Nella serata vennero prelevati e portati alla Spezia nove uomini adulti

Ameglia (SP). Foto: William Domenichini. Fonte: Wikipedia

Giovanni Rinaldi, nato a Reggiolo l’8 novembre 1911, squadrista della Brigata Nera “Bertoni”
Interrogatorio del 25.10.1945: Mi sono iscritto al PFR il 28 ottobre 1943 quando lavoravo all’Arsenale alle officine Mas. Fui chiamato a far parte della brigata nera il 19 agosto 1944 e destinato alla caserma di via XX Settembre ove prestai servizio di istituto e partecipai ai seguenti fatti d’arme: Chiappa: erano presenti il Garetto, Auda e Torellini, in tale azione furono catturati cinque antifascisti di cui uno fu poscia fucilato. L’8 settembre 1944 presi parte ad un rastrellamento che iniziò a Villafranca e si concluse a Calice, vi partecipava tutta la brigata; Ameglia: vi fui due volte; la prima spedizione era comandata dal Ten. Col. Domenichini, c’era Fregosi e Orlandini e fruttò l’arresto di molti antifascisti indicatici dai paesani che si trovavano nella brigata nera. La seconda volta in rappresaglia all’uccisione di un milite, furono fucilati tre partigiani. Rimasi a la Spezia fino al 10.12.1944
[…] Cleto Ferrari, Capitano della Brigata Nera “Bertoni”, addetto all’Ufficio Informazioni
Memoriale: […] Non ho mai organizzato un servizio di informazioni vero e proprio non avendo né il tempo, dovendo anche lavorare per la federazione (segreteria, tesseramento, assistenza, disciplina), né i fondi a disposizione. I miei informatori erano tutti appartenenti alla brigata nera o alla GNR i quali avevano ordine di riferirmi le notizie di cui venivano a conoscenza. Circa gli informatori che non erano militari dichiaro. L’Ostuni si presentò un giorno da me dicendosi preoccupato di essere catturato in rastrellamento essendo sfollato a Vepopo. Si offrì, per essere garantito, di fornirmi notizie sui movimenti partigiani che effettivamente mi portò alcune volte. Mi risulta che abbia fatto altrettanto con il Ten. Col. Domenichini e con l’Ufficio 2° della GNR. Lo Strazzullo si presentò un giorno nel mio ufficio. Mi dichiarò di essere informatore delle SS germaniche, di aver assunto il cognome di Ricci e che il comando della brigata nera di Sarzana lo aveva inviato da me perché riferisse le notizie che portava alle SS. Venne da me alcune volte finché mi comunicò che il comando delle SS gli aveva vietato di portarmi ulteriori informazioni. La Canedoli, convivente con il Brigadiere Tellini, della federazione. E che forse intendeva rendersi simpatica perché si era accorta di essere mal tollerata. Veniva di tanto in tanto a riferirmi sui movimenti che notava in città, gruppi di giovani che secondo lei erano pronti a fare qualche colpo. Il Di Giacomo, fu, diciamo così, scritturato dal Maggiore Orlandini. Tutte le volte che il Di Giacomo veniva nel mio ufficio (lo faceva per non farsi vedere alla caserma della brigata nera) telefonava al Maggiore Orlandini che veniva subito in federazione e presente me, gli dava le informazioni. […]
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione. Vol. 9 – Liguria: Imperia – Savona – La Spezia, StreetLib, Milano, 2019 

Sul torturatore si sviluppa un senso di soddisfazione, di grandezza di onnipotenza, di sopraffazione al soggetto umano. La tortura quindi assume per chi la compie un aspetto di rivalsa, nella situazione della RSI, una metodologia privata in un contesto dove gli aguzzini percepivano una sensazione di disparità. Attraverso la tortura vi è un rifarsi sul simbolo versandoli tutto l’odio che sta prendendo piede e che minaccia in maniera più preponderante la struttura vigente, ben consapevole della sua inferiorità. Tale comportamento porta a essere l’unico modo per combattere il nemico. A riprova di ciò, si nota come alla fine del conflitto, quando era chiaro l’avvicinarsi della sconfitta, le torture non solo aumenteranno ma avverranno in maniera palese senza la necessità di nasconderle alla popolazione.
Le rappresaglie
Un altro metodo dove la violenza veniva praticata in maniera libera e giustificata era quello delle rappresaglie ovvero punire per qualche azione partigiana il popolo civile, in modo che da un lato i partigiani stessi avessero delle remore ad effettuare nuove azioni, dall’altro spaventare i civili dimostrando in maniera palese quali conseguenze potevano giungere in caso di aiuto e di sostegno delle forze resistenti. Vi è una dinamica che si crea nelle azioni di rappresaglia, ovvero l’illusione da parte delle autorità dittatoriali, che appoggiano tali comportamenti, di restaurare una forma di legalità. La differenze tra le rappresaglie fasciste e quelle dei tedeschi fu proprio quella di non rivendicare apertamente il diritto di rappresaglia, creando una sorta di copertura formale. <148
Nel caso dello spezzino possiamo assistere a casi di rappresaglia mista, a metà tra quella definita politica degli ostaggi, cioè ritorsioni compiute nei confronti dei prigionieri, e quella nei confronti della popolazione civile.
Il primo caso di rappresaglia sul territorio effettuato dalla BN Tullio Bertoni accadde il 28 agosto del 1944 <149, e fu il così detto “rastrellamento del Felettino” che avvenne in risposta all’attentato verificatosi davanti al cancello dell’ospedale del Felettino [n.d.r.: in La Spezia] dove rimase ferito il tenente della BN, Nello Pratici e ucciso il sottotenente Bergamini. Senza interpellare nessuna autorità le Brigate Nere giustiziano 4 dipendenti dell’ospedale, sospettati di essere collaboratori dei partigiani: Arduino Cecchi, infermiere, il fuochista Edoardo Mordacci, il manovale Natale Maggiani e il contadino Stefano Sanguinetti. Soprattutto in questo caso si cercò di legittimare la violenza creando una serie di prove, spesso inventate, che classificavano le vittime come collaboratori dei partigiani. In seguito risposero di questo reato Oreste Marcobello e Remo Orlandini.
Nel pomeriggio del 24 settembre 1944 una pattuglia partigiana appartenente alla brigata Garibaldi U. Muccini, giunta dal Monte Grosso di Aulla nel territorio di Arcola per procurarsi armi e vettovaglie, attaccò due tedeschi a cavallo, un maresciallo e un soldato, nei pressi di Ressora di Arcola <150 (località Porcareda, vicino alla vecchia stazione). Il maresciallo tedesco venne ucciso, mentre il soldato catturato. Il 25 settembre la comunità locale partecipò numerosa alle esequie del tedesco, anche nel tentativo di allontanare il pericolo di rappresaglie, ma nel pomeriggio del 26 militari tedeschi ed esponenti fascisti si portano nel paese. Nella serata vennero prelevati e portati alla Spezia nove uomini adulti fatti pernottare nel comando tedesco locale e, nella prima mattinata del 27 settembre, condotti nel luogo dell’attacco partigiano e fucilati per rappresaglia. <151 La violenza fascista investì anche i renitenti alla leva.
Ad Ameglia, il 26 ottobre 1944, <152 2 membri della Brigata Nera furono vittime di una imboscata dove uno dei due militi venne colpito a morte. I reparti della Guardia Nazionale Repubblicana e della Brigata Nera, di conseguenza, catturano 4 persone, i fratelli Landi, Duilio Bernardini e Sergio Guglielmoni, renitenti alla leva. I prigionieri vennero fucilati in via Crociata, presso un argine. Per la loro partecipazione all’operazione di Ameglia il milite Ferruccio Poggi e il tenente Mario Pratici vennero condannati dalla Corte d’Assise Straordinaria della Spezia.
Un altro caso molto importante si verificò nel quartiere presso lo stabilimento Flage a Migliarina, il 1 novembre del ’44. <153
Il 29 di ottobre si verificò un attacco partigiano degli uomini della “Vanni” alla caserma della Guardia Nazionale Repubblicana, presso il silurificio Flage dove vennero uccisi dai partigiani 2 sentinelle e 2 militi che si trovavano in sala mensa.
Nello stesso giorno i partigiani provarono a rapire un ufficiale della GNR, ma si scontrano con la pattuglia arrivata in soccorso uccidendo un milite. Per rappresaglia, per la morte dei 5 militi vennero giustiziati dalla 628^ GNR ben 8 partigiani e 2 presunti collaboratori. Si trattava di Marcello Ruggia, Alceste Alessandrini, Davide Battolla, Leo Maruffetti, Guido Brambante, Bruno Franceschini, Giacomo Bernardini, Silvio Chiocconi, Silvio Raffi, Torquato Venturini.
I loro cadaveri vennero esposti come monito alla popolazione per un totale e assoluto rispetto alla volontà del governo. <154 “Ero un bambino di nove anni e mi trovai a passare dalla Flage, mentre i fascisti eseguivano una sommaria condanna a morte nei confronti di cinque uomini. La milizia mi costrinse ad assistere a quell’esecuzione perché ciò fosse di monito per tutti coloro che avessero voluto in qualche modo ribellarsi”. <155
Si deve, inoltre, tener conto del fatto che i fascisti, nei giorni precedenti all’esecuzione, attaccarono per tutta la città manifesti nei quali si invitava la cittadinanza ad assistere all’esecuzione.
Le azioni di rappresaglia aumentarono vertiginosamente dopo la costituzione della Brigata Nera del 28 Giugno 1944 e si concentrarono soprattutto nel periodo finale della guerra.
Nella serata del 3 febbraio 1945 i partigiani Giovanni Pagani, comandante della IV Compagnia della Colonna Giustizia e Libertà della IV Zona Operativa ed Ezio Grandis, tra i principali collaboratori di Pagani, catturati nel grande rastrellamento del gennaio 1945 e detenuti alla Spezia, furono portati da militi della Brigata Nera spezzina nel quartiere popolare della Chiappa <156 e fucilati in via Genova. I loro corpi furono abbandonati sul posto come monito per la popolazione. L’esecuzione fu un’iniziativa autonoma della Brigata Nera, che pare abbia avvertito la questura e la prefettura solo successivamente, affermando che le uccisioni sarebbero avvenute a seguito di un tentativo di fuga dei due prigionieri durante un trasferimento dalla caserma di via XX Settembre a quella della Scorza. Artefice della rappresaglia fu il maresciallo della Brigata Nera spezzina Pietro Auda, processato e condannato a morte dalla Corte d’Assise Straordinaria della Spezia per diverse imputazioni, tra cui aver preso parte alle fucilazioni di Pagani e Grandis.
[NOTE]
148 Toni Rovatti, op.cit.
149 Archivio di Stato della Spezia, Gab. Prefettura, b.168, Relazione mensile del Capo della Provincia della Spezia; Archivio ISR La Spezia, fasc. 241-242, Elenco partigiani e collaboratori caduti della IV Zona Operativa
150 AA.VV., Arcola tra storia e ricordo 1939-1945, Comune di Arcola, Comitato Unitario della Resistenza, Arcola 1996.
151 Archivio ISR La Spezia, fasc. 241-242, Elenco partigiani e collaboratori caduti della IV Zona Operativa 152 Archivio di Stato della Spezia, Gabinetto Prefettura, b. 441, atti riservati RSI, sottofasc.2, Rapporto del comando provinciale GNR.
153 Archivio di Stato della Spezia, Prefettura, b. 441 – Atti Riservati RSI, sottofasc.2, Relazione mensile della prefettura spezzina e rapporti – Archivio ISR La Spezia, fasc. 244, Elenco caduti civili della IV Zona Operativa
154 Toni Rovatti, op.cit.
155 Testimonianza di Irio Moriconi
156 Archivio di Stato della Spezia, b. 441, atti riservati RSI, sottofasc. 3, Fonogramma della Questura della Spezia – Archivio ISR La Spezia, fasc. 241-242, Elenco partigiani e collaboratori caduti della IV Zona Operativa.
Marco Bardi, La Repubblica Sociale Italiana alla Spezia tra pratiche repressive e punizione dei crimini, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2019

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