
La fallita strage al treno Torino-Roma viene anticipata, nel febbraio ’73, da una serie di attentati minori indicato dal presidente della Commissioni Stragi come una «escalation» <122. Gli episodi acquisiscono valore non per la loro portata ma perché toccano le direttrici geografiche de La Fenice e si aggiungono alla scia di attentati che le Squadre Azione Mussolini [SAM] ha già rivendicato a Milano nel corso del ’72.
L’invito ad «una più chiara visione d’insieme» si trova in un documento della Questura di Bologna che ricostruisce i movimenti degli estremisti di destra milanesi tra il 1973 e il 1974 <123. All’inizio del ’73 il rapporto della Digos segnala una serie di attentati minori che avvengono in giorni limitrofi sull’asse Milano-Brescia-Genova. L’operazione fa pensare a quella che nel gergo viene chiamata “tripletta”, una modalità d’azione che diventerà ricorrente nei mesi a venire. Con il termine si indica una serie di attentati coordinati nel tempo (nello stesso giorno od in giorni attigui) anche in luoghi tra loro distanti. Lo scopo è quello di dimostrare la capacità organizzativa degli esecutori e di farne sovrastimare la presenza sul territorio per acquisire risalto sui media e condizionare il quadro politico.
All’inizio di febbraio la serie di attentati rivendicati dalle SAM coincide con l’uscita di galera di Giancarlo Esposti, membro di spicco del gruppo in attesa di sentenza definitiva. Le azioni, realizzate di notte e senza la precisa intenzione di provocare danni a persone, appaiono legate ad una logica di intimidazione. Secondo una prassi consolidata gli attentati hanno anche valore di esercitazione e preparano il crescendo per le settimane successive. Le prime due bombe, ordigni con esplosivo “duro” (tritolo o plastico secondo gli inquirenti <124) scoppiano a pochi minuti di distanza nella notte del primo febbraio, colpendo due obiettivi ravvicinati: la sede del Psi di via Borsieri e un bar in viale Marche frequentato dagli studenti dell’Istituto per geometri Zappa e del Liceo scientifico Cremona <125.
Entrambe le esplosioni devastano l’interno dei locali e vengono rivendicate con improvvisati volantini manoscritti che annunciano: «Nessuno scoprirà mai le SAM» <126. Il messaggio di sfida arriva dopo che il Tribunale di Milano ha inflitto un colpo all’organizzazione portando a giudizio alcuni componenti e condannando, in primo grado, Giancarlo Esposti e Angelo Angeli ad oltre tre anni di reclusione. Il procedimento ha fatto trasparire i legami dei giovani terroristi con la federazione milanese del Msi e messo in risalto la loro facilità di procurarsi esplosivi. I quaranta candelotti di dinamite e i barattoli di polvere esplosiva scoperti a Giancarlo Esposti in una cassetta di sicurezza della Stazione Centrale sono solo un esempio delle dotazioni del gruppo <127.
Il 3 febbraio un altro ordigno a miccia preparato con polvere nera e biglie di acciaio esplode alle 1,10 di notte davanti all’Istituto per geometri Cattaneo, nella zona del Carrobbio. Lo scoppio danneggia la facciata della scuola e manda in frantumi i vetri dello stabile di fronte. L’attentato viene subito collegato alla situazione “calda” che l’Istituto – considerato una “base rossa” – vive sotto il profilo del conflitto politico, nel quale il mondo scolastico risulta uno dei più importanti avamposti <128.
Le SAM non tardano a rivendicare il gesto. In uno dei tre volantini lasciati sul luogo dell’attentato si legge: «Fascisti italiani, le SAM continuano la propria lotta, avanguardia militare e rivoluzionaria di un più grande esercito ideologico-politico che punta ad obiettivi finali e risolutivi». Il comunicato si scaglia contro la «stampa del regime» che vuol far apparire gli attentatori come «un gruppo di violenti senza logica politica» e viene chiuso con un’avvertenza: «non è lontano il giorno in cui conoscerete il nostro capo».
La rivendicazione è un fatto inconsueto per il terrorismo di destra negli anni Settanta <129 che accomuna le Squadre Azione Mussolini ed i Gruppi per l’Ordine Nero, sigla che nasce a Milano nel ’74 nei soliti ambienti sanbabilini. Al di là della retorica propagandistica, i messaggi intimidatori intendono mostrare la debolezza delle istituzioni democratiche e portare dalla propria parte l’area neofascista insoddisfatta della linea legalitaria del Msi. L’indicazione di un fantomatico capo, invece, appare come una divertita sfida agli inquirenti che allude, per converso, alla struttura polimorfica dell’organizzazione, la quale vede agire – in modo non rigidamente coordinato – cellule di pochi elementi.
Interessante è infatti il contenuto di un secondo volantino ritrovato sul posto, che rimanda alla differenziazione fittizia delle sigle nella destra eversiva: «nessuno scoprirà mai le SAM, perché le Squadre Azione Mussolini non sono una organizzazione unica, ma dieci, cento, mille gruppi di iniziativa, ciascuno indipendente dall’altro. Nella triste ora che sta attraversando la Patria, l’Idea rinasce e si allarga ogni giorno di più, il fascismo ritornerà! Per la salvezza della Patria rinascerà. Viva l’Italia!». Con il pennarello vengono poi aggiunte le scritte: «Viva Freda» e «questo attentato sia di monito, siamo pronti all’azione» <130.
Come si apprende da un rapporto del R.O.S. dei Carabinieri, le nuove SAM riprendono il nome e si pongono in continuazione ideologica con l’omonima organizzazione clandestina presente in Lombardia nell’immediato dopoguerra <131. Nella generazione di eversori attivi negli anni Settanta è infatti forte il lascito metodologico ed il richiamo ideale delle micro organizzazioni terroristiche che tra la fine della guerra e l’inizio degli anni Cinquanta non accettano la resa e – in modo velleitario – tracciano il solco per chi sogna una rinascita rivoluzionaria del fascismo <132. Con la firma SAM vengono rivendicati a Milano e in altri centri della Lombardia – tra il ’69 e il ’74 – almeno una ottantina di attentati, perlopiù a sedi di partiti, organizzazioni, giornali di sinistra e monumenti della Resistenza <133. Nell’elenco <134, che evidenzia la crescita degli episodi a partire dal ’72 <135, spiccano gli attentati contro le abitazioni del Procuratore Generale della Repubblica Luigi Bianchi D’Espinosa e del giudice di Milano Emilio Alessandrini.
Anche il mondo della scuola rappresenta un campo di battaglia privilegiato. La radicalizzazione dello scontro con il Movimento Studentesco e la sinistra extraparlamentare condiziona infatti il vissuto dei giovani terroristi, che indirizzano i loro attacchi laddove più teso e visibile è il conflitto. Gli attentati dinamitardi hanno valore di rappresaglia ma intendono anche oltrepassare la logica dello scontro fisico, nella quale i neofascisti si sentono accerchiati dalla sproporzione numerica. Creando timore e disorientamento, le esplosioni rafforzano negli esecutori l’autorappresentazione della propria forza davanti al nemico; l’alone di segretezza che si crea intorno alle azioni, inoltre, lega i militanti in un vincolo di cameratismo più stretto, indispensabile per mantenere il riserbo davanti alle indagini.
Tenendo in considerazione le dinamiche di interazione tra i due terrorismi italiani occorre notare che nel febbraio ’73 si registra alla Fiat Mirafiori di Torino il sequestro lampo di Bruno Labate <136, sindacalista Cisnal legato al Msi. Con l’operazione culmina la prima serie di azioni delle Brigate Rosse, organizzazione terroristica di estrema sinistra attiva dal 1970 <137. Secondo un tipico schema autoassolutorio, la militarizzazione del conflitto che avviene anche a sinistra, è utilizzata dai neofascisti per presentare la violenza come reazione difensiva. Considerata «la caccia al fascista» nelle strade e nelle scuole, scrive Giancarlo Rognoni, fu «necessario attrezzarci per sopravvivere» e «rispondere a questa violenza con altrettanta violenza» <138. Stessa impostazione mentale si ritrova nelle parole di Cesare Ferri, sanbabilino vicino al gruppo La Fenice e alle SAM: «visti i rapporti di forza dei compagni nei nostri confronti, di dieci o venti a uno, il più delle volte non attaccavamo ma ci difendevamo» <139.
Nell’impennata di conflittualità che contrappone estrema destra ed estrema sinistra dal ’71-’72 lo stillicidio di aggressioni mirate mette in risalto, secondo le ricerche di Guido Panvini, una «specializzazione» della pratica squadristica da parte dei neofascisti. Allo scopo questi si dotano di manuali di combattimento, curano la preparazione fisica nelle palestre ed apprendono le arti marziali orientali (pur non disdegnando il più “italico” coltello, in onore alla tradizione degli arditi). Secondo Panvini sono gli assalti mirati degli estremisti di destra, frutto della pratica della schedatura, che producono «una reazione uguale e contraria» nell’estrema sinistra z140. Divergenti sono le letture legate al passato militante di Marco Tarchi (che ritiene questo tipo di interpretazione come «parte di un’iconografia ufficiale» <141 che non risponde al vero) e di Adalberto Baldoni, per il quale l’antifascismo militante e la messa in discussione del diritto del Msi ad esprimersi negli spazi pubblici (secondo lo slogan «fascisti carogne tornate nelle fogne» o «uccidere un fascista non è un reato») costituiscono l’innesco dello scontro violento e mettono il Msi «in trincea» <142.
[NOTE]
122 G. Pellegrino, Il terrorismo, le stragi e il contesto storico-politico, cit. Vol. II, pp. 36-38.
123 ASFI, Questura di Firenze, Gabinetto, versamento 1992, E3/E2, pezzo 1986/55 bis, Rapporto inviato da Questura di Bologna (Digos) a Ufficio Istruzione Tribunale Bologna il 30 giugno 1986, oggetto: Italicus-bis.
124 Silenzio sulle bombe nere di Reggio e di Milano, «Paese Sera», 2 febbraio 1973; L. Zanotti, A Milano “Squadre d’Azione Mussolini rivendicano i 2 attentati”, «La Stampa», 2 febbraio 1973.
125 Se il primo attentato ripete l’attacco squadristico contro la forza politica alla quale appartiene il sindaco di Milano Aldo Aniasi, il secondo si lega all’episodio – avvenuto pochi giorni prima – del ferimento di una studentessa del Liceo Cremona, colpita da un colpo di pistola accidentale partito ad alcuni studenti di destra. Nella vicenda vengono coinvolti i fratelli Lucio e Adriano Petroni (il più giovane, Adriano, sarà arrestato per l’attentato rivendicato da Ordine Nero alla sede del Psi di Lecco il 23 aprile 1974). L’attentato al bar di Viale Marche viene interpretato come una minaccia verso i testimoni oculari.
126 CdMB, Brescia, proc. pen. 91/97 Mod. 21, Ga-14, doc. acquisita Brescia, PM Milano, doc. acquisita presso Ministero dell’Interno (DCPP), sequestro archivio caserma “Campari” via Appia, 21/02/97, Attentati V^ parte, oggetto: Milano 1/2/73, sede Psi sez. “Ercolani” e Bar Viale Marche.
127 CdMB, Brescia, proc. pen. 91/97 Mod. 21, P-06, fasc. 2, sentenze e provv. acquisiti, sent. del Trib.Mi n.1335/72 del 29/04/72 contro Angelo Angeli + 7, oggetto: attentati S.A.M. del 1972.
128 cfr. M. Galfré, Tutti a scuola. L’istruzione nell’Italia del Novecento, Roma, Carocci, 2017; L. Rosso, La scuola agli studenti. Gli anni settanta nell’istruzione secondaria italiana, Tesi di dottorato, Università degli studi di Urbino Carlo BO, a.a. 2019/2020.
129 D. Guzzo, L’assordante silenzio nero e le ostentate rivendicazioni rosse: gli antitetici modelli comunicativi dei due terrorismi italiani, in «Sicurezza e Scienze Sociali», 2/2017, Milano, FrancoAngeli, 2017, pp. 17-32.
130 CdMB, Brescia, proc. pen. 91/97 Mod. 21, Ga-14, doc. acquisita Brescia, PM Milano, doc. acquisita presso Ministero dell’Interno (DCPP), sequestro archivio caserma “Campari” via Appia, 21/02/97, Attentati V^ parte, Milano 3/2/1973, Ist. tecn. stat. per geometri “C. Cattaneo”.
131 Tre sono i periodi di attività che il rapporto dei R.O.S. distingue sotto la sigla SAM: un primo periodo definito «revancista» dal 1945 al 1950; un secondo periodo 1968-1973 di ispirazione «golpista e stragista»; un terzo periodo 1973-1974 di ispirazione «spontaneista» (CdMB, Brescia, proc. pen. 91/97 Mod. 21, B/b-4, fasc. 6, Atti A.G. Milano, ROS Carabinieri, Reparto eversione, 11/12/95 Roma, accertamenti “vecchie S.A.M.”.
132 A. Carioti, Gli orfani di Salò. Il sessantotto nero dei giovani neofascisti nel dopoguerra: 1945-1951, Mursia, Milano 2008; M. Tedeschi, Fascisti dopo Mussolini. Le organizzazioni clandestine neofasciste 1945-1947, Roma, Settimo Sigillo, 1996.
133 R. Minna, Il terrorismo di destra, in Terrorismi in Italia, a cura di D. Della Porta, Istituto di studi e ricerche Carlo Cattaneo, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 51.
134 CdMB, Proc. pen. n.218/84-A G.I. (Ferri), faldone F, atti M.A.R. in originale, faldone C-VII, Avanguardia Nazionale, S.A.M, Ordine Nero, altre similari aderenti, elenco attentati 1969-1974 e volantini S.A.M.
135 cfr. anche: Le tappe del terrore, «Corriere della Sera», Informazione Milano, 14 aprile 1973.
136 Sindacalista della Cisnal sequestrato e rapato a zero, «Corriere della Sera», 13 febbraio 1973.
137 M. A. Albanese, Tondini di ferro e bossoli di piombo. Una storia sociale delle Brigate rosse, Pacini, Pisa 2020; M. Clementi, P. Persichetti, E. Santalena, Brigate rosse. Dalle fabbriche alla «campagna di primavera», Roma, DeriveApprodi, Roma 2017.
138 G. Rognoni-I.E. Ferrario, La Fenice, cit., pag. 58.
139 N. Rao, La fiamma e la celtica, cit., pp. 173-182.
140 G. Panvini, Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta (1966-1975), Torino, Einaudi, 2009, pp. 181-183.
141 M. Tarchi, Cinquant’anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo. Intervista di Antonio Carioti, Milano, Rizzoli, 1995, pp. 77-78.
142 A. Baldoni, Storia della destra. Dal postfascismo al Popolo della Libertà, Firenze, Vallecchi, 2009, pp. 159-188.
Alessio Ceccherini, La ragnatela nera. L’eversione di destra e la strage dell’Italicus (1973-1975), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Anno accademico 2021-2022