L’intervento antifascista italiano in Spagna non riuscì ad essere unitario

La guerra civile spagnola provocò in numerosi giovani intellettuali italiani una netta presa di coscienza antifascista.
Per alcuni di loro la tragedia spagnola divenne una specie di tributo da pagare: un codice di comportamento da rispettare anche nella sconfitta dove acquisire dignità e una nuova connotazione esemplare. Con la guerra civile spagnola si aprì forse l’ultimo capitolo internazionale dell’impegno antifascista per ogni intellettuale sensibile e responsabile, perché come scrisse Stephen Spender «in poche settimane, la Spagna era diventata il simbolo della speranza per tutti gli antifascisti. Offriva al XX secolo un 1848: cioè un tempo e un luogo nel quale una causa che rappresenta un grado di libertà e giustizia più alto di quella reazionaria, che gli si oppone, riusciva ad ottenere vittorie.
Divenne possibile vedere la lotta tra fascismo e antifascismo come un reale conflitto di idee e non solo come la vicenda di dittatori che strappano il potere a deboli oppositori» <1.
[…] L’esperienza della rivoluzione asturiana segnò l’inizio di una passione politica per le vicende spagnole e non stupisce il fatto che il colpo di stato militare del 18 luglio 1936, che nei piani di Mola e degli altri generali golpisti si sarebbe dovuto risolvere nel giro di pochi giorni e invece a causa dell’imprevista reazione della popolazione sfociò in una sconvolgente guerra civile, trovasse Vittorini particolarmente coinvolto.
La reazione di Vittorini alla posizione ufficiale del regime fascista – di dura condanna al governo di Manuel Azaña e di totale appoggio alle forze di destra – fu particolarmente accesa a riprova che la sua evoluzione politica lo stava portando su posizioni antifasciste anche se in quel periodo ancora forte era la convinzione che il fascismo avesse potenzialità rivoluzionarie.
Questo profondo travaglio venne ribadito in un altro articolo pubblicato il 23 febbraio 1936, in cui si metteva in guardia il regime dall’appoggiare le destre reazionarie europee che nulla avevano a che fare con il fascismo, denunciando il ruolo svolto dagli organi d’informazione del regime:
«Certi giornali nel riferire sull’attuale lotta politica in Ispagna, hanno lasciato di nuovo trapelare il loro solito vizio costituzionale, voglio dire il filodestrismo. L’abbiamo detto almeno una volta l’anno; è un grosso sbaglio da parte nostra. Le cosiddette reazionarie “destre europee” non hanno nulla a che fare col Fascismo (come del resto non ci hanno a che fare le “sinistre”) e il Fascismo non ha che da perderci ad appoggiarsi, fuori d’Italia, su di esse. In genere si tratta di movimenti codini, detestati dalla massa, non interessata, d’ogni popolo, e a noi occorre solo di farci capire e riconoscere dai popoli. L’abbiamo detto e lo ripetiamo. Le velleità di dittatura che non corrispondono a un contenuto fascista compromettono il nome fascista. Le acque vanno separate».
Secondo Raffaele Crovi <2, Vittorini e altri giovani scrittori fiorentini come Vasco Pratolini, Romano Bilenchi si collocarono subito, con uno slancio solidale, dalla parte dei repubblicani spagnoli e l’equazione franchismo=fascismo (e di conseguenza reazione=fascismo) fu la stella polare che guidò, da quel momento, la loro ribellione. Il fascismo, che avevano ritenuto “rivoluzionario”, si svelava come movimento “reazionario”, coalizzato con tutte le reazioni d’Europa nell’offendere il mondo e si impegnarono a difendere il “mondo offeso”.
Prima di affrontare questo impegno occorre aprire una breve parentesi per esaminare l’impatto che la guerra civile spagnola ebbe sull’opinione pubblica italiana.
La rivolta dei nazionalisti ebbe una vasta eco in Italia e come si desume dalle numerose segnalazioni dell’OVRA (la polizia politica del regime fascista), vi fu un “vivissimo interesse” da parte degli italiani per gli avvenimenti spagnoli.
La stampa svolse un ruolo fondamentale nel destare questo interesse e non sempre i giornali fascisti, soprattutto nelle prime fasi della guerra, presero una netta posizione a favore dei generali insorti. Ma era solo questione di tempo, tanto che già alla fine dell’agosto 1936 il concetto di crociata antibolscevica della rivolta dei “nazionali” era unanimemente sostenuto dalla stampa italiana.
[…] Mentre cadevano molte illusioni sul fascismo come fenomeno “rivoluzionario”, l’ascolto delle emittenti radio della repubblica spagnola rivelava che l’antifascismo esisteva, parlava, combatteva: «Madrid, Barcellona… Ogni operaio che non fosse un ubriacone e ogni intellettuale che avesse le scarpe rotte, passarono curvi sulla radio a galena ogni loro sera, cercando nella pioggia che cadeva sull’Italia, ogni notte dopo ogni sera, le colline illuminate di quei due nomi. Ora sentivamo che nell’offeso mondo si poteva essere fuori della servitù e in armi contro di essa», ricorderà Vittorini <3.
E la stessa fucilazione di Lorca, del resto, portò gli intellettuali alla scoperta di un nuovo mondo culturale spagnolo, mentre suscitava grande impressione il fatto che alcuni dei nomi più prestigiosi della cultura e dell’arte contemporanea stessero dalla parte della Repubblica.
I giovani intellettuali che si muovevano in senso anticonformistico, ma con evidenti i limiti per quanto riguarda l’impegno politico, la guerra civile spagnola – grazie all’influenza dei movimenti letterari e artistici europei, idealmente partecipi a fianco della repubblica spagnola – divenne non solo un faro per la lotta antifascista, ma si inserì in un più ampio paradigma teso a sprovincializzare la cultura italiana. Questo bisogno divenne un elemento essenziale per la nascita di un diverso movimento non direttamente controllato dai partiti antifascisti tradizionali, un nuovo antifascismo non contrapposto al vecchio, un nuovo movimento nato attraverso la sofferta evoluzione di chi aveva creduto che il fascismo fosse una idea rivoluzionaria.
[NOTE]
1 Dalla Autobiografia di Stephen Spender, cit. in A. Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna, Torino, Einaudi, 1959, pp. 254-55.
2 R. Crovi, Il lungo viaggio di Vittorini, Venezia, Marsilio, 1998, p. 148.
3 «Politecnico», n. 1, 1945.
Marco Novarino, Il ruolo della guerra civile spagnola nella presa di coscienza antifascista dei giovani intellettuali italiani, Centro Studi Piero Gobetti

La storica Marie Claude Blanc-Chalèard autrice di uno studio monumentale sugli italiani nelle zone Est di Parigi che in questi quartieri sono passati alla storia per essere i “quartieri” rossi dello spazio politico italiano a Parigi. Vi era infatti in una ‘colonia’ di anarchici, attorno al Boulevard de Charonne, nel X arr. dove risiedeva anche la famiglia Berneri, ed è sempre in questa zona, che i gruppi di lingua dei comunisti italiani avevano un importante seguito. Furono attivi nella zona anche dei repubblicani. Queste due famiglie politiche, nonostante le loro divisioni, si trovarono a loro agio in un ambiente che era fortemente marcato dalle rivendicazioni proletarie e dove portarono il loro impegno antifascista. <61 In questa zona sorsero negli anni del Fronte popolare molte organizzazioni antifasciste, quali le Fratellanze regionali, i comitati per la guerra antifranchista, ad esempio il Comitato pro-Spagna della rue Amelot nell’XI arr., la Fratellanza Toscana svolse la sua prima riunione nel Boulevard Magenta nell’agosto del 1936 al caffè Royal Magenta, mentre le domande di adesione sarebbero state indirizzare ad Alfredo Gori, tra i principali promotori dell’iniziativa, presso il “noto ristorante frequentato da antifascisti denominato “A Paris” e sito al n. 25 del Boulevard de Bonne Nouvelle. <62 Numerose poi furono le feste franco-italiane promosse dai vari comitati pro-Spagna, dalle fratellanze come pure dall’UPI. Il Comité Amsterdam-Pleyel organizzava le sue riunioni segrete nella rue du Paradis, nel X arr. alla Maison des Syndicats, situata al n. 33 della rue de la Grange aux Belles, aveva sede la CGT, e si svolgevano anche le riunioni del Soccorso Rosso della regione parigina, nonché le feste del Fronte Unico italiano nel novembre del 1934. <63 La sede legale del mensile Stato Operaio era al n. 25 della rue d’Alsace, vicino alla stazione di Saint-Lazare nel X, <64 poi dal 1936 al 1938 la sede redazionale legale era in Boulevard Voltaire. <65
[NOTE]
61 M.C. Blanc-Chaléard, op. cit. p. 350.
62 ACS, MI, PS, G1, Fratellanza Toscana, b. 311; citato in P. Gabrielli, op. cit., p. 112.
63 ACS, MI, PS, K1B, Comunisti estero, Francia, b. 53.
64 S. Schiapparelli, Ricordi di un fuoruscito, Edizioni del Calendario, Milano, 1971, p. 74.
65 Ivi, p. 124.
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013

A più di settant’anni dal suo epilogo, gli storici continuano a interrogarsi su quel fenomeno che per tre lunghi anni ha dilaniato la Spagna, attribuendogli un carattere prettamente politico che identifica nella lotta tra fascismo e antifascismo, tra democrazie e dittature il movente ideologico per eccellenza. Ad una pluralità di definizioni – guerra antifascista, guerra rivoluzionaria, guerra nazionale, crociata religiosa così come antibolscevica – con le quali si è soliti interpretare il conflitto, gli studiosi hanno aggiunto, nel corso del tempo, una sfumatura nuova che individua, ancor prima che nella lotta tra fascismo e comunismo, una guerra civile tra fratelli.
Partendo da questo presupposto, le riflessioni degli studiosi si sono concentrate su alcuni apparati specifici della storia della guerra di Spagna, occupandosi in maniera esaustiva di tutti gli aspetti che hanno caratterizzato il conflitto: dal carattere politico della guerra a quello propriamente militare; dall’analisi della figura del soldato a quella delle figure femminile; e poi ancora, è stato studiato il ruolo della Chiesa, dei contadini, delle Brigate Internazionali e, non da ultimo, l’aspetto violento e repressivo che ha fatto della guerra di Spagna uno dei conflitti più cruenti della storia del Novecento.
Anna Scicolone, La rappresentazione della guerra civile spagnola nei notiziari cinematografici. Studio comparato delle strategie di comunicazione e propaganda sul caso spagnolo e francese, Tesi di dottorato, Università degli studi della Tuscia di Viterbo, 2009

Dall’assedio di Madrid, il Comintern, avvalendosi dei propri rappresentati, controllò la guerra spagnola. Con disappunto di Caballero, la difesa della città divenne «affare privato del Partito comunista, affare dell’Internazionale Comunista, affare della Russia sovietica». <330 La capitale si trovò così a vivere non solo le atrocità dell’assedio, ma anche il terrore staliniano delle esecuzioni senza processo, che continuarono per tutto il mese di novembre e di dicembre. Durante questo periodo, molti sostenitori del fronte nazionalista vissero nell’incubo di essere prelevati e uccisi dalle squadre della polizia segreta.
L’ordine pubblico, sotto la direzione nascosta dall’NKVD, finì per assumere «un aspetto pauroso»: la Guardia Civil, divenuta ormai Guardia Nazionale Repubblicana, venne epurata «spietatamente»; la stessa sorte toccò agli Asaltos. Il Quinto Reggimento comunista di Vittorio Vidali ebbe «il controllo della maggior parte delle operazioni di sicurezza e il responsabile del settore», il giovane comunista Santiago Carillo, «presiedette a una serie di arresti ed esecuzioni sommarie che forse superava quelle di luglio e di agosto». <331
A Carillo, segretario della JSU, Juventud Socialista Unificada, la Giunta di Madrid, nel novembre del 1936, affidò l’incarico di seguire il trasferimento dei prigionieri nazionalisti per timore «che le centinaia di ufficiali imprigionati andassero a ingrossare le file dell’esercito nazionalista che sembrava sul punto di impadronirsi della capitale» assediata. In realtà, durante il trasbordo un elevato numero di detenuti, circa duemila, vennero «caricati sugli autobus e fucilati, in parte a Paracuellos del Jarama e in parte a Torrejón de Ardoz.» <332
Paul Preston ritiene che «quella di eliminare i prigionieri fu una decisione militare premeditata», <333 e Letizia Argenteri, nella pubblicazione dedicata a Tina Modotti, afferma che dalle corrispondenze dell’americano Herbert L. Matthews, si può desumere che furono proprio gli agenti del Comintern a ordinare i massacri di Madrid. Inoltre, in merito a Vidali, personaggio controverso, la scrittrice tra l’altro aggiunge:
«Matthews accusa Vidali in particolare, che definisce peggio di Líster perché, sostiene, “Vidali è un vero implacabile assassino”. E ancora: “So che il sinistro Vidali passò la notte a interrogare i prigionieri e, quando decideva, come quasi sempre succedeva, che erano della quinta colonna, li uccideva sparando alla nuca”». <334
La fama di un Vidali dal grilletto facile venne avvallata, anche da Ernest Hemingway, che partecipò alla guerra civile spagnola come corrispondente. Nelle stesse pagine della Argenteri leggiamo infatti che il romanziere americano «riportò a Matthews che Vidali sparava così spesso che la pelle tra il pollice e l’indice della mano destra era praticamente ustionata.» <335 L’autrice rileva inoltre che lo scrittore e giornalista cubano Norberto Fuentes, portando una testimonianza dello stesso Hemingway, presentava Vidali come un personaggio «che sparava indiscriminatamente contro i prigionieri della prigione Modelo di Madrid e contro i civili sospettati di fascismo, raccolti a caso nelle strade della capitale durante le cosiddette azioni punitive». <336
L’arrivo del materiale bellico dalla Russia aumentò il potere del Partito comunista spagnolo che provvide a centellinare la fornitura delle armi alle colonne degli avversari politici. Ecco perché, Orwell, che combatté sul fronte aragonese, dove le truppe erano soprattutto anarchiche, annotava:
«fino all’aprile del 1937 l’unica arma russa che io abbia visto – a parte qualche aereo che poteva essere, ma anche non essere, di fabbricazione sovietica – fu una solitaria mitraglietta». <337
[NOTE]
330 P. Broue, É. Témime, op. cit., p. 264.
331 A. Beevor, op. cit., p. 205-206.
332 P. Preston, op. cit., p. 140. Cfr. inoltre: T. Hugh, op. cit., p. 339; P. Ramella, I lager della morte di Franco, cit.; G. Jackson, op. cit., p. 324.
333 P. Preston, op. cit., p. 140.
334 L. Agenteri, op. cit., p. 247. Enrique Líster, dopo la riorganizzazione dell’esercito spagnolo divenne comandante di divisione dell’esercito popolare alle dipendenze del colonnello Juan Modesto. Nel 1937, su incarico di Negrín sciolse il Consiglio d’Aragona e le comuni anarchiche della regione, attuando una repressione spietata. L’origine del termine “Quinta colonna” risale al generale Mola che nella battaglia di Madrid segnalava l’esistenza di una colonna di fedelissimi presente all’interno della città. In seguito il termine venne usato dai comunisti per identificare i nemici: gli antistalinisti.
335 L. Argenteri, op. cit., p. 248.
336 Ibidem.
337 G. Orwell, Omaggio alla Catalogna, Milano, Mondadori, 2007, p. 195.
Mirella Mingardo, Il Partito Comunista Italiano e la guerra civile spagnola tra processi staliniani e disagio popolare. La stampa clandestina (1936-1939), Giornalismo e Storia

I presupposti per una pluralità di memorie erano connaturati allo stesso intervento in Spagna: tra l’estate del 1936 (quando cominciarono ad arrivare i primi volontari italiani) ed i primi mesi del 1939 (quando i reduci delle Brigate Internazionali abbandonarono una Spagna repubblicana ormai collassata) si andarono infatti delineando quelle memorie che sarebbero sopravvissute per decenni e che, in parte, insistono ancora oggi. Come si è detto, l’origine di questo processo si deve individuare nell’estate del 1936; quello italiano in Spagna, rispetto ad altri casi nazionali, fu infatti un contributo particolare. Se, ad esempio, per quanto riguarda i francesi o gli inglesi il gruppo politico che espresse la maggior parte dei volontari tese a coincidere con quello dei militanti o dei simpatizzanti comunisti, tra gli italiani si registrò invece una “pluralità” di famiglie politiche coinvolte. Non essendo questa la sede per indagare le origini di queste differenze nazionali, basti ricordare la peculiarità italiana: con una dittatura che a metà anni Trenta aveva ormai festeggiato il proprio decennale e con un variegato movimento antifascista che non esisteva in altri casi europei gli italiani si candidarono, sin dall’inizio, a giocare un ruolo del tutto specifico nelle vicende iberiche.
Lo scoppio delle ostilità in Spagna colse l’antifascismo italiano in un momento particolare della propria storia: la svolta seguita al VII congresso del Comintern e l’avvento della stagione dei Fronti Popolari avevano modificato i rapporti tra gli esuli italiani. I comunisti, in particolare, erano passati nel volgere di pochi mesi dal “social fascismo” degli anni precedenti ad un dialogo con le altre forze antifasciste, tanto che nell’estate del 1934 si era arrivati alla stipula di un patto d’unità tra PCd’I e PSI. Anche la nascita di GL, fondata nel 1929 subito dopo la rocambolesca fuga di Carlo Rosselli dalla colonia di confino di Lipari, aveva portato un’aria nuova nel mondo dell’esilio antifascista: quest’ultimo aveva sin da subito lavorato per trovare un elemento comune tra tutte la «migliori energie» di quell’universo così variegato <2. Perfino gli anarchici, tradizionalmente i più restii a collaborazioni con altre forze politiche, avevano accolto con interesse la nascita di questo nuovo movimento. Luigi Fabbri, uno dei grandi vecchi del movimento libertario italiano, aveva definito l’evento come un “fatto rivoluzionario” e aveva scritto che GL avrebbe potuto essere «un fattore di primo ordine per la rivoluzione italiana» <3.
In sintesi, si potrebbe dire che all’interno dell’antifascismo in esilio (l’ambiente dal quale sarebbe provenuta la maggior parte dei volontari) nei primi anni trenta si può segnalare, quanto meno, un serio dialogo tra le diverse famiglie politiche. Un dato del genere emerge se si analizza la socialità degli esuli italiani. In questo periodo le relazioni dei confidenti fascisti rilevarono spesso la compresenza di militanti di diverse tendenze politiche alle iniziative più disparate: nel novembre del 1935, ad esempio, ad una riunione settimanale di GL vennero segnalati «diversi anarchici, repubblicani e massimalisti», mentre il mese successivo ad una conferenza pubblica molto partecipata, anch’essa giellista, sarebbero stati presenti molti anarchici che avrebbero animato «con entusiasmo» il dibattito. <4
Nel giugno del 1936, poche settimane prima dello scoppio della guerra civile spagnola, Carlo Rosselli ribadì per l’ennesima volta la propria volontà di perseguire una qualche forma di unità tra le diverse famiglie politiche dell’antifascismo: «Reagire con centuplicata energia. Ricercare l’interesse e la capacità d’interesse attraverso interessi fortissimi. Ridestare passioni affettive», scrisse in quell’occasione, «condizione prima del riscatto non è la guerra, il terremoto generale che troppi ancora oggi si augurano. È la capacità dell’antifascismo di farsi esso una cosa sempre più viva e ricca, tale da interessare e appassionare i propri membri innanzitutto e da vivere di vita propria. L’autonomia: riprova di ogni ideale autentico. Quindi meno politica in senso angusto e burocratico e più cultura e umanità, soprattutto in esilio». <5
Pur esistendo quindi i presupposti per un intervento unitario dell’antifascismo italiano nella guerra civile, questo si produsse? La risposta è negativa. In Spagna, infatti, i volontari italiani non s’integrarono solamente alle Brigate Internazionali, ed in particolare al celebre battaglione Garibaldi, ma diedero vita almeno ad un’altra esperienza significativa: la Sezione Italiana della Colonna Ascaso <6. Camillo Berneri e Carlo Rosselli fondarono questo gruppo a cavallo tra il luglio e l’agosto del 1936 a Barcellona; la Sezione avrebbe visto passare tra le sua fila più di 600 antifascisti italiani e si sarebbe sciolta nell’aprile dell’anno successivo. La maggior parte dei suoi integranti, circa il 60%, furono anarchici, mentre un 14% fu comunista; tanto i socialisti quanto i giellisti si attestarono invece attorno al 6%; come emerge da questi dati, il gruppo si determinò necessariamente come colonna libertaria. La Sezione Italiana combatté sul fronte aragonese, al lato delle milizie anarco-sindacaliste catalane ed ebbe il proprio battesimo del fuoco il 28 di agosto, quando le posizioni degli italiani furono attaccate dalle truppe nazionaliste; secondo il giornalista giellista Umberto Calosso, presente quel giorno sul fronte, si sarebbe trattato del «primo fatto d’armi partigiano degli italiani nella guerra europea» <7. La colonna si sarebbe sciolta nell’aprile dell’anno successivo quando i suoi componenti, nella quasi totalità anarchici (i giellisti ed i socialisti avevano abbandonato il gruppo durante i primi giorni di gennaio), si rifiutarono di accettare la militarizzazione imposta dal governo repubblicano.
Alcuni mesi dopo rispetto al gruppo di Rosselli e di Berneri, tra l’ottobre ed il novembre del 1936, si organizzarono le Brigate Internazionali e al loro interno vide la luce il battaglione (in un secondo momento brigata) Garibaldi <8. Questa fu l’altra grande esperienza dell’antifascismo italiano in Spagna, un’esperienza che avrebbe avuto una vita più lunga rispetto alla Sezione Italiana e che sarebbe sopravvissuta fino all’autunno del 1938 quando il governo repubblicano decise di ritirare i volontari stranieri. I garibaldini di Spagna furono sicuramente almeno 4.000 (ancora non esiste un dato certo ma siamo d’accordo con Gianni Isola che questa stima andrà rivista al rialzo). <9 In questo caso, secondo quanto emerge dai dati da noi raccolti negli ultimi anni, i comunisti rappresentarono ben il 71% dei volontari, seguiti da un 10% di socialisti, da un 4,5% di anarchici e da uno 0,5% di giellisti. Per questo secondo gruppo non è quindi sbagliato parlare di una formazione spiccatamente comunista.
Quindi, l’intervento antifascista italiano in Spagna non riuscì ad essere unitario. Nonostante il 29 luglio del 1936 Carlo Rosselli avesse scritto al repubblicano (e futuro comandante del battaglione Garibaldi) Randolfo Pacciardi come «in tutti i movimenti e naturalmente in vivissima forma nel nostro» vi fosse «il desiderio di arrivare possibilmente ad un intervento collettivo seriamente organizzato e selezionato dell’antifascismo italiano», questo appello rimase inascoltato: questo non fu possibile <10. Il leader giellista fu uno dei più attivi sostenitori della necessità dell’unità antifascista tra i volontari italiani; pochi giorni prima della sua partenza per Barcellona, ad esempio, aveva inviato un ultimo accorato appello a comunisti e socialisti affinché partecipassero alla colonna che stava organizzando con Berneri: «sarebbe bene riunirsi e riunire le forze», scrisse in quell’occasione, «perché il contributo italiano sia il più largo ed efficace possibile» <11. Ma i comunisti, e sulla loro scia i socialisti, preferendo aspettare il via libera da Mosca, rifiutarono quella proposta; il Comintern avrebbe deciso per un sostegno attivo alla causa repubblicana («tra i lavoratori di tutti i paesi», avrebbe recitato una nota, «si dovrà favorire un arruolamento di volontari da inviare in Spagna che conoscano la disciplina militare») soltanto durante la riunione del Presidium del 16 settembre, quindi un mese e mezzo dopo la partenza di Carlo Rosselli per la Spagna. <12
Se da un lato l’origine di quello che abbiamo definito un pluralismo di memorie può essere facilmente individuato proprio in questa esistenza di almeno due esperienze che videro coinvolti dei volontari italiani; dall’altro l’evoluzione delle vicende politiche all’interno del bando repubblicano non avrebbe favorito una “facile convivenza” tra queste diverse memorie. I contrasti tra le forze politiche e sindacali spagnole che portarono alle celebri giornate barcellonesi del maggio 1937 ed, in pratica, alla repressione dell’anima più radicale del movimento libertario iberico ebbero dei riflessi anche tra gli italiani <13. Le prime crepe emersero nel gennaio del 1937 quando Carlo Rosselli ed i suoi uomini abbandonarono la Sezione Italiana perché in aperto disaccordo con la maggioranza anarchica; nell’aprile di quell’anno Aldo Garosci avrebbe riferito ad alcuni militanti giellisti come gli anarchici, con le loro prepotenze, avessero ormai «screditato il nome degli italiani» <14. Ma in realtà la frattura più grande si produsse tra libertari e comunisti sulla scorta delle vicende del maggio 1937: durante quelle giornate molti degli ormai ex-componenti della Sezione Italiana si trovarono dietro le barricate al lato di coloro che ne sarebbero usciti sconfitti. Camillo Berneri venne addirittura assassinato a sangue freddo, in compagnia del compagno Francesco Barbieri, da un gruppo di militanti stalinisti del PSUC) <15. Alcune settimane più tardi, il 29 maggio, sul foglio comunista parigino “Il Grido del Popolo” venne pubblicato un pezzo nel quale si diceva che il Berneri era stato «giustiziato dalla rivoluzione democratica, a cui nessun antifascista può negare il diritto di legittima difesa» <16. Fu così che dall’estate del 1937 per alcuni volontari italiani la vita in Catalogna ed in Spagna cominciò a diventare complicata e finirono anche tra le vittime della repressione repubblicana. Tra chi venne addirittura incarcerato ci fu, ad esempio, il livornese Enzo Fantozzi che era stato tra i primi ad arrivare in Spagna <17. Aldo Aguzzi, collaboratore di Berneri, avrebbe ben sintetizzato cosa dovettero provare i suoi compagni d’armi a partire dal maggio 1937: quei fatti, scrisse pochi mesi dopo, «avevano approfondito il dissenso, gli anarchici italiani si sentivano sempre più allontanati dalla tattica dei compagni spagnoli. Finite quelle tragiche giornate, essi si sentivano ancor più profondamente disillusi nelle loro speranze» <18. Com’è naturale che fosse, queste vicende avrebbero avuto un peso importante sulle memorie “generate” dai volontari: i libertari non avrebbero mai perdonato ai comunisti, anche a quelli italiani, per il “trattamento” loro riservato in Spagna.
Le tensioni e le frizioni tra le diverse famiglie politiche non risparmiarono il battaglione Garibaldi. Nonostante in una prima fase, almeno fino all’estate del 1937, fosse sembrato possibile salvaguardare una pacifica convivenza tra gli antifascisti italiani, con l’allontanamento del repubblicano Randolfo Pacciardi dal comando dei garibaldini, quella che era un’egemonia numerica dei comunisti si trasformò, di fatto, in un controllo politico sulla totalità del battaglione. In quelle stesse settimane, sul piano politico spagnolo, ci fu il passaggio dal testimone di presidente dal consiglio da Largo Cabellero a Juan Negrín, considerato più vicino alle posizioni comuniste rispetto al suo predecessore, e si produsse la dura repressione dell’ala più radicale del movimento libertario <19. La leader comunista Teresa Noce, in un rapporto redatto ad inizio 1938, affermò come il lavoro di Partito «propriamente detto» fosse cominciato proprio «dal mese di giugno 1937», quindi in concomitanza con l’allontanamento del Pacciardi <20. Nella vicenda entrò anche Pietro Nenni, con un rapporto alla direzione del PSI nel quale accusava i comunisti di essersi comportati scorrettamente e di aver tradito il patto unitario fondante dell’esperienza spagnola. <21
Sempre nell’estate del 1937, la sostituzione nel ruolo di commissario politico di Antonio Roasio con Pietro Pavanin, considerato più vicino alla linea ufficiale del partito, fu un altro chiaro indizio nella direzione di un rinnovato protagonismo comunista a scapito delle altre forze politiche <22. Secondo Teresa Noce, a partire da quelle settimane sarebbero stati nominati dei quadri comunisti fidati in ruoli chiave a Madrid, ad Albacete, a Valencia e sul fronte: «questi compagni», aggiunse la Noce, «si misero subito al lavoro per organizzare il partito nella brigata e nelle località dove si trovavano. Venne fatto un censimento dei compagni comunisti italiani e si cominciò il lavoro di passaggio al PCS, sotto il controllo della compagna Estella [Teresa Noce], del compagno Pavanin per i quadri di Albacete e del compagno Giordano che lavorava presso il CC del partito spagnuolo» <23. Nell’ottobre del 1938, al momento del ritiro delle BI, su 20 commissari politici della Garibaldi ben 19 sarebbero stati comunisti e solo uno socialista <24. Come ha giustamente scritto qualche anno fa Gabriele Ranzato, «c’è un’inerzia fronte populista nel continuare a dire che nelle Brigate Internazionali si batterono fianco a fianco comunisti, anarchici, socialisti, repubblicani»; in realtà, e come abbiamo visto in particolar modo dopo l’estate del 1937, l’egemonia comunista fu netta ed incontestabile. <25
[NOTE]
2 FEDELE, Santi, Storia della Concentrazione Antifascista, 1927-1934, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 74-75. Per vedere le vicende che portarono alla fondazione del movimento giellista si veda la recente sintesi: GIOVANA, Mario, Giustizia e Libertà in Italia – Storia di una cospirazione antifascista, 1929-1937, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, pp. 3-23.
3 Citato in: FEDELE, Santi, Luigi Fabbri, un libertario contro il bolscevismo e il fascismo, Pisa, BFS, 2006, p. 72.
4 Archivio Centrale dello Stato (ACS), Divisione Polizia Politica (DPP), Fondo per Materia (FM) pacco 127, fascicolo 1, sottofascicolo D. Relazione informatore K7/53, 25/11/1935 e ACS, Casellario Politico Centrale (CPC), busta 537, fascicolo 737478 Berneri Camillo. Appunto Direzione Generale PS, 28/12/1935.
5 ROSSELLI, Carlo, Scritti dall’Esilio, Volume II, dallo scioglimento della concentrazione antifascista alla Guerra di Spagna (1934-1937), Torino, Einaudi, 1992, p. 378.
6 Al riguardo mi permetto di segnalare i miei due recenti saggi: ACCIAI, Enrico, «Berneri e Rosselli in Spagna, l’esperienza della “Sezione Italiana della Colonna Ascaso”», Spagna Contemporanea, 2010, n. 38) e ACCIAI, Enrico, «Una scelta di vita. Il primo volontariato italiano nella guerra civile spagnola», Storia e problemi contemporanei, 2010, n. 55).
7 CALOSSO, Umberto, «La battaglia di Monte Pelato», in ROSSI, Ernesto (a cura di), No al fascismo, Torino, Einaudi, 1957, p. 252. Si veda anche la mia tesi di dottorato: ACCIAI, Enrico, Viaggio attraverso l’antifascismo. Volontariato internazionale e guerra civile spagnola: la Sezione Italiana della Colonna Ascaso, Dottorato di Ricerca – XXII Ciclo, Università degli Studi della Tuscia, Viterbo, 2010.
8 Al riguardo si veda: DELPERRIE DE BAYACA, Jaques, Les Brigades internacionales, Parigi, Fayard, 1968 ed il più recente SKOUTELSKY, Remi, op. cit.
9 ISOLA, Gianni, «La contribution du Parti communiste d’Italie aux Brigades internationales», in PREZIOSO, Stefanie, BATOU, Jean, RAPIN, Jaques (a cura di), Tant pis si la lutte est cruelle – Volontaires internationaux contre Franco, Parigi, Editions Syllepse, 2008, pp. 78-79.
10 Istituto Storico della Resistenza in Toscana (ISRT), Archivi di Giustizia e Libertà (AGL), Fondo Carlo Rosselli, busta 1, fascicolo 86. Lettera di Carlo Rosselli a Randolfo Pacciardi, 29/07/1936.
11 Archivio Fondazione Gramsci (AFG), Fondo Partito Comunista d’Italia (FPCdI), fascicolo 1397 – Corrispondenza della dirigenza del PCI con “Giustizia e Libertà”, folio 15. Lettera di Carlo Rosselli alla dirigenza del PCd’I e del PSI, 01/08/1936.
12 SCHAUFF, Frank, La victoria frustrada: la Unión Soviética, la Internacional Comunista y la guerra civil española, Barcellona, Debate, 2008, p. 178.
13 Al riguardo si vedano i due recenti lavori: GALLEGO, Ferran, Barcelona, mayo 1937, Barcellona, Debate, 2007 e VIÑAS, Angel, El escudo de la República – El oro de España, la apuesta sovietica y los hechos de mayo de 1937, Barcellona, Critica, 2007.
14 ACS, DPP, FM pacco 127, fascicolo 1 sottofascicolo E. Relazione informatore K7/53, 29/04/1937.
15 Il grosso dei reduci della Sezione Italiana (circa 200 uomini), quando a Barcellona scoppiarono i violenti scontri, era riunito nella caserma Spartacus e qui si organizzò per difendersi sotto il comando del bolognese Gelindo Zanasi (AGUZZI, Aldo, «I fatti del maggio», in Un trentennio di attività anarchica (1914-1945), Cesena, Edizioni Antifastato, 1953, p. 194). Sulla morte di Berneri si veda, tra le tante testimonianze: PATRICK, Jeane, «Quatros cartas desde Barcelona», in Barcelona, mayo 1937 – Testimonios desde las barricadas, Barcellona, Alikornio, 2006, p. 170.
16 Citato in: DE MARIA, Carlo, Camillo Berneri – Tra anarchismo e liberalismo, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 111.
17 ACS, CPC busta 1954, fascicolo 19862 Fantozzi Enzo. Appunto della Divisione Affari Generali e Riservati, 26/04/1937.
18 AGUZZI, Aldo, op. cit.
19 VIÑAS, Angel, op. cit., pp. 549-574.
20 Centro Russo per la Conservazione degli Archivi di Storia Politica e Sociale (RGASPI), Fondi del Comintern (FC), fascicolo 545-3-153, folio 109. Rapporto sul lavoro svolto dai comunisti italiani nelle brigate internazionali (giugno-dicembre 1937), sd.
21 RGASPI, FC, fascicolo 545-1-027, folio 100-102. Rapporto del segretario alla direzione, 08/09/1937.
22 RGASPI, FC, fascicolo 545-6-002, folio s/n. Lettera di D’Onofrio a Pavanin, 18/07/1937.
23 Ibidem.
24 RGASPI, FC, fascicolo 545-1-061, folio s/n. Elenco dei commissari politici delle Brigate Internazionali, 10/1938.
25 RANZATO, Gabriele, «Ripensare la guerra di Spagna», in: COLLOTTI, Enzo (a cura di), Fascismo e antifascismo – Rimozioni, revisionismi, negazioni, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 143.
Enrico Acciai, Memorie difficili. Antifascismo italiano, volontariato internazionale e guerra civile spagnola, Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, Spagna Anno Zero: la guerra come soluzione, n° 7 luglio 2011

I primi studi scientifici di rilievo risalgono agli anni Sessanta e appartengono alla storiografia anglosassone. Il lavoro pioneristico di Gerald Brennan, The Spanish Labyrinth <4 (1943), un’acuta testimonianza oculare sugli eventi e sulle divisioni della società spagnola, sarà seguito nel 1961 dall’opera di Hugh Thomas, “The Spanish Civil War”, sulla dimensione diplomatica e l’attività delle Brigate internazionali, e nel 1965 da quella di Gabriel Jackson, “The Spanish Republic and the Civil War”, una ricostruzione della Repubblica e del conflitto visti dall’interno della Spagna attraverso la lettura dei giornali, le testimonianze e le interviste a persone che hanno vissuto in quegli anni <5. Questi studi hanno consolidato – come afferma Paola Lo Cascio – “un quadro di riferimento interpretativo e metodologico che, di fatto, è arrivato fino ai nostri giorni” <6. Altri importanti contributi apparsi in questo decennio sono: “Le Mithe de la croisade de Franco” di Hebert Southworth (1963), uno studio impareggiabile per capire l’atteggiamento dell’intellighenzia internazionale di fronte al conflitto, in cui lo storico statunitense smonta alcuni dei falsi miti franchisti come il complotto comunista, che avrebbe dovuto bolscevizzare il paese; “Spain 1808-1939” di Raymond Carr (1966) sull’incapacità della borghesia spagnola a traghettare il paese verso la Modernità e “La España del siglo XX” di Manuel Tuñon De Lara (1966), un classico della storiografia sulla crisi dello stato liberale, sulla Repubblica e sulla Guerra civile <7.
[NOTE]
4 G. Brennan, The Spanish Labyrinth: an account of the social and political background of the civil war, Cambridge, Cambridge University Press-New York, The Macmillan Company, 1943.
5 H. Thomas, The Spanish Civil War, London, Harper, 1961, trad. it., Id., Storia della guerra civile spagnola, Torino, Einaudi, 1963; G. Jackson, The Spanish Republic and the Civil War 1931-1939, Princeton, Princeton Univerity Press, 1965, trad. it., Id., La Repubblica spagnola e la guerra civile (1931-1939), Milano, il Saggiatore, 2009.
6 P. Lo Cascio, La guerra civile spagnola. Una storia del Novecento, Roma, Carocci, 2013, pag. 16.
7 H. Southworth, Le Mithe de la croisade de Franco, Paris, Ruedo Iberico, 1963; R. Carr, Spain 1808- 1939, Oxford, Clarendon Press, 1966, trad. italiana Id., Storia della Spagna 1808-1939, Firenze, La Nuova Italia, 1978, 2 vol.; M. Tuñon de Lara, La España del siglo XX, Paris, Libreria española, 1966.
Marcello Raffa, Dalla “storiografia militante” alla “storiografia liberata”: la guerra civile spagnola in HUMANITIES – Anno V, Numero 10, Dicembre 2016

E ciò che accade all’estero, nei rapporti con le altre potenze, lo vediamo con tutta la sua forza relativamente ai fatti di Guadalajara. L’Italia si è fatta protagonista di una guerra non sua, e ne paga in prima persona le conseguenze, in primis l’accentuazione di uno scontro ideologico sin lì rimasto alquanto discontinuo. Ancora De Felice, ricordando la politica del “pendolo” tanto cara a Mussolini, illustra le conseguenze per il Duce del fascismo italiano: “La guerra di Spagna lo sbilancia ancora di più, perché il discorso di alcuni paesi nei confronti del fascismo italiano tende a farsi sempre più ideologico. Il loro antifascismo – che già esisteva e si era anche accresciuto, ma tuttavia non era mai stato determinante a livello dei governi – adesso lo diventa per quel che riguarda il governo francese, mentre si allarga la fascia della partecipazione ideologica dell‘opinione pubblica internazionale”. <1227. La presenza del contingente italiano, nonostante le iniziali difficoltà dovute al discorso del non intervento, viene alimentata e rappresentata con piena coerenza del ruolo e dell‘immagine che il fascismo si propone di avere agli occhi della popolazione italiana. La finalità è quella di narrare una guerra in cui gli italiani ricoprono un ruolo fondamentale, sino a raffigurare spesso una guerra più italiana che spagnola. La differenza sottolineata tra la propaganda tedesca e quella italiana è emersa in modo lampante nel caso delle produzioni audiovisive: “Questa attenzione alla presenza militare italiana provocò addirittura difficoltà con le autorità spagnole: il Luce, spesso, non riuscì a far circolare i suoi documentari in Spagna, perché essi vennero accusati di mettere poco in rilievo il ruolo delle armate nazionali e dei loro capi, dando l’idea che in Spagna combattessero quasi solamente i volontari italiani” <1228
1227 Renzo De Felice, Intervista sul fascismo, cit., pag. 71. – 1228 Renato Moro, L’immagine del franchismo nei cinegiornali e nei documentari dell’Italia fascista, in Giuliana Di Febo – Renato Moro (a cura di), Fascismo e franchismo. Relazioni, immagini, rappresentazioni, Rubbettino Editore, 2005, pag. 279.
Riccardo Notari, Il fascismo e la guerra civile spagnola. Propaganda e comunicazione, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2009-2010