiter in Italia», in Storia delle Relazioni Internazionali, 1, 1996-1997, p. 107.
25 Ibidem, pp. 146-147.
26 Cfr. CORALLUZZO, Valter, La politica estera dell’Italia repubblicana 1946-1992. Modello di analisi e studio di casi, Milano, Franco Angeli, 2000, p. 116.
27 SORRENTI, Deborah, L’Italia nella guerra fredda. La storia dei missili Jupiter, cit., p. 18.
28 «[…] Fanfani aveva chiesto che l’accordo fosse perfezionato nella forma di uno scambio di note, per evitarne il passaggio parlamentare e le prevedibili polemiche delle sinistre. […] Gli Stati Uniti acconsentirono a tale richiesta e l’intesa fu siglata il 26 marzo 1959 con uno scambio di note tra il ministro degli Esteri Pella e l’ambasciatore americano a Roma Zellerbach. Se fu possibile aggirare il voto delle Camere con l’artificio dello scambio di note non si evitarono però le polemiche. La reazione in Parlamento fu vivace e trovò concordi i deputati comunisti e socialisti, seppur con numerosi distinguo, nello stigmatizzare l’accordo che portava l’Italia, secondo la valutazione dei parlamentari dell’opposizione di sinistra, ad abdicare alla sovranità nazionale e ad esporsi al rischio di distruzione atomica. […] Successivamente anche le dichiarazioni di Pella a Washington in occasione della riunione convocata per il decimo anniversario della Nato suscitarono una vivace polemica per lo spirito bellicoso che le sinistre attribuivano al governo. Il ministro aveva affermato: ‘Se mia figlia dovesse correre il rischio di vivere in un mondo comunista, io come padre scelgo per la mia bambina piuttosto il rischio della bomba atomica’». MARTELLI, Evelina, L’altro atlantismo: Fanfani e la politica estera italiana (1958-1963), Milano, Guerrini e Associati, 2008, pp. 114-115. L’accordo raggiunto fra Roma e Washington «poneva le basi per la dislocazione sul territorio italiano di 30 missili a media gittata […] Jupiter, che sarebbero divenuti operativi sin dal 1960, prima dell’ascesa alla presidenza di Kennedy». DI NOLFO, Ennio, La guerra fredda e l’Italia, cit., p. 424.
29 Cfr. NUTI, Leopoldo, «Dall’operazione Deep Rock all’operazione Pot Pie: una storia documentata dei missili SM 78 Jupiter in Italia», cit., pp. 97-101.
30 Ibidem, p. 102.
31 SORRENTI, Deborah, L’Italia nella guerra fredda. La storia dei missili Jupiter, cit., pp. 19-20.
32 Cfr. TRACHTENBERG, Marc, A Construed Peace. The Making of the European Settlement 1945-1963, cit., pp. 146-200.
33 In particolare durante le trattative si stabilì che il governo americano avrebbe contribuito all’operazione con una somma totale di oltre dodici milioni di dollari, più una quota ulteriore destinata agli imprevisti. A ciò si sarebbe aggiunta anche la fornitura di materiali e servizi per lo stesso ammontare, mentre il governo italiano si impegnò a finanziare la costruzione delle strutture delle basi missilistiche, il loro funzionamento e la loro manutenzione per una spesa annua di circa nove milioni di dollari. Cfr. NUTI, Leopoldo, «Dall’operazione Deep Rock all’operazione Pot Pie: una storia documentata dei missili SM 78 Jupiter in Italia», cit., pp. 111-112.
34 Le dieci località erano: Acquaviva delle Fonti, Altamura (Castel Sabini e Santeramo), Gioia del Colle e Gravina in Puglia, Laterza, Mottola e Spinazzola in Puglia; Irsina e Matera in Basilicata. Cfr. SORRENTI, Deborah, L’Italia nella guerra fredda. La storia dei missili Jupiter, cit., p. 10.
Matteo Anastasi, «Il quarto governo Fanfani e la crisi di Cuba del 1962», Diacronie, N° 20, 4 /2014

Di fronte all’instabile situazione mediorientale, Fanfani decise di agire repentinamente. In luglio, durante un viaggio a Washington, il presidente del Consiglio incontrò Eisenhower e il segretario di Stato Foster Dulles: ai due massimi rappresentanti statunitensi, Fanfani propose un grande progetto di assistenza economica ai paesi del Medio Oriente incardinato all’interno del sistema atlantico. Nei piani di Fanfani, “l’onere dei finanziamenti sarebbe caduto prevalentemente sulle spalle degli Stati Uniti, ma l’Italia avrebbe avuto nell’ambito di questo piano Marshall per il Mediterraneo il ruolo di defensor dei paesi arabi”.
Questo progetto, discusso in seguito anche con i partner europei e con il premier israeliano Golda Meir, manifestava in maniera compiuta il tracciato su cui camminò la politica estera di Amintore Fanfani. Da un lato l’amicizia con gli Stati Uniti, a cui diede dimostrazione di fedeltà accettando l’installazione dei missili Jupiter a Gioia del Colle, e dall’altro quella con i paesi arabi, presentando l’Italia come un paese amico dei popoli emergenti e assecondando la spregiudicata politica petrolifera di Enrico Mattei.
Luca Di Giandomenico, All’ombra dell’aquila: l’Italia democristiana tra atlantismo, neutralismo e neoatlantismo (1943-1963), Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2013/2014

I ragazzi di oggi ignorano che nei primi anni ‘60, durante la Guerra Fredda, le province di Bari, Taranto e Matera hanno ospitato ben dieci basi NATO italo-statunitensi, ciascuna delle quali ospitava al massimo approntamento operativo tre missili Jupiter, ognuno dei quali con potenza pari a circa cento bombe atomiche come quella lanciata su Hiroshima.
All’epoca le nostre popolazioni erano completamente ignare della situazione visto che era tutto coperto da segreto militare: tutto fino a qualche anno fa!
Tra le sopra citate province a cavallo di Puglia e Basilicata, anche in contrada “LA CATTIVA”, tra i comuni di Sannicandro ed Acquaviva delle fonti, in un leggero avvallamento del terreno circostante, tra ulivi secolari, viti meravigliose e mandorli in fiore, era ubicata una base di missili del tipo statunitense “Jupiter”, armati di testata nucleare e con portata massima di 1.500 Km.; la base era diventata operativa nei primi anni ’60.
In quel periodo, sui cieli di Gioia del Colle, Acquaviva delle Fonti, Sannicandro di Bari ecc… si notavano spesso volare aerei non meglio identificabili che sorvolavano dall’imbrunire in continuazione il cielo. Quei triangoli verdastri, dalla coda rossa, non erano fenomeni ottici, atmosferici o meteoriti: erano aerei militari che atterravano nella vicina base di Gioia del Colle.
Un mistero è legato alla scelta di questa zona rigogliosa al perché questo territorio fu bloccato, abbastanza riservatamente, sin dalla fine del 1957!
Sulla via vecchia di Sannicandro, a poca distanza tra il centro abitato di Acquaviva e quello di Sannicandro di Bari, fu realizzata una base NATO, soprannominata dal popolino il “Campo dei Missili”. Qui era situata per l’esattezza la base n. 9 della 2^ Squadriglia del 111° Gruppo; la base era gestita in prima persona da personale della nostra Aeronautica Militare, mentre le doppie chiavi per il lancio eventuale dei missili nucleari erano tenute da personale statunitense.
Sette basi furono altresì operative dal 1958 al 1963 sulle Murge lungo il tracciato della via Appia a Spinazzola, Gravina, Casal Sabini-Altamura, Ceraso-Altamura, Gioia del Colle, Laterza e Mottola, mentre due basi furono localizzate in Basilicata, presso Irsina e Matera.
Il 1 marzo 1957 venne lanciato il primo missile IRBM (Intermediate Range Ballistic Missile) Jupiter dalla base statunitense di Cape Canaveral. Due anni dopo, a partire dal 5 settembre 1959, cominciò l’istallazione del “sistema d’arma Jupiter” in Italia, operazione che si concluse il 20 giugno 1961, quando anche l’ultima base divenne operativa.
[…] Il pieno coinvolgimento della Puglia nella Guerra Fredda nella corsa agli armamenti nucleari balzò all’attenzione internazionale in conseguenza della caduta, nella tarda mattinata del20 gennaio 1962, di un Mig 17 bulgaro nelle campagne di Acquaviva delle Fonti (Bari), precisamente in località Lamone, sulla strada per Sannicandro di Bari.
L’aereo fu ritrovato fermo al suolo su di un muretto a secco in pietra, il pilota si era salvato; il Mig era precipitato a pochi chilometri di distanza dal luogo in cui erano installati gli Jupiter, i noti missili strategici con testate nucleari: gli ordigni erano stati piazzati dagli Stati Uniti attorno alla base di Nato di Gioia del Colle circa un anno e mezzo prima
[…] La «Gazzetta del Mezzogiorno» fu uno dei primi quotidiani nazionali a diffondere le notizie relative al ricognitore fotografico Mig 17 precipitato, nel corso di una ricognizione, fornendo in dettaglio una serie di particolari sull’incidente.
Il Mig, riferì il quotidiano pugliese, fu intercettato dai radar del vicino aeroporto di Gioia del Colle, consentendo l’immeditata localizzazione e cattura del pilota bulgaro, il giovane sottotenente Milliusc Solakof, che venne immediatamente ricoverato e piantonato nell’Ospedale del centro murgiano per le lievi ferite riportate.
Sulla sorte dell’ufficiale (che si presume sia rientrato in patria) circolarono in seguito notizie contraddittorie che non ci è stato possibile verificare con certezza.
Per diversi giorni Bari, Acquaviva delle Fonti e Sannicandro furono il centro dell’attenzione internazionale e di una vera e propria guerra di informazione sulla carta stampata che coinvolse diverse testate nazionali, in particolare «l’Unità», organo ufficiale del Partito comunista italiano.
Un inviato speciale del quotidiano comunista, Aldo De Jaco, con un articolo dal titolo significativo «I missili in Puglia si vedono dal treno», tentò di gettare acqua sul fuoco, ridimensionando l’operazione di spionaggio messa in atto dalla Bulgaria. L’inviato del giornale di sinistra descriveva con dovizia di particolari anche le altre postazioni dei missili Jupiter dislocate nell’Alta Murgia tra Altamura, Gravina ed Irsina nel materano.
«l’Unità», inoltre, mise in risalto le dichiarazioni del console e dell’addetto militare della Bulgaria che smentirono la notizia di una richiesta di asilo e di una «scelta per la libertà» del pilota bulgaro.
Nella realtà politica nazionale Amintore Fanfani che si apprestava a varare un nuovo governo, aperto ai socialisti, riuscì con un’abile azione diplomatica, a creare un clima di distensione, evitando ripercussioni soprattutto sulla politica interna e su quella del partito di maggioranza relativa, la Democrazia cristiana. Era infatti imminente a Napoli lo svolgimento del Congresso democristiano che doveva assumere una importante decisione, quella dell’apertura a sinistra. In questa direzione Aldo Moro, segretario della Democrazia cristiana riuscì con grande abilità, nel discorso iniziale che durò più di cinque ore, ad indicare nuove politiche anche internazionali, confermando la scelta di campo occidentale e la fedeltà alla Nato, in un contesto in cui la politica di centro-sinistra veniva presentata all’insegna di una marcata distanza ideologica dal comunismo.
Nel giro di una settimana, alla fine di gennaio del 1962, l’attenzione dell’informazione fu dirottata dalle questioni internazionali a quelle della politica interna.
La vicenda del Mig bulgaro, caduto tra i missili Nato, scomparve anche «dai radar» dell’informazione.
Subito un missile venne colpito da un fulmine nella base di Gravina, scongiurando per poco una esplosione nucleare […]
Redazione, A pochi metri da casa mia, in contrada “LA CATTIVA”, tra ulivi, viti e mandorli….. c’erano i missili “JUPITER”!, Si vis pacem para bellum, 2 aprile 2019