L’UPI invitava i lavoratori italiani emigrati in Francia a sostenere la lotta per le conquiste sociali e per la salvaguardia della democrazia

Con il 1937 prende avvio, da un’iniziativa politica del PCd’I, il ‘più ambizioso tentativo di saldatura fra l’azione antifascista dei partiti in esilio e la massa dei lavoratori italiani’ <101 in Francia: l’Unione popolare italiana, che fu una trasformazione dei Comitati di Fronte Unico, ed ebbe come intento quello di raggruppare la maggior parte dei lavoratori italiani attivi in Francia attorno ad una piattaforma assistenziale, associativa, ricreativa, tale da farne uno strumento di difesa efficiente degli emigrati. <102
La decisione di creare l’UPI fu presa durante il Congresso di Lione che si svolse il 28 e 29 marzo 1937 alla presenza di 547 delegati rappresentanti le diverse correnti dell’antifascismo, comunisti, socialisti, repubblicani e giellisti <103 e di esponenti autorevoli della III Repubblica, comunisti, socialisti e radicali.
L’UPI è stata una creazione della ‘politica della mano tesa’ o della riconciliazione che aveva come obiettivo quello di realizzare “l’unione degli italiani immigrati, al di sopra di ogni tendenza particolare o di partito” si rivolgeva anche agli italiani “oltre il confine antifascista”.
L’Unione si proponeva di raggruppare gli emigrati per la difesa dei loro interessi materiali e morali, di realizzare l’unione del popolo su di una piattaforma quantomai semplice ‘per il pane, la pace e la libertà’ mediante la fraternizzazione tra italiani e francesi. L’Unione invitava i lavoratori italiani a sostenere la lotta per le conquiste sociali e per la salvaguardia della democrazia. I comunisti, come era accaduto nei Comitati di Fronte unico, erano anche all’interno della nuova associazione la maggioranza. Il PCd’I destinò alla direzione della segreteria dell’UPI Romano Cocchi, già leader del fronte unico e nell’Italia pre-fascista organizzatore di leghe bianche nonché esponente della sinistra del partito popolare. Al congresso di Lione la segreteria dell’UPI denunciava la politica del governo di Roma, l’alleanza con Berlino e l’intervento in Spagna, si faceva paladina del patrimonio culturale dell’Italia e della tradizione risorgimentale, e, accettando le direttive del VII congresso del Comintern, si rivolgeva ai connazionali influenzati dalla propaganda del regime per conquistarli a nuove idee.
L’Unione per riuscire a penetrare negli animi degli italiani diffonde i propri messaggi politici con un linguaggio quanto mai accessibile. Promuove iniziative e istituzioni associative e ricreative quali: istituzioni di assistenza, Fratellanze regionali, circoli ricreativi, società di mutuo soccorso, scuole per italiani, feste, filodrammatiche. Questo tipo di iniziative dell’Unione, volte a rispondere al bisogno di socializzazione degli emigrati italiani, si pongono in contrapposizione con l’azione sviluppata in questo ambito da Consolati e Fasci italiani, che fino ad allora hanno avuto il monopolio sull’opera assistenziale ed aggregativa degli emigrati. Numerosi furono gli italiani che aderirono alla nuova organizzazione nonostante avessero già domandato l’iscrizione ad un Fascio. <104
Tali iniziative vanno ad affiancarsi anche alla politica del Fronte popolare francese, attenta ai bisogni della società di massa (vacanze, tempo libero, associazionismo di base etc..). Attraverso il tema della solidarietà tra lavoratori nelle battaglie per le comuni rivendicazioni e attraverso l’attività sindacale, gli operai venivano invitati a iscriversi alla CGT, si voleva sensibilizzarli alla causa antifascista. Sottolinea Rapone come l’attività dell’UPI per favorire l’integrazione nella società francese e nel clima del Fronte popolare, con la continua insistenza sul tema dell’amitié franco-italienne, fa intravedere ‘il proposito di fungere da centro di raccolta di un volontariato italiano nell’evenienza di una guerra franco-tedesca’. <105
L’UPI pubblicò anche un suo giornale, ‘La Voce degli Italiani’, pur non essendo l’organo ufficiale dell’associazione. Fu finanziato quasi esclusivamente dal PCd’I e uscì a partire dal luglio del ’37 e ininterrottamente fino alla sua sospensione nel 1939. Fu un foglio per il popolo, per la maggioranza degli emigrati privi di istruzione, che spesso parlava a stento l’italiano, e si esprimeva in dialetto. Dandosi un tale indirizzo il giornale cercava di riscoprire un’italianità che avrebbe favorito l’ingresso dell’antifascismo nelle famiglie operaie politicamente immature. Era un giornale che mescolava informazioni militanti a informazioni sulla vita quotidiana degli emigrati, inchieste sui luoghi di residenza degli emigrati, come quella commissionata alla Brandon Albini, che indagò gli ambienti dell’emigrazione italiana povera nella banlieue parigina. Il giornale pubblicava numerose fotografie, aveva uno stile accattivante, e ospitava rubriche dedicate alla corrispondenza coi lettori e una specificatamente dedicata alle donne.
Per quanto riguarda l’attività dell’UPI, essa si svolgeva in più campi: si occupava dei prigionieri politici in favore dei quali invitava gli emigrati a inviare telegrammi all’ambasciata o ai consolati per protestare contro le pratiche imposte ai carcerati (ad esempio il saluto romano); si faceva portavoce dei patronati impegnati nella raccolta di aiuti per le vittime dell’ondata di repressione della fine del ’37, inoltre promuoveva le naturalizzazioni.
Costante era poi il sostegno alla Spagna: si inviavano indumenti, vettovaglie contributi finanziari e si esaltavano le gesta dei garibaldini, si organizzavano manifestazioni e comizi in tutta la Francia. Al momento della Retirada, l’Unione si occupò dei reduci delle Brigate Internazionali internati nei campi francesi.
L’UPI si avvalse della collaborazione di tutta une serie di organismi ausiliari d’impronta comunista’, quali: gli ‘Amici della Voce’, attivisti del giornale, i ‘Patronati del Soccorso Rosso interno’, che raccoglievano soldi destinati ai detenuti politici in Italia, i ‘Comitati per lo Statuto Giuridico’ che si occupavano di questioni giuridiche degli emigrati, le “Fratellanze” (esistevano le fratellanze a carattere regionale quali quella lombarda, toscana, reggiana ma anche quelle garibaldine), i Circoli-Bocciofili, le Associazioni di Mutuo soccorso. <106
L’UPI riuscì ad essere l’organizzazione col più alto numero di adesioni, tra quelle promosse dai partiti o associazioni antifasciste. Ufficialmente il numero di iscritti, alla vigilia della guerra, fu intorno ai 45.000, tuttavia occorre sottolineare che tale cifra non è verificabile, secondo Eric Vial che ha svolto una ricerca molto approfondita sull’UPI, può essere considerato come numero fedele quello di 15.000 iscritti.
L’associazione era organizzata in 700 sezioni, tuttavia la sua diffusione avvenne in alcune zone della Francia a penetrare in zone provinciali e nei dipartimenti industriali e minerari del nord e delle regioni a nord-est, a lungo dominate da organismi fascisti quali la Moselle, la Morthe-et-Moselle, il Doubs, il Pas de Calais, la zona di Digion. Non ebbe lo stesso successo nella capitale francese e nella Seine e Seine-et-Marne, <107 tuttavia, osserva la Blanc-Chaléard, ebbe una discreta diffusione nel comune rosso di Montreuil a nord di Parigi. Simonetta Tombaccini ritiene utile considerare come causa giustificatrice dell’aumento dei consensi, anche l’allargamento ai cattolici, infatti Romano Cocchi, segretario dell’UPI, proprio in considerazione dell’attaccamento religioso di molti operai dichiarava “noi non vi domandiamo di rinunciare alle vostre ideologie religiose”. <108 Tale tolleranza non piaceva agli altri partiti antifascisti, nemmeno ai socialisti, Nenni la considerava una vera esagerazione quando la Chiesa era in Italia e in Spagna uno dei nemici da abbattere e la religione un ostacolo sulla via dell’emancipazione umana. Inoltre tale tolleranza dell’UPI dimostrata verso i cattolici non era accordata a trotzkisti, bordighiani o presunti tali, per i quali l’Unione seguì alla lettera le direttive del partito comunista e dunque ne denunciò i legami con l’OVRA e la Gestapo e la loro opera di disgregazione del fronte antifranchista.
L’attività dell’UPI fu sostenuta da PCd’I e da PSI unito dal Patto d’unità d’azione, tuttavia diversi socialisti, come anche esponenti del PRI e di Giustizia e Libertà diffidavano di quel processo di politicizzazione delle masse portato avanti con linguaggi elementari e volto a far ottenere un ruolo egemonico ai comunisti. Tale sospetto si rafforzò sempre di più quando l’UPI, accentuando il suo carattere apartitico, si propose quale rappresentante dell’emigrazione italiana in Francia presso le autorità francesi. In particolare i dirigenti dell’UPI cercarono di stabilire con alcuni politici francesi degli stretti legami, quali quelli con il radicale Herriot, presidente della Camera, il cui volto compare nella tessera dell’UPI del 1939 insieme alla seguente dichiarazione: “Les adhèrents à ‘L’unione popolare italiana’, organisation amie de la démocratie, n’ont rien à craindre de nouveaux décrets. Bien au contraire, ils seront toujours traités comme des amis.” <109
L’UPI accentuò il suo carattere filo-francese dal 1938, tese sempre più ad una ‘fusione totale tra gli emigrati italiani e la loro patria d’elezione’ che culminò nell’appello “aderire all’esercito francese in caso di guerra”.
Questa prospettiva filo-francese fu motivo di attrito con le altre forze politiche antifasciste rivolte più a finalità nazionali. Fin dal Congresso di fondazione dell’UPI a Lione, Romano Cocchi aveva accennato alla possibilità che gli italiani, andati a combattere per la Repubblica spagnola potessero un domani accorrere a “a decine di migliaia a difendere la Francia, qualora essa venisse attaccata”. <110 Dalla metà del 1937 la questione dell’interventismo venne un po’ messa in disparte a causa dell’andamento negativo del conflitto spagnolo e per la riluttanza ad occuparsene da parte del PCd’I che non sapeva ancora quale azione avrebbe svolto in caso di una guerra generale. Osserva Rapone che in questo periodo prevale la linea di GL che vuole favorire un accordo fra i partiti antifascisti più importanti in modo che sia data autorevolezza al fuoruscitismo. Le trattative che si ebbero alla fine del 1937 non dettero alcun esito: “il dissenso è profondo sulle linee che dovrà seguire la ricostruzione della democrazia in Italia, sull’arco delle alleanze politiche e sociali da promuovere, sugli spazi di autonomia che i partiti alleati possono riservarsi accanto all’azione comune”. <111
Quando poi scoppia la crisi cecoslovacca nel settembre del 1938, se è ancora valida la proposta di GL di dare vita ad un Consiglio nazionale degli Italiani, con la presidenza da affidare a Salvemini, le trattative furono sempre più difficili. Si discute del rapporto fra i fuorusciti e i governi democratici nella guerra e l’eventuale contributo militare dell’emigrazione italiana nell’esercito francese. PSI, GL e PRI vogliono che l’emigrazione in Francia si affermi come un soggetto autonomo, in modo che la loro azione risulti non un contributo militare ad una guerra fra stati ma ad un conflitto ideologico, una guerra contro il fascismo. Vogliono evitare anche che gli emigrati, una volta arruolati, siano visti come forza ausiliaria di uno stato estero, reclamano pertanto la creazione di un corpo militare italiano inquadrato nell’esercito francese, ribadiscono che la politica degli antifascisti debba avere una sua autonomia rispetto alla politica dei governi stranieri. Il PCd’I, pur non contestando la formazione di una legione autonoma, insiste sulla partecipazione dell’emigrazione alla mobilitazione del popolo francese.
La politica comunista si muove su un doppio binario, da una parte promuove l’azione del PCd’I in Italia, la lotta antifascista e classista e dall’altra l’azione dell’UPI che con il suo programma impostato sull’amicizia franco-italiana, costituisce la convergenza dell’antifascismo italiano nell’alleanza internazionale delle potenze antifasciste. <112 I comunisti, attraverso l’UPI, chiedono agli emigrati italiani di sostenere la Francia e ne incoraggiano l’arruolamento volontario nell’esercito francese. L’UPI con questa posizione intravede la possibilità di affermarsi, rispetto al governo francese, come la interprete più legittima dell’emigrazione italiana, forte dei suoi 50.000 iscritti.
L’emigrazione italiana, al di là delle diatribe politiche, rispose scegliendo di arruolarsi, e, stando alla stampa dell’UPI, circa 100.000 italiani si recarono presso prefetture, municipi, commissariati per attestare il loro lealismo e la loro fedeltà alla Francia dando disponibilità ad arruolarsi quali volontari o a collaborare alla difesa civile. In un volantino del 27 settembre 1938 redatto dall’UPI, dall’Association des Anciens Combattants italiens e dall’Union des femmes italiennes, diffuso al momento della crisi cecoslovacca, e intitolato “Si, malgré tous les efforts pour sauver la Paix, la Démocratie française était attaquée”, è ribadita la fedeltà degli italiani alla Francia, alla democrazia, alla pace ma anche la disponibilità a difendere la terra francese in caso di guerra: “Nous ne désespèrons pas encore de la paix. Aux cotés du grand peuple de France, nous avons lutté et nous lutterons jusqu’au bout pour défendere la paix. Mais si, malgrés tous les efforts des masses populaires et des gouvermnements démocratiques pour sauver la paix, les régimes fascistes, sourds à tous les appels de l’humanité et de la raison, déclanchaient la guerre, nous lutterions avec toutes nos forces aux cotés de nos frères de France pour la défaite des agresseurs hitlérien et fasciste, surs d’agir ainsi en bons Italiens et en bons amis de la démocratie. Nous nous inspirons de l’exemple garibaldien.
Nous défendons la cause de la démocratie, condition même de la libération de notre patrie. Nous ne pouvons pas et nous ne voulons pas nous battre pour le pangermanisme hitlérien. La démocratie française peut compter sur la démocratie italienne. Le peuple de France peut compter sur ses amis et tout spécialement sur ceux qui, comme nous, partagent son pain et jouissent de la meme liberté, et qui, en l’aidant, paient un tribut de reconnaissance et servent l’idéal commun de justice et de progrès”. <113
Se è difficile dire se fossero veramente 100.000 i connazionali che chiesero di arruolarsi, il fenomeno si impose all’attenzione di Mussolini che istituì la Commissione Ciano per il rimpatrio degli italiani, tuttavia questa ebbe uno scarso successo: i rimpatri furono solo 3.000/4.000. <114 La comunità italiana dimostrò in quell’occasione il suo interesse e attaccamento alla Francia. L’UPI sfruttò questo sentimento fraterno per la consorella latina come dimostra il seguente discorso tenuto da Romano Cocchi nel febbraio del 1939: “Quando la Francia significa democrazia, quando cioè gli interessi della Francia coincidono con gli interessi superiori della pace, del progresso e della libertà, e quindi con gli interessi fondamentali di tutti i popoli, e quindi del popolo italiano, noi – e noi italiani – non possiamo esitare un istante : noi difendiamo la Francia. Quando la Francia diventa la trincea della libertà, qualunque sia il suo governo, qualunque siano le debolezze o le inconseguenze di democratici, più o meno degni di questo nome, noi difendiamo la Francia”. <115
Anche il momento della politica francese suggerisce questa presa di posizione dell’UPI. Dopo la fine dell’esperienza del Fronte popolare, e data la situazione che si crea in Francia in seguito alla crisi cecoslovacca e al Patto di Monaco, l’UPI accentuò i toni nazionali per accattivarsi il governo e cercò consensi presso il presidente della Camera Herriot e presso i rappresentanti dei comuni. I sindaci vengono invitati ad aderire alle manifestazioni dell’associazione o ad assumere la rappresentanza legale delle sezioni locali. L’UPI in questa sua azione riscontrò alcuni successi che comunque non si tramutarono in impegni ufficiali né da parte del governo francese né tantomeno da parte delle autorità locali nei confronti della comunità italiana. Tuttavia quest’opera le fu molto utile come propaganda fra gli emigrati. Fra questi si diffuse un senso di insicurezza alimentato da una prospettiva di un conflitto mondiale, da atteggiamenti italofobi da parte della popolazione francese nonché dalle misure restrittive che i governi iniziarono ad assumere nei confronti degli stranieri a partire dal maggio 1938. Viene fatto credere loro che è utile avere la tessera dell’UPI, essa serve per distinguere l’italiano amico del popolo francese dagli altri italiani, i nemici dei francesi.
Nei primi mesi del ’39 si ripresentò la minaccia di guerra, con Hitler che si impossessò di quanto restava della Repubblica cecoslovacca e Mussolini che occupò l’Albania. Dopo la firma nel maggio del “patto d’acciaio”, una vera e propria alleanza militare offensiva e difensiva tra Germania e Italia, a cui fece seguito l’alleanza di Francia e Inghilterra con la Polonia, data la gravità della situazione internazionale, le varie formazioni politiche antifasciste ripresero i contatti per arrivare ad un’alleanza politica e organizzativa. <116
Tali volontà di intenti subirono un arresto quando comparvero nel marzo-aprile ’39 i decreti del governo Daladier che autorizzavano gli stranieri ad arruolarsi, già in tempo di pace, nell’esercito francese. L’UPI, come già aveva fatto nel settembre del ’38, spronò gli emigrati italiani a entrare nell’esercito francese diffondendo la parola d’ordine ‘prima di tutto arruolarsi’; gli altri partiti furono propensi ad una formazione autonoma ma più che altro interessati alle sorti dell’Italia. Posizioni divergenti si ebbero anche riguardo alle severe misure di polizia adottate contro gli stranieri e contro le associazioni (alle quali fu richiesto un stretto apoliticismo e i nomi degli aderenti): l’UPI fu disposta ad ‘accettarle’, mentre gli altri partiti fuorusciti le criticarono aspramente. In seguito all’adozione di questo decreto dell’aprile del ’39, i Fasci italiani in Francia furono sciolti e furono sospese tutte le attività da loro organizzate. <117
Grazie all’emissione di un comunicato da parte del governo Daladier che ordinò agli stranieri di sospendere la corsa alle iscrizioni e di attendere un successivo decreto per conoscere le modalità di arruolamento, il diverbio fra le varie forze antifasciste si appianò. Quest’ultime continuarono ad incontrarsi e a discutere una piattaforma politica che gettasse le basi di una ampia Alleanza antifascista. Si sviluppò tuttavia un diverbio fra Cocchi, dirigente dell’UPI e il PCd’I che gli rimproverò la sua politica settaria nei confronti dei partiti antifascisti italiani e la sua troppa condiscendenza verso la politica francese. <118 Ad aprile si arrivò ad un accordo tra PSI e PCd’I per la costituzione di “unità militari aventi carattere italiano”. Fra i partiti rimasero forti divergenze riguardo alla gestione dell’UPI: GL e PRI chiedevano di partecipare pariteticamente alla dirigenza dell’UPI mentre il PCd’I si opponeva. Invano il PSI cercò di mediare tra le opposte vedute, le divergenze continuarono a persistere, anzi si acuirono irrimediabilmente a partire dal 23 agosto del ‘39 quando fu stipulato il patto Molotov-Ribbentrop.
Al momento della firma del Patto il partito comunista francese venne sciolto così come le associazioni di stranieri in Francia. Stessa sorte toccò all’UPI, come ricorda nelle sue memorie Maria Brandon Albini: “Il 23 agosto 1939: si stacca sullo sfondo di questa data l’ultima serata in un caffè popolare (…) L’unione popolare italiana teneva una riunione che prese, a causa di quelle notizie appena diffuse alla radio, un lugubre tono di fine d’un’epoca. Visi inquieti di emigrati italiani e di amici francesi. Un’ansia quasi muta di capire, di rendersi conto… Altre notizie giunsero; a Parigi tutte le associazioni italiane antifasciste erano sciolte, i militanti diventati clandestini avevano ricevuto l’ordine di scomparire, di mettersi al sicuro, in attesa di nuove direttive… Pochi giorni dopo scoppiò la guerra. Sul Boulevard Rochechouart i “Paris Midi” sventagliati dagli strilloni, strappati dai passanti, ripetevano a caratteri di scatola quell’annuncio. Già urlavano le sirene, sirene pazze e maledette, assurde e inutili, per creare apposta il panico: per fiaccare il coraggio, ed imporre la vigliaccheria e la rassegnazione. Sui muri ancora umidi di colla, comparivano i manifesti con due bandierine incrociate in cima; era la mobilitazione generale”. <119
[NOTE]
101 L. Rapone, L’Unione popolare italiana, in P. Milza, D. Peschanski, Exils et migrations, op. cit., p. 334.
102 P. Spriano, Storia del partito comunista , I fronti popolari, Stalin, la guerra, op. cit., p. 219.
103 In una lista di presentazione di personalità italiane legate alla manifestazione, dove si vogliono alternare i comunisti e i non comunisti, e volta a mescolare i presenti e coloro che hanno dato una adesione di principio vi sono: lo storico Guglielmo Ferrero, l’ex deputato Silvio Trentin, divenuto libraio a Tolosa e rappresentante di una tendenza di sinistra di GL, Campolonghi, Pacciardi, al momento comandante delle Brigate Internazionali, rimasto a Madrid; i responsabili comunisti, Egidio Gennari, Ruggiero Grieco, Giuseppe Di Vittorio, Luigi Longo, poi il socialista Alessandro Bocconi, vicino al PCd’I e presidente del Fronte Unico, e Silvio Schettini, repubblicano ma passato nell’orbita del PCI e presidente dell’Association franco-italienne des anciens combattants. E. Vial, L’Union populaire italienne 1937-1940, o Une organisation de masse du Parti communiste italien en exil Roma, École française de Rome, Roma, 2007, p. 6.
104 E. Vial, I Fasci in Francia, in E. Franzina, M. Sanfilippo ( a cura di), Il fascismo e gli emigrati, Roma, Editori Laterza, 2003, pp. 30-33., cit, p. 35
105 L. Rapone, I fuorusciti antifascisti, la seconda guerra mondiale e la Francia, in P. Milza (a cura di), Les Italiens en France de 1914 à 1940, op. cit., pp. 346 e seg.
106 ACS, G1, UPI 1938, b. 318.
107 Furono una conquista di primaria importanza i dipartimenti del nord-est, la regione attorno a Lione, l’Isère, il Doubs Moselle, Morth et Moselle, le Alpi Marittime e Rodano, mentre nella regione di Parigi, nella Savoia, e nel tolosano scarsa fu la penetrazione. Secondo un informativa per la Divisione degli affari generali e riservati l’UPI riuscì a penetrare nell’emigrazione politicamente vergine ed arretrata e proveniente da regioni politicamente meno consapevoli: Sicilia, Puglie, Sardegna, Friuli. ACS, G1, UPI, 1937, b. 317.
108 Simonetta Tombaccini, Storia dei fuoriusciti italiani in Francia, Milano, Mursia, 1988, pp. 314.
109 ACS, G1, UPI 1938, b. 317.
110 L’Unione popolare italiana. Congresso di Lione, cit. in L. Rapone, I fuorusciti antifascisti, p. 348.
111 Ivi.
112 La stessa struttura dei comunisti italiani in Francia in questo periodo suggerisce questa politica bipolare. Il PCd’I non ha una struttura articolata al di sotto del suo gruppo dirigente, dalla fine del ’36 i gruppi di lingua italiani legati al PCF sono stati sciolti. I militanti comunisti italiani, iscritti in maggior parte all’UPI, adesso gravitano tutti nel PCF e ne subiscono la politica nazionale. Il PCd’I lamenta questo distacco con gli emigrati comunisti in Francia, per colmare questa distanza crea alla fine del 1937 “i circoli di Stato Operaio” che sono l’equivalente dei vecchi “gruppi di lingua”, un’organizzazione esclusivamente riservata agli italiani iscritti al PCF, circa 8000, il cui scopo era anche quello di migliorare la formazione dei quadri dirigenti. Nel 1938 la loro direzione è affidata ad una Commissione guidata da Montagnana che diventa anche direttore de La Voce degli italiani. A promuovere l’opera educativa dei gruppi venne chiamato Giorgio Amendola, giunto di recente dal confino di Ponza, che iniziò a viaggiare di regione in regione per tastare il terreno dell’emigrazione. Venne a contatto con una massa di persone non istruite, che parlava con difficoltà l’italiano e lo storpiava con parole tratte meccanicamente dal francese, e politicamente acerba. I circoli stentarono ad affermarsi per la limitata esperienza e preparazione dei militanti, per la loro tendenza a ricreare i gruppi di lingua, per la mancanza di direttive superiori chiare, tanto è vero che nell’aprile del ’38 a Parigi, a Lione, a Marsiglia e a Nizza o non esistevano proprio o funzionavano poco e male. Solo in alcune località della Mosella e della Meurthe-et-Moselle sembravano dare soddisfazione. L’organo direttivo del partito progettò di istituire delle scuole, le prime iniziarono a funzionare nel marzo del ’39 nella regione parigina. S. Tombaccini, Storia dei fuorusciti in Francia, op. cit., pp. 342-343.
113 Volantino in ACS, G1, UPI 1938, b. 318
114 P. Milza, Voyage en Ritalie, op.c it., p. 293.
115 R. Cocchi ‘In Francia come in Spagna per la libertà e per l’Italia’, in La Voce degli italiani, 22.2.39, citato in L. Rapone, I fuorusciti.., op. cit., p. 353.
116 GL chiese al partito comunista di formare un’unione degli antifascisti basata sulla “pregiudiziale repubblicana” e chiese anche che il Patto d’unità tra comunisti e socialisti venisse sciolto. Il PCd’I, ritenendo che il patto d’azione costituisse il punto di partenza per ogni altra intesa, ribadiva la propria scelta repubblicana, nel quadro di una democrazia italiana basata sul popolo, ma riteneva opportuno usare toni meno estremi, si diceva infatti contrario a fissare subito la “pregiudiziale repubblicana” chiesta da GL, poiché questa avrebbe potuto compromettere più larghe alleanze nella lotta al fascismo. E la stessa linea fu espressa dal PSI che era favorevole ad un’alleanza con le altre forze antifasciste ma nel rispetto delle conquiste già realizzate. P. Spriano, Storia del partito comunista, I fronti popolari, Stalin, la guerra, op. cit., p. 302.
117 E. Vial, I Fasci in Francia, in E. Franzina, M. Sanfilippo (a cura di), Il fascismo e gli emigrati, op. cit., pp. 34-35.
118 L. Rapone, op. cit., pp. 360-361
119 M. Brandon Albini, La Gibigianna, op. cit., p. 141.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013