
Esporsi fiancheggiando la Resistenza restava estremamente pericoloso per chiunque: la repressione non guardava in faccia a nessuno. Il 21 ottobre [1944], a Maddalena di Sassello, i “marò” fucilarono il parroco don Minetti, reo di aver aiutato i partigiani <105. Tra ottobre e novembre, prima di subire il rastrellamento che l’avrebbe sloggiata dalla zona, la Sesta Brigata mise a segno ancora due colpi significativi. Il 28 ottobre la solita stazione di Sella fu teatro di un’azione di grande…impatto concordata con il personale ferroviario del posto. Tagliati i collegamenti telegrafici e telefonici, i partigiani del “Sambolino”, travestiti a loro volta da ferrovieri (una decina di loro lavoravano allo scalo di Savona Letimbro prima di salire in montagna), fermarono un treno di venti vagoni proveniente dal capoluogo e carico di materiale bellico. Il partigiano Giovanni Valdora “Ferroviere” staccò la locomotiva mentre gli altri saccheggiavano i vagoni e la condusse nel bel mezzo della lunga e buia galleria che conduceva ad Altare, sull’altro versante dello Appennino. Quindi, tolti i freni, il convoglio fermo a Sella piombò nella galleria, scontrandosi con il locomotore e deragliando disastrosamente. La linea Savona – Torino rimase bloccata per dieci giorni, e i genieri della Wehrmacht dovettero ricorrere al tritolo per rimuovere l’ingombro di lamiere che ostruiva il tunnel. L’azione venne citata anche da Radio Londra <106.
Ancora, la notte tra il 2 e il 3 novembre 80 uomini dei distaccamenti “Bocci” e “Sambolino”, dopo una lunga marcia sotto la pioggia in una zona fitta di posti di blocco nemici, attaccarono un munito fortino a Varazze, catturando 23 “marò” ed un ufficiale oltre ad armi, tra cui due mortai da 81 e 4 mitragliatrici pesanti, e materiali vari. Inseguiti da reparti della “San Marco” e della “Monte Rosa”, i garibaldini si scontrarono con il nemico nella località di Faie, sopra Varazze, dileguandosi quindi senza perdite mentre i repubblicani contavano dieci morti (ma al solito il dato è poco attendibile) <107.
Prima di addentrarci nella disamina delle azioni compiute dalla Quarta e dalla Quinta Brigata, è doveroso soffermarsi a considerare le valutazioni espresse a vario titolo dagli organismi dirigenti del movimento garibaldino, in quanto contengono aspetti rivelatori di una mentalità tipicamente comunista che era venuta cementandosi negli anni del regime e che le direttive di Togliatti, per quanto applicate, non erano riuscite a modificare se non superficialmente. In sostanza: i comunisti liguri erano e rimanevano in gran parte dei settari (e vedremo come e perché), il che li metteva in cattiva luce agli occhi degli altri antifascisti, limitava la lucidità delle loro analisi politiche e rendeva comunque problematica la collaborazione e la convivenza con altre forze espresse dal CLN. D’altronde, il sospettoso antibolscevismo di cui erano imbevuti il cattolicesimo popolare e la borghesia laica ligure non contribuivano a creare l’auspicato clima di fraternizzazione tra tutti gli antifascisti.
Il 6 ottobre 1944 Giovanni Gilardi “Andrea”, buon conoscitore della realtà savonese per diretta esperienza, nella sua qualità di responsabile dell’ufficio organizzazione del Comando regionale ligure, redigeva una nota informativa per il Comando stesso attinente la situazione militare delle brigate Garibaldi nella Seconda zona ligure <108. Dopo aver riferito succintamente circa la futura nomina di un vero e proprio Comando operativo di zona (che in realtà non avvenne prima di aprile <109), “Andrea” elogiava la Sesta Brigata per l’eccellente organizzazione di base e per la valida collaborazione con i GL della brigata “Astengo”. Di questi ultimi rilevava tuttavia le carenze nel campo dell’efficienza complessiva, tanto più che essi stessi si erano rivolti al comando della Sesta Brigata per migliorare il proprio assetto organizzativo. In cauda venenum: preceduto da una breve annotazione circa i buoni rapporti dei garibaldini con la popolazione, i centri da essi controllati e la libertà religiosa nei distaccamenti, si trovava una precisa e pungente critica al frettoloso attivismo dei GL savonesi. Il loro commissario Ciccio Drago, qualificato come “vecchio fascista” da “Andrea”, aveva espresso l’intenzione di impadronirsi, all’atto dell’insurrezione, dei principali edifici amministrativi del capoluogo, dando in tal modo prova di non essere agli ordini del Comando regionale. La notizia spingeva “Andrea” a premere per una rapida istituzione del Comando di zona per Savona, in modo da coordinare a dovere le forze di differente ispirazione. Seguivano la notifica delle proteste delle organizzazioni operaie savonesi per l’ammissione di “un noto fascista, certo Oneto”, nelle file dei GL, e un riferimento ad una relazione di “Fioretto” (Pietro Carzana, del Comando di sottozona) che annunciava la fucilazione del comandante comunista delle Langhe “Device” per ordine di “Mauri” <110. Da tutta la nota emergeva la profonda diffidenza che i comunisti liguri provavano verso azionisti ed autonomi. Non si fidavano dei GL; non si fidavano di “Mauri”, rifornito dagli Alleati <111 mentre a loro, nel Ponente, non era ancora stato paracadutato uno spillo; l’impressione netta è quella di un atteggiamento chiuso, da pigliatutto. Ma si trattava di uno stato d’animo comprensibile. Se c’era nell’Italia dell’epoca qualcuno che poteva trinciare giudizi dando del fascista a chiunque avesse servito lo Stato durante il ventennio precedente (come Drago, Panevino e non pochi altri), questi erano i comunisti, mai scesi a compromessi con il regime e in buona parte habitué delle patrie galere. Ciò non toglie che la loro inclinazione al sospetto generalizzato facesse a pugni con le coeve direttive di partito, saggiamente improntate alla massima ricerca di collaborazione con tutte le forze del CLN <112.
In definitiva, nel savonese c’erano due diverse Resistenze: quella autonoma, volta alla liberazione della Patria combattendo gli invasori tedeschi e i loro lacchè fascisti, e quella garibaldina, che si batteva per la giustizia sociale contro gli oppressori fascisti e i loro signori e padroni tedeschi. Nessuna delle due avrebbe potuto combattere efficacemente il nemico da sola: fu la loro azione combinata ad attrarre giovani di estrazione e formazione culturale anche molto differente verso la vita partigiana.
Anche il PCI savonese non mancò di farsi sentire. Un indirizzo datato 16 ottobre e inviato alle brigate garibaldine da “Mario”, membro della Federazione del capoluogo, si soffermava con una punta di preoccupazione sulla tendenza delle brigate stesse a sfuggire al controllo politico del partito (anche se tale timore non veniva espresso esplicitamente). In particolare, i punti dolenti erano “l’organizzazione politica” e “l’educazione politica dei compagni”, il mancato invio di relazioni sul “lavoro politico e militare” al Partito, l’istituzione ancora scarsa e occasionale di Giunte popolari nei Comuni temporaneamente liberati (e a questo proposito “Mario” non resistette alla tentazione di citare Lenin) <113.
La Quarta Brigata “Daniele Manin” si fece viva a più riprese durante il mese di ottobre, potendo fare affidamento su una solida organizzazione nelle basi di montagna e sul pieno appoggio tattico dei sapisti nei centri rivieraschi. In particolare, nella prima metà del mese furono compiute numerose azioni di recupero di armi e materiali. Il 1° ottobre una squadra del “Calcagno”, scesa a Feglino, confiscò dei beni ad un collaborazionista, procedendo quindi alla loro distribuzione tra le famiglie bisognose del paese <114. Si trattò, né più né meno, di un tipico episodio di quella guerra di classe che continuamente riaffiorava nelle azioni e nelle intenzioni dei garibaldini savonesi. Entro il 10, lo stesso distaccamento si rese protagonista di altri “colpi” di rilievo, culminati nell’occupazione della stazione ferroviaria di Spotorno, i cui apparati elettrici e meccanici furono sabotati bloccando il traffico per 36 ore <115. Negli stessi giorni plotoni interi di “San Marco”, completi di armi ed equipaggiamento, furono prelevati a Segno, Spotorno e Mallare ed in buona parte incorporati nelle fila garibaldine <116. Ovviamente le armi migliori di cui questi uomini disponevano passavano di volta in volta alle squadre impegnate nelle azioni più rischiose o nella difesa del campo base. La medesima tattica del “Calcagno” fu adottata dai distaccamenti “Negri”, “Bonaguro” e “Torcello”, attivi tra Albenga ed il Melogno, che a più riprese, spalleggiati dalle SAP, riuscirono ad impadronirsi di armi ed equipaggiamenti, oltre naturalmente a trattare scambi di prigionieri <117. La particolare predilezione mostrata in questo periodo per le azioni di recupero materiali non deve sorprendere: essa va messa infatti in relazione con l’incipiente arrivo della stagione invernale, foriera di sicura rovina per un movimento partigiano privo di basi sicure e, soprattutto, di un adeguato equipaggiamento. Quanto alle azioni strettamente militari, vi fu il 17 e 18 ottobre un rastrellamento operato da tedeschi, GNR e “San Marco” nella zona di Feglino, contrastato duramente ed efficacemente dal “Calcagno” e dal “Rebagliati” che perse il volontario “Fiat” (Aldo Piombo) <118;in seguito si distinsero ancora il “Rebagliati”, che si scontrò ripetutamente con i “marò” a Calice, Rialto e Finalborgo perdendo due uomini, ed il “Negri”, che il 21, aiutato dal ”Revetria”, distrusse un ponte sulla strada Bardineto – Castelvecchio e tre giorni dopo sostenne un combattimento contro una colonna tedesca forte di circa 30 elementi <119.
Non sempre tutto andava per il verso giusto: ne fece le spese il “Maccari”, respinto durante un attacco ad una postazione repubblicana a Spotorno <120.
[NOTE]
105 R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 152.
106 Cfr. R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., pp. 165 – 166 e G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 201.
107 Cfr. R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 168 e M. Calvo, op. cit., p. 70.
108 Riportata in Le Brigate Garibaldi…cit., vol. II, pp. 404 – 406.
109 M. Calvo, op. cit., p. 363.
110 Come abbiamo visto le cose erano andate ben diversamente e “Mauri” non aveva colpa, se non in modo indiretto, per l’accaduto.
111 Le Brigate Garibaldi…cit., vol. II, p. 406.
112 Ibidem, vol. II, pp. 484 – 490.
113 Ibidem, vol. II, pp. 443 – 444.
114 G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 196.
115 Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 198.
116 Ibidem, ed. 1985, vol. II, pp. 197 – 198.
117 Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 198.
118 Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 193.
119 Ibidem, ed. 1985, vol. II, pp. 198 e 200.
120 Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 196.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet – La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000